Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3769 del 12/02/2021

Cassazione civile sez. VI, 12/02/2021, (ud. 05/11/2020, dep. 12/02/2021), n.3769

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto L.C.G. – rel. Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18884-2019 proposto da:

Y.K., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato IMPAGLIONE ROSARIA;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 735/2018 della CORTE D’APPELLO di

CALTANISSETTA, depositata il 03/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 05/11/2020 dal Consigliere Relatore Dott. UMBERTO

LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA e RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte, rilevato che:

con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, Y.K., cittadino del Pakistan, ha adito il Tribunale di Caltanissetta impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria;

il ricorrente, cittadino del Pakistan, regione del (OMISSIS), di religione musulmana, aveva dichiarato di essere stato costretto a lasciare il proprio Paese per il rischio di essere ucciso dal cognato, appartenente a un gruppo terroristico molto pericoloso, per divergenze economiche, legate a pretese ereditarie, religiose e politiche; di essersi trasferito nel (OMISSIS) e di essere tornato nella propria città, (OMISSIS), in conseguenza di un malore e della morte della madre; che il cognato aveva sequestrato suo figlio per poi ucciderlo; di aver presentato denunce alle forze dell’ordine senza ottenere tutela; di aver perciò lasciato il Paese.

il Tribunale ha respinto il ricorso con ordinanza del 15/2/2016, ritenendo che non sussistessero i presupposti per il riconoscimento di ogni forma di protezione internazionale e umanitaria;

l’appello proposto da Y.K. è stato respinto dalla Corte di appello di Caltanissetta con sentenza del 3/12/2018;

avverso la predetta sentenza del 3/12/2018, non notificata, con atto notificato il 30/5/2019 ha proposto ricorso per cassazione Y.K., svolgendo tre motivi;

l’intimata Amministrazione dell’Interno non si è costituita;

è stata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., la trattazione in camera di consiglio non partecipata.

Diritto

RITENUTO

che:

con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3 e 5;

il ricorrente contesta la valutazione espressa dalla Corte di appello circa l’insussistenza del rischio per il richiedente asilo di essere vittima delle minacce del cognato e della “sua appartenenfza”, in violazione del principio dell’onere probatorio attenuato e del dovere di assumere informazioni circa le condizioni generali del Paese, e senza tener conto della complessiva situazione di instabilità del (OMISSIS) e dell’incapacità delle autorità statuali di offrire tutela ai cittadini;

il motivo è inammissibile;

certamente la valutazione della credibilità soggettiva del richiedente non può essere legata alla mera presenza di riscontri obiettivi di quanto da lui narrato, poichè incombe al giudice, nell’esercizio del potere-dovere di cooperazione istruttoria, l’obbligo di attivare i propri poteri officiosi al fine di acquisire una completa conoscenza della situazione legislativa e sociale dello Stato di provenienza, onde accertare la fondatezza e l’attualità del timore di danno grave dedotto (Sez.6, 25/07/2018, n. 19716);

il giudice deve tuttavia prendere le mosse da una versione precisa e credibile, se pur sfornita di prova, perchè non reperibile o non esigibile, della personale esposizione a rischio grave alla persona o alla vita: tale premessa è indispensabile perchè il giudice debba dispiegare il suo intervento istruttorio ed informativo officioso sulla situazione persecutoria addotta nel Paese di origine; le dichiarazioni del richiedente che siano intrinsecamente inattendibili, alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non richiedono un approfondimento istruttorio officioso (Sez. 6, 27/06/2018, n. 16925; Sez. 6, 10/4/2015 n. 7333; Sez. 6, 1/3/2013 n. 5224);

il D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 , comma 5, stabilisce che, anche in difetto di prova, la veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere valutata alla stregua dei seguenti indicatori: a) il compimento di ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) la sottoposizione di tutti gli elementi pertinenti in suo possesso e di una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; c) le dichiarazioni del richiedente debbono essere coerenti e plausibili e non essere in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone; d) la domanda di protezione internazionale deve essere presentata il prima possibile, a meno che il richiedente non dimostri un giustificato motivo per averla ritardata; e) la generale attendibilità del richiedente, alla luce dei riscontri effettuati;

il contenuto dei parametri sub c) ed e), sopra indicati, evidenzia che il giudizio di veridicità delle dichiarazioni del richiedente deve essere integrato dall’assunzione delle informazioni relative alla condizione generale del paese, quando il complessivo quadro assertivo e probatorio fornito non sia esauriente, purchè il giudizio di veridicità alla stregua degli altri indici (di genuinità intrinseca) sia positivo (Sez. 6, 24/9/2012, n. 16202 del 2012; Sez. 6, 10/5/2011, n. 10202);

beninteso, il principio che le dichiarazioni del richiedente che siano inattendibili non richiedono approfondimento istruttorio officioso va opportunamente precisato e circoscritto: nel senso che ciò vale per il racconto che concerne la vicenda personale del richiedente, che può rilevare ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento dello status di rifugiato o ai fini dell’accertamento dei presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria, di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b). Invece il dovere del giudice di cooperazione istruttoria, una volta assolto da parte del richiedente la protezione il proprio onere di allegazione, sussiste sempre, anche in presenza di una narrazione dei fatti attinenti alla vicenda personale inattendibile e comunque non credibile, in relazione alla fattispecie contemplata dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c) (Sez. 1, 31/1/2019 n. 3016);

inoltre questa Corte ha ritenuto che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c);

tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, o come motivazione apparente, o come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (Sez. 1, n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549 – 01; Sez. 6 – 1, n. 33096 del 20/12/2018, Rv. 652571 – 01);

al riguardo la Corte nissena, alle pagine 7-9 del provvedimento impugnato, con motivazione che soddisfa ampiamente lo standard del c.d. “minimo costituzionale”, ha chiarito le ragioni per cui le dichiarazioni del ricorrente erano state ritenute inattendibili, evidenziando genericità, lacune, incongruenze e enfatizzazioni (inverosimiglianza degli impedimenti frapposti dalla polizia alla denuncia della morte del bambino; mancata produzione del certificato di morte del bambino; mancata produzione della documentazione in possesso del richiedente asilo già sottoposta alla Commissione territoriale; carenza di riscontri circa la pretesa contiguità delle forze di polizia con i parenti della moglie, descritta in modo del tutto generico, anche in relazione alle minacce asseritamente ricevute da agenti di polizia; contraddizione con il successo dei tentativi del richiedente asilo di dimostrare la propria innocenza nelle indagini scaturite dalle false denunce del cognato, senza mai essere incarcerato e anzi avendo ottenuto una ingiunzione contro gli affini; permanenza in Pakistan della moglie del ricorrente);

la scarsa credibilità del racconto è anche stata controllata sotto il profilo estrinseco, avendo la Corte di appello dato conto, sulla base di un rapporto Easo 2017, dell’impegno del Governo pakistano di arginare i fenomeni estremi di radicalizzazione e contrastare i gruppi estremisti di matrice religiosa quale il gruppo (OMISSIS) al quale il ricorrente riconduceva i familiari di sua moglie;

il motivo è dunque inammissibile sia per l’assoluta genericità, sia per la non pertinenza rispetto alle ragion del decidere (non credibilità del racconto e natura privata della vicenda con possibilità di ottenere tutela dalle autorità statuali);

con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c);

in particolare, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, non sarebbe stato adeguatamente valutato il rischio corso dal ricorrente in caso di rimpatrio, per l’elevata pericolosità della zona di provenienza, a prescindere dalle ragioni che avevano determinato l’abbandono da parte sua del Paese;

il motivo appare inammissibile perchè volto ad esprimere un mero dissenso nel merito circa la motivata valutazione della Corte di appello, che ha escluso, previa consultazione e citazione di fonti informative accreditate (rapporto EASO) una situazione di violenza generalizzata nella zona di provenienza del richiedente;

rispetto a tale valutazione di fatto, condotta secondo i criteri legali) il ricorrente contrappone la propria tesi opposta, per giunta genericamente basata su fonti neppur compendiate e citate, con critica di puro merito inammissibile in questa sede di legittimità;

con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 32;

il motivo, dedicato alla mancata concessione della protezione umanitaria, è riversato totalmente nel merito e pretenderebbe dimostrare la sussistenza del diritto a tale forma di protezione esclusivamente sulla base della situazione generale in Pakistan;

al riguardo è sufficiente ricordare che la sentenza n. 24960/2019 delle Sezioni Unite, che in proposito ha aderito al filone giurisprudenziale promosso dalla sentenza della Sez. 1, n. 4455 del 23/02/2018, Rv. 647298 – 01, ha sottolineato che il contesto di generale compromissione dei diritti umani nel Paese di provenienza del richiedente deve necessariamente correlarsi alla vicenda personale del richiedente stesso, perchè altrimenti si finirebbe per prendere in considerazione non già la sua situazione particolare, ma quella del suo Paese di origine in termini generali e astratti, in contrasto con il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e che il riconoscimento della protezione umanitaria al cittadino straniero che abbia realizzato un grado adeguato d’integrazione sociale in Italia, non può pertanto escludere l’esame specifico ed attuale della situazione soggettiva ed oggettiva del richiedente con riferimento al Paese di origine;

tale riconoscimento deve infatti essere fondato su una valutazione comparativa effettiva tra i due piani, al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani, al di sotto del nucleo ineliminabile, costitutivo dello statuto della dignità personale, in comparazione con la situazione d’integrazione raggiunta nel Paese di accoglienza (Sez. 1, 23/02/2018, n. 4455);

ritenuto pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, senza condanna alle spese in difetto di costituzione della parte intimata.

PQM

La Corte:

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, ove dovuto.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2021

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