Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3770 del 14/02/2017


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Cassazione civile, sez. III, 14/02/2017, (ud. 09/11/2016, dep.14/02/2017),  n. 3770

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CHIARINI Maria Margherita – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 4447 del ruolo generale dell’anno

2014, proposto da:

C.G. (C.F.: (OMISSIS)) C.M. (C.F.: (OMISSIS))

entrambi rappresentati e difesi, giusta procura a margine del

ricorso, dall’avvocato Antonino Gazzara (C.F.: GZZ NNN 48L18 F158X);

– ricorrenti –

nei confronti di:

INTESA SANPAOLO S.p.A. (C.F.: (OMISSIS)), in persona del procuratore

speciale S.R. rappresentato e difeso, giusta procura a

margine del controricorso, dagli avvocati Roberto Staiti (C.F.: STT

RRT 65D04 F158Y) e Benedetto Gargani (C.F.: GRG BDT 57T21 Z614E);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza del della Corte di Appello di

Messina n. 165/2013, depositata in data 7 marzo 2013;

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 9

novembre 2016 dal consigliere Augusto Tatangelo;

uditi:

l’avvocato Giovanni Bonarrigo, per delega dell’avvocato Antonino

Gazzara, per i ricorrenti;

l’avvocato Roberto Catalano, per delega dell’avvocato Benedetto

Gargani, per la società controricorrente;

il pubblico ministero, in persona del sostituto procuratore generale

dott. DE AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso per l’inammissibilità

sia del ricorso principale che di quello incidentale.

Fatto

FATTI E SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

C.G. e M. agirono in giudizio nei confronti della Banca Intesa BCI (oggi Intesa Sanpaolo S.p.A.) per ottenere il risarcimento dei danni che assumevano subiti in conseguenza dell’illegittima estensione a somme di loro spettanza del vincolo derivante da un pignoramento presso terzi eseguito in danno di una propria congiunta, cointestataria dei relativi rapporti.

La domanda fu rigettata dal Tribunale di Messina, con compensazione delle spese di lite.

La Corte di Appello di Messina ha confermato tale decisione, compensando a sua volta le spese del grado.

Ricorrono C.G. e M., sulla base di un unico motivo.

Resiste la Intesa Sanpaolo S.p.A. con controricorso contenente ricorso incidentale, cui i ricorrenti a loro volta resistono con ulteriore controricorso.

Intesa Sanpaolo S.p.A. ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo del ricorso principale si denunzia “violazione o falsa applicazione dell’art. 1854 c.c. con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”.

Il ricorso è inammissibile.

Come risulta dalla sentenza impugnata, il tribunale, in primo grado, ha rigettato la domanda proposta dai C. sulla base di due autonome ragioni, entrambe sufficienti da sole a giustificare la decisione: ha infatti ritenuto insussistente la responsabilità della banca per l’imposizione del vincolo derivante dal pignoramento all’intero credito di cui gli stessi C. erano contitolari con il debitore esecutato – avendo ritenuto trattarsi di responsabilità da imputarsi al creditore procedente e da far eventualmente valere a mezzo di opposizione di terzo all’esecuzione – e ha comunque rilevato come “gli istanti non avessero minimamente specificato in cosa fossero consistiti i danni dei quali chiedevano il risarcimento” (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata).

La corte di appello ha confermato la decisione di primo grado in relazione ad entrambe tali ragioni (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata).

In relazione alla autonoma ratio decidendi relativa alla mancanza di specifica allegazione dei danni di cui era stato chiesto il risarcimento non vi è uno specifico motivo di ricorso. Ed in verità i ricorrenti non chiariscono neanche se avessero avanzato sul punto uno specifico motivo di appello, il che sembrerebbe anzi doversi escludere, per quanto emerge dalla narrazione del fatto e dalla motivazione della sentenza impugnata, in cui si conferma la mancanza della specifica allegazione di tali danni, solo ipotizzandosi che gli attori avessero inteso genericamente alludere a danni da immobilizzo di somme e di immagine.

Il ricorso risulta comunque proposto esclusivamente in relazione alla pretesa violazione dell’art. 1854 c.c., e non contiene alcun riferimento alla questione della specifica allegazione dei danni subiti.

I ricorrenti si limitano a sostenere (con riguardo peraltro alla “misura” e alla “prova” dei danni in questione, non alla specifica allegazione di essi), ancora una volta in modo del tutto generico, che “si sarebbe dovuto ritenere sufficiente (al fine di ottenere una pronunzia anche ex art. 1226 c.c.)” che i vincoli apposti dalla banca su un complessivo importo di Euro 78.900,26 avevano loro impedito di disporre di “rilevanti somme”.

Non chiariscono (e tanto meno allegano e documentano di avere chiarito nel giudizio di merito), esattamente e nel dettaglio, la natura e l’esatto importo dei crediti illegittimamente vincolati ed il preciso periodo in cui ebbe luogo tale vincolo, ma soprattutto non indicano i concreti danni che da tale vincolo sarebbero derivati, indicazione ovviamente necessaria anche ai fini di una eventuale loro liquidazione equitativa nel quantum.

Ai sensi dell’art. 1226 c.c., infatti, “l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., presuppone che sia provata l’esistenza di danni risarcibili e che risulti obiettivamente impossibile o particolarmente difficile provare il danno nel suo preciso ammontare, sicchè grava sulla parte interessata l’onere di provare non solo l’an debeatur” del diritto al risarcimento, ove sia stato contestato o non debba ritenersi “in re ipsa”, ma anche ogni elemento di fatto utile alla quantificazione del danno e di cui possa ragionevolmente disporre nonostante la riconosciuta difficoltà, sì da consentire al giudice il concreto esercizio del potere di liquidazione in via equitativa, che ha la sola funzione di colmare le lacune insuperabili ai fini della precisa determinazione del danno stesso” (cfr., ex plurimis, Sez. 3, Sentenza n. 127 del 08/01/2016, Rv. 638248; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 27447 del 19/12/2011, Rv. 619916; Sez. 3, Sentenza n. 10607 del 30/04/2010, Rv. 612765).

Il ricorso, dunque, non attinge validamente entrambe le rationes decidendi della pronunzia impugnata, e pertanto non può trovare accoglimento nel merito, risultando inammissibile per difetto di interesse (ex plurimis: Cass., Sez. 1, Sentenza n. 3951 del 18/04/1998, Rv. 514600; conf., tra le più recenti: Sez. L, Sentenza n. 4293 del 04/03/2016, Rv. 639158; Sez. U, Sentenza n. 7931 del 29/03/2013, Rv. 625631; Sez. 3, Sentenza n. 2108 del 14/02/2012, Rv. 621882; Sez. 6 – L, Ordinanza n. 22753 del 03/11/2011, Rv. 619427; Sez. L, Sentenza n. 3386 del 11/02/2011, Rv. 615988).

2. Con l’unico motivo del ricorso incidentale, proposto “relativamente al capo della sentenza impugnata relativo al regolamento delle spese processuali” si denunzia “violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c.”.

Il ricorso incidentale è in parte inammissibile ed in parte infondato.

Con riguardo alla regolamentazione delle spese del primo grado di giudizio non risulta essere stato proposto specifico motivo di appello incidentale, e quindi il ricorso è inammissibile, in quanto la pronunzia di primo grado risulta integralmente confermata.

Per le spese del giudizio di secondo grado, deve ritenersi adeguata, ed è comunque incensurabile in questa sede, la motivazione adottata dalla corte di appello per giustificare la loro compensazione, tenuto conto della formulazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2, applicabile nella fattispecie ratione temporis (e cioè quella anteriore alle modifiche apportate dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), come modificato dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 271, art. 2, comma 1, non convertito in legge, le cui modifiche sono state recepite dal D.L. 30 dicembre 2005, n. 273, art. 39-quater, comma 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 23 febbraio 2006, n. 51, a decorrere dal 1 marzo 2006).

Risulta in tal senso infatti sufficiente – anche a prescindere dall’accenno alla non limpida condotta del terzo creditore procedente – il richiamo alla natura della questione trattata, con implicito ma chiaro riferimento alla questione (oggettivamente opinabile) dell’estensione dell’obbligo di custodia derivante dal pignoramento avente ad oggetto crediti di più soggetti e dei quali ciascun titolare del rapporto bancario sottostante può disporre per l’intero.

4. Il ricorso principale è inammissibile. Il ricorso incidentale è rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità possono essere integralmente compensate tra tutte le parti, in virtù della reciproca soccombenza delle parti in relazione al ricorso da ciascuna proposto.

Dal momento che i ricorsi risultano notificati successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale;

dichiara integralmente compensate tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente in via principale e del ricorrente in via incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 9 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2017

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