Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 37712 del 01/12/2021

Cassazione civile sez. II, 01/12/2021, (ud. 11/05/2021, dep. 01/12/2021), n.37712

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERTUZZI Mario – Presidente –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rosanna – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 12433 – 2016 R.G. proposto da:

TARA s.r.l., – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliata in Roma,

alla via Giuseppe Ferrari, n. 35, presso lo studio dell’avvocato

Marco Vincenti, che disgiuntamente e congiuntamente all’avvocato

Ferdinando T. Trivellato, la rappresenta e difende in virtù di

procura speciale su foglio allegato in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

CURATORE del fallimento della “(OMISSIS)” s.r.l., in persona del

dottor Z.G., rappresentato e difeso in virtù di procura

speciale a margine del controricorso dall’avvocato Francesco

Casellati, ed elettivamente domiciliato in Roma, alla via

Tagliamento, n. 55, presso lo studio dell’avvocato Nicola Di Pierro;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 399/2016 della Corte d’Appello di Venezia,

dep. 29/06/2018;

udita la relazione nella camera di consiglio dell’11 maggio 2021 del

consigliere Dott. Luigi Abete.

 

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO

1. Con decreto n. 1425/2009 il Tribunale di Venezia ingiungeva alla “Tara” s.r.l. il pagamento al ricorrente, curatore del fallimento della “(OMISSIS)” s.r.l., della somma di Euro 127.920,94, oltre interessi legali, quale saldo del corrispettivo dei lavori, dalla “(OMISSIS)” in bonis eseguiti, di costruzione di due edifici abitativi.

2. La “Tara” s.r.l. proponeva opposizione.

Deduceva che le opere, eseguite in ritardo, presentavano vizi e difformità. Instava per la revoca dell’ingiunzione ed, in riconvenzionale, per la risoluzione del contratto e per il risarcimento dei danni.

3. Si costituiva il curatore del fallimento della “(OMISSIS)” s.r.l.

Eccepiva pregiudizialmente che l’opponente si era costituita tardivamente, oltre il dimezzato termine di cinque giorni dalla notifica dell’opposizione. Instava, tra l’altro, per la declaratoria di improcedibilità dell’opposizione.

4. Alla prima udienza l’istruttore accordava termine unicamente, ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1 per il deposito di memoria; dipoi, fissava l’udienza per la discussione ai sensi dell’art. 281 sexies c.p.c.

5. Con sentenza del 28.4.2010 il tribunale dichiarava l’improcedibilità dell’opposizione e condannava l’opponente alle spese del giudizio.

6. Proponeva appello la “Tara” s.r.l.

Resisteva il curatore del fallimento della “(OMISSIS)” s.r.l.

7. Con sentenza n. 399/2016 la Corte di Venezia, in parziale riforma della gravata sentenza, rigettava l’opposizione esperita dalla “Tara” avverso l’ingiunzione di pagamento e condannava l’appellante alle spese del grado.

La corte, respinta l’eccezione di improcedibilità dell’opposizione, evidenziava che l’appellante non aveva formulato alcuna istanza istruttoria né nell’iniziale opposizione né in sede di precisazione delle conclusioni in prime cure, cosicché non poteva sollecitare in seconde cure, per la prima volta, l’ammissione dei mezzi di prova attesa la preclusione di cui all’art. 345 c.p.c., comma 3.

Evidenziava in particolare che, a fronte del letterale tenore dell’art. 189 c.p.c., comma 1, u.p., l’appellante avrebbe dovuto, in primo grado, rassegnare le conclusioni anche istruttorie al più tardi entro l’udienza di precisazione delle conclusioni.

8. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso la “Tara” s.r.l.; ne ha chiesto sulla scorta di un unico motivo la cassazione con ogni susseguente statuizione.

Il curatore del fallimento della “(OMISSIS)” s.r.l. ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese.

9. La ricorrente ha depositato memoria.

Del pari ha depositato memoria il controricorrente.

10. Con l’unico articolato motivo la ricorrente denuncia ai sensi dell’art. 360 c.pc., comma 1, n. 4, la violazione dell’art. 112 c.p.c., art. 115 c.p.c., comma 1, art. 183 c.p.c., comma 6, art. 187 c.p.c., commi 2 e 3, art. 189 c.p.c., comma 1.

Deduce in primo luogo che la corte d’appello non ha tenuto conto che con l’iniziale opposizione sono stati prodotti documenti a riprova dei fatti allegati e che ulteriori documenti sono stati depositati in primo grado, all’udienza del 16.12.2009.

Deduce in secondo luogo che la corte d’appello non ha tenuto conto che con l’iniziale comparsa di costituzione il curatore del fallimento della “(OMISSIS)” non ha provveduto alla specifica contestazione dei fatti addotti ex adverso.

Deduce in terzo luogo che aveva richiesto la concessione dei termini tutti di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6 e nondimeno il tribunale non ha provveduto, così come avrebbe senz’altro dovuto, a concederli, ossia si è limitato a concedere unicamente il termine di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6, n. 1.

Deduce infine che, a fronte dell’error in procedendo in cui è incorso il primo giudice, non ha avuto altra possibilità se non con l’appello di far luogo all’articolazione delle prove orali.

11. Il motivo di ricorso è destituito di fondamento e va respinto.

12. In ordine al profilo di censura in primo luogo addotto, inevitabile è il riferimento all’insegnamento di questa Corte a tenor del quale la mancata ammissione della prova testimoniale o di altra prova ovvero la mancata valutazione delle prove documentali possono essere denunciate per cassazione solo nel caso in cui abbiano determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi, qualora la prova non ammessa o non esaminata sia in concreto idonea a dimostrare circostanze tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, il convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi” venga a trovarsi priva di fondamento (cfr. Cass. (ord.) 7.3.2017, n. 5654; Cass. (ord.) 17.6.2019, n. 16214).

13. Su tale scorta si rileva che la ricorrente non ha per nulla allegato e dato conto della decisività della documentazione prodotta ed asseritamente non vagliata, siccome si è limitata a prospettare genericamente che “i documenti sono stati indicati (…) a riprova dei fatti” (così ricorso, pag. 13).

In ogni caso la documentazione analiticamente indicata (a pagina 14 del ricorso) – viepiù alla luce degli esiti dell’a.t.p. richiesto ante causam dalla ricorrente (cfr. sentenza d’appello, pag. 5) – non appare decisiva ai fini del riscontro della non debenza, in dipendenza dei pretesi vizi e delle pretese difformità, del saldo del corrispettivo dei lavori di cui all’iniziale ingiunzione (del resto è significativo in tal senso che la ricorrente, così come si desume dalla memoria depositata (cfr. pagg. 3 – 5), aveva con l’atto d’appello sollecitato la nomina di un c. t. u. ai fini, tra l’altro, della valutazione di “carenze e vizi di ordine progettuale e di esecuzione oltreché strutturali”).

Per giunta, della documentazione depositata in prime cure, all’udienza del 16.12.2009, neppure si è offerta, in ossequio all’onere di specificità e di “autosufficienza”, analitica descrizione (cfr. Cass. (ord.) 28.9.2016, n. 19048, secondo cui il ricorrente per cassazione, che intenda dolersi dell’omessa od erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ha il duplice onere – imposto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – di produrlo agli atti, indicando esattamente nel ricorso in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi, e di indicarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nel ricorso; la violazione anche di uno soltanto di tali oneri rende il ricorso inammissibile; Cass. 12.12.2014, n. 26174).

14. In ordine al profilo di censura in secondo luogo addotto, si rappresenta quanto segue.

Il giudizio ha avuto inizio in prime cure in data antecedente (il decreto ingiuntivo è datato 20.5.2009: cfr. sentenza d’appello, pag. 5) all’entrata in vigore del testo dell’art. 115 c.p.c., comma 1, quale novellato dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, applicabile ai procedimenti instaurati successivamente al 4.7.2009.

Cosicché riveste valenza nella fattispecie l’insegnamento espresso da questa Corte, in relazione appunto al previgente dettato dell’art. 115 c.p.c., a tenor del quale, affinché un fatto allegato da una parte possa considerarsi pacifico, sì da essere posto a base della decisione, ancorché non provato, non è sufficiente la mancata contestazione, occorrendo invece che esso sia esplicitamente ammesso dalla controparte ovvero che questa, pur non contestandolo in modo specifico, abbia impostato il proprio sistema difensivo su circostanze o argomentazioni logicamente incompatibili con il suo disconoscimento (cfr. Cass. 9.6.1999, n. 5699; Cass. 23.7.2004, n. 13830; Cass. 14.3.2006, n. 5488; Cass. 24.11.2010, n. 23816).

15. In questi termini non è sufficiente, di certo, che la ricorrente prospetti che controparte aveva, in primo grado, “totalmente omesso di contestare specificamente i fatti documentalmente addotti e le allegazioni fondate sugli stessi documenti e atti prodotti” (così ricorso, pag. 15).

E comunque – pur in relazione al novello dettato dell’art. 115 c.p.c., comma 1 – è da riconoscere che il curatore, nel costituirsi in primo grado e nel domandare altresì il rigetto delle domande avverse ovviamente alla luce degli esiti dell’a.t.p. espletata ante causam, abbia in tal guisa contestato specificamente i fatti e la documentazione allegati e prodotta ex adverso.

16. In ordine al profilo di censura in terzo luogo addotto, si rappresenta quanto segue.

Il controricorrente ha prospettato che in grado d’appello la “Tara” non ha, a censura del primo dictum, lamentato la mancata concessione da parte del primo giudice dell’intero spettro dei termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6 (cfr. controricorso, pag. 6; cfr. memoria controricorrente, pag. 4).

In ogni caso, viepiù a fronte di siffatto rilievo – che in verità non appare smentito dalla ricorrente in memoria – di sicuro la medesima “Tara” avrebbe, da un canto, dovuto in ricorso, in ossequio agli oneri di specificità e di “autosufficienza” (cfr. Cass. (ord.) 29.9.2017, n. 22880; Cass. 20.7.2012, n. 12664; Cass. 20.9.2006, n. 20405), dedurre di aver in seconde cure analiticamente addotto, con l’atto di gravame, la surriferita doglianza, onde, evidentemente, non incorrere nella preclusione correlata alla “novità”, in questa sede, della quaestio de qua, ed avrebbe, d’altro canto, in questa sede dovuto denunciare una omissione, in parte qua, di pronuncia (in ricorso – pag. 18 – vi è riferimento, unicamente, all’invocata concessione dei termini ex art. 183 c.p.c., comma 6, di cui all’iniziale opposizione e di cui al verbale dell’udienza di prime cure del 16.12.2009).

In questo quadro inevitabile, al contempo, è il riferimento all’insegnamento di questo Giudice secondo cui il vizio non formale di attività discendente dalla mancata osservanza delle sequenze procedimentali in cui è normativamente scandita la trattazione della causa in primo grado (per non avere il giudice concesso alle parti, benché richiesto, l’appendice scritta della prima udienza di trattazione, ai sensi dell’art. 183 c.p.c., comma 5, ed avere rimesso la causa in decisione quando era ancora aperta la fase rivolta alla definitiva determinazione del “thema decidendum” e del conseguente “thema probandum”) può essere rilevato d’ufficio dal giudice del grado al più tardi prima di pronunciarsi sulla “res” controversa e dal medesimo rimediato attraverso l’adozione di misure sananti, espressione della capacità di autorettificazione del processo, con la rimessione in termini delle parti per l’esercizio delle attività non potute esercitare in precedenza; la mancata rilevazione di detto vizio “in procedendo”, inficiante in via derivata la validità della sentenza, impone alla parte di dedurre la ragione di nullità con il motivo di impugnazione (art. 161 c.p.c., comma 1), restando, a seguito della emanazione della sentenza di primo grado, sottratta al giudice del gravame la disponibilità di questa nullità verificatasi nel grado precedente (da ritenersi ormai sanata, perché non fatta valere nei limiti e secondo le regole proprie dell’appello), non rientrando essa tra quelle, insanabili, rilevabili d’ufficio in ogni stato e grado del processo, anche al di fuori della prospettazione della parte (cfr. Cass. 15.2.2007, n. 3607).

17. In ordine al profilo di censura da ultimo addotto, si rappresenta quanto segue.

Questa Corte spiega che nell’ipotesi in cui il procuratore della parte non si presenti all’udienza di precisazione delle conclusioni o, presentandosi, non precisi le conclusioni o le precisi in modo generico, vale la presunzione che la parte abbia voluto tenere ferme le conclusioni precedentemente formulate (cfr. Cass. (ord.) 9.5.2018, n. 11222; cfr. altresì Cass. 9.10.1998, n. 10027, secondo cui l’omessa precisazione delle conclusioni della parte in udienza non produce altro effetto che quello di far ritenere richiamate le conclusioni formulate in precedenza).

18. Su tale scorta non può che rappresentarsi ulteriormente quanto segue.

Per un verso, la stessa ricorrente ha dato atto che, sia nell’iniziale atto di citazione in opposizione sia a verbale dell’udienza in primo grado del 16.12.2009, ebbe a chiedere la concessione dei termini ex art. 183 c.p.c., comma 6, ben vero “con riserva di produrre ulteriormente e dedurre mezzi di prova anche orali sia su profili fattuali e su accadimenti sia ad integrare l’ermeneusi di documenti già in atti” (così ricorso, 18).

Per altro verso, la medesima ricorrente non ha addotto, in forma specifica ed “autosufficiente” (cfr. Cass. (ord.) 29.9.2017, n. 22880; Cass. 20.7.2012, n. 12664; Cass. 20.9.2006, n. 20405) ed a censura dell’affermazione di segno contrario di cui all’impugnata sentenza (cfr. pag. 8), di aver articolato mezzi di prova orale in sede di precisazione delle conclusioni di primo grado (cfr. al riguardo ricorso, pagg. 3 – 5, da cui viceversa si rileva che la prova per testimoni è stata articolata nell’atto di appello. Cfr. Cass. (ord.) 10.8.2017, n. 19989, secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, è necessario che venga contestata specificamente la “ratio decidendi” posta a fondamento della pronuncia impugnata).

In tal guisa, dunque, né si è offerto riscontro (specifico, “autosufficiente” e correlato alla “ratio decidendi”) che, in primo grado, in sede di precisazione delle conclusioni, conclusioni istruttorie erano state rassegnate, né, in pari tempo, in quella sede, pregresse conclusioni istruttorie – in dipendenza dell’operata “riserva” – potevano reputarsi ferme o richiamate.

E’ ineccepibile perciò il rilievo della Corte d’Appello di Venezia secondo cui la “Tara” non poteva della prova testimoniale articolata nell’atto di appello chiedere “l’ammissione, per la prima volta, in sede di gravame” (così sentenza d’appello, pag. 8).

19. In dipendenza del rigetto del ricorso la ricorrente va condannata a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità. La liquidazione segue come da dispositivo.

20. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto (cfr. Cass. sez. un. 20.2.2020, n. 4315).

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente, “Tara” s.r.l., a rimborsare al controricorrente, curatore del fallimento della “(OMISSIS)” s.r.l., le spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, i.v.a. e cassa come per legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della società ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso ai sensi dell’art. 13, comma 1 bis D.P.R. cit., se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sez. seconda civ. della Corte Suprema di Cassazione, il 11 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 1 dicembre 2021

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