Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 377 del 10/01/2017

Cassazione civile, sez. VI, 10/01/2017, (ud. 03/11/2016, dep.10/01/2017),  n. 377

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. MANZON Enrico – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – rel. Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15866-2015 proposto da:

B.L., P.G., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE ANGELICO 38, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO SINOPOLI,

rappresentati e difesi dall’avvocato BRUNO SIMEONI giusta procura

speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. (OMISSIS), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la

rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 511/11/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di TRIESTE, emessa l’11/12/2014 e depositata il

12/12/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

03/11/2016 dal Consigliere Relatore Dott. NAPOLITANO LUCIO.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., all’esito della quale i ricorrenti hanno depositato memoria, osserva quanto segue:

Con sentenza n. 511/11/14, depositata il 12 dicembre 2014, non notificata, la CTR del Friuli Venezia Giulia ha rigettato l’appello proposto dai signori B.L. e P.G. nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, Direzione Provinciale di Udine, per la riforma della sentenza di primo grado della CTP di Udine, che aveva parzialmente accolto i ricorsi proposti dalla B. e rigettato l’impugnazione del P., avverso gli avvisi di accertamento per Irpef ed addizionale regionale aventi rispettivamente come destinatari la prima per gli anni 2004 – 2006 ed il P. per gli anni 2004 e 2005, con i quali, con metodo sintetico, l’Ufficio aveva determinato per entrambi negli anni di riferimento un maggior reddito imponibile, derivante dalla sommatoria del valore di beni rispettivamente posseduti, indice di capacità contributiva e dalla quota relativa alle spese per incrementi patrimoniali.

Avverso la pronuncia della CTR i contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.

L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.

Con il primo motivo i ricorrenti denunciano nullità dei gradi di giudizio di merito e delle relative sentenze, alla stregua della sentenza della Corte costituzionale 17 marzo 2015, n. 37 che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 16 del 2012, art. 8, comma 24, convertito in L. n. 44 del 2012, sostenendo che, essendo stati gli atti impositivi sottoscritti da direttore incaricato, ma carente di qualifica dirigenziale, gli avvisi di accertamento dovevano reputarsi nulli.

Il motivo è inammissibile, perchè introduce un tema che non risulta essere mai stato oggetto del doppio grado di merito del giudizio quale motivo d’impugnazione da parte dei contribuenti (nel senso che la relativa questione, in difetto di tempestiva deduzione in sede d’impugnativa dell’atto impositivo, non possa essere rilevata d’ufficio, cfr. Cass. sez. 5, 18 settembre 2015, n. 18448), donde l’inammissibilità della sua proposizione, carente del resto anche nell’indicazione della norma che si assume violata (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, comma 3), per la prima volta in sede di legittimità.

Con il secondo motivo i ricorrenti deducono violazione e/o falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, lamentando che la sentenza impugnata avrebbe illegittimamente escluso che i contribuenti, onerati della prova contraria idonea al superamento della presunzione relativa posta dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, nel testo applicabile ratione temporis, non potessero far valere circostanze esterne ai periodi d’imposta accertati.

Con il terzo motivo i ricorrenti denunciano omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Va esaminato prioritariamente il terzo motivo.

Esso è inammissibile.

In realtà, come è agevole rilevare dal contenuto del ricorso, i ricorrenti non solo riconducono impropriamente alla previsione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di documenti, laddove per “fatto”, come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte (Cass. sez. unite 7 aprile 2014, n. 8053) deve intendersi un fatto storico, principale o secondario, decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non integrando di per sè l’omesso esame di elementi istruttori il vizio di omesso esame quando il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice; ma – in ciò incorrendo il ricorso in evidente difetto di autosufficienza – i ricorrenti non indicano neppure, riferendosi genericamente alla “documentazione prodotta”, di quali documenti si tratti ed il luogo ed il modo della relativa produzione in giudizio, peraltro assolutamente contestata dall’Amministrazione finanziaria, che, a pag. 14 del controricorso, ha evidenziato come i contribuenti abbiano allegato i soli avvisi di accertamento ai rispettivi ricorsi proposti dinanzi alla Commissione tributaria provinciale.

Quanto sopra comporta la definitività dell’accertamento compiuto dal giudice tributario, restando preclusa la censura di cui al secondo motivo in punto di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, su cui i ricorrenti hanno in particolare insistito con la memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Il ricorso va pertanto rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti di legge per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido alla rifusione in favore dell’Agenzia delle Entrate delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4100,00 per compenso, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 3 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2017

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