Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3768 del 17/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 17/02/2010, (ud. 13/01/2010, dep. 17/02/2010), n.3768

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUPI Fernando – Presidente –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – rel. Consigliere –

Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

T.S. – TIESSE PUBBLICITA’ s.r.l. in liquidazione, domiciliata in

Roma, Via Claudio Monteverdi n. 16, presso l’Avv. CONSOLO Giuseppe

che la rappresenta e difende come da procura in atti;

– ricorrente –

contro

COMUNE di ROMA, con domicilio eletto in Roma, Via del Tempio di Giove

n. 21, presso l’Avvocatura comunale, rappresentato e difeso dall’Avv.

AVENATI Fabrizio, come da procura in atti;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria

Regionale del Lazio n. 221/34/06 depositata il 5 luglio 2006.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

giorno 13/1/2010 dal Consigliere Relatore Dott. Marcello Iacobellis;

viste le richieste del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale, Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso aderendo alla

relazione.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La T.S. – Tiesse Pubblicità s.r.l. ricorre per la cassazione della sentenza in epigrafe con la quale la Commissione Tributaria Regionale del Lazio, riformando la decisione di primo grado, ha rigettato il ricorso della contribuente avverso plurimi avvisi di accertamento per imposta di pubblicità relativa all’anno 2001. Resiste l’Amministrazione comunale di Roma con controricorso. Il relatore ha depositato relazione ex art. 380 bis c.p.c.. Il presidente ha fissato l’udienza del 13/1/2010 per l’adunanza della Corte in Camera di Consiglio. Il P.G. ha concluso aderendo alla relazione.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 81, 101 e 102 c.p.c., in relazione al D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 6, per avere la Commissione tributaria regionale ritenuto sussistente la legittimazione passiva tributaria della contribuente sul solo presupposto che l’indicazione della ragione della società fosse apposta sugli impianti pubblicitari, senza considerare che la stessa aveva ceduto in precedenza l’azienda e quindi l’utilizzo degli impianti stessi ad altra società. La censura è inammissibile per inidoneità del quesito di diritto.

Premesso che la ricorrente così conclude il motivo di ricorso: “Dica la Corte se, in riferimento all’impugnativa proposta dalla Tiesse Pubblicità srl in liquidazione, la stessa sia legittimata passiva della pretesa impositiva del Comune relativamente agli impianti pubblicitari per cui è causa e, conseguentemente se la sentenza, con la quale è stata dichiarata la predetta legittimazione abbia violato il D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 6”, l’inidoneità del quesito a rispondere ai canoni di cui all’art. 366 bis c.p.c., deriva dalla considerazione che viene richiesto alla Corte unicamente di valutare la sussistenza della legittimità passiva tributaria affermata dalla Commissione tributaria regionale e contestata dalla contribuente, senza che nel quesito sia contenuto il principio di diritto che si assume violato dal giudice d’appello. Il quesito non può limitarsi a richiedere un giudizio di non conformità a legge della pronuncia, posto che una tale istanza è implicita nella stessa proposizione della censura, ma, essendo l’onere imposto alla parte finalizzato ad enucleare la quaestio iuris – rilevante sia al fine di facilitare l’operato della Corte, sia a quello di consentire di valutare immediatamente la sussistenza stessa del presupposto del giudizio di legittimità -, deve contenere l’enunciazione di una regula iuris che consenta alla Corte di enunciare un principio di diritto “corrispondente” e quindi conforme o difforme sulla medesima questione rispetto alla regola proposta.

Con secondo motivo la ricorrente deduce violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 12. La censura è in parte manifestamente infondata e in parte inammissibile. E’ manifestamente infondata nella parte in cui denuncia Terrore in cui sarebbe incorsa la Commissione tributaria regionale nel ritenere che l’imposta avrebbe dovuto essere applicata secondo la tariffa prevista per le esposizioni di durata non superiore a tre mesi. Posto invero che il presupposto di fatto implicito nella decisione e non contestato è dato dalla circostanza che gli impianti fossero rimasti posti in opera durante tutto l’anno, la tesi della ricorrente circa la rilevanza non già della disponibilità dell’impianto ma dell’effettiva utilizzazione ai fini pubblicitari del medesimo è errata alla luce del principio ripetutamente enunciato dalla Corte secondo cui “In tema di imposta comunale sulla pubblicità, l’oggetto del tributo va individuato, in base al complesso della disciplina dettata dal D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, art. 1, e segg., nella mera disponibilità del mezzo pubblicitario (impianto di affissione, come nella fattispecie, o altro) e non già nell’attività di diffusione di messaggi pubblicitari attraverso la effettiva utilizzazione del mezzo stesso. In ordine, poi alla prova della superficie netta disponibile, che, ai sensi del citato D.Lgs. n. 507 del 1993, art. 7, costituisce il parametro per la determinazione dell’imposta, legittimamente il Comune provvede alla liquidazione del tributo sulla base del contenuto della dichiarazione (iniziale o di variazione) che il contribuente è tenuto a presentare a norma del successivo art. 8, senza necessità di procedere, per ogni dichiarazione, ad un’attività istruttoria di accertamento (Cass. Sent. n. 16117 del 20/07/2007; sent. 1 aprile 2004, n. 6446; e sent.

1 settembre 2004, n. 17614). La censura è poi inammissibile laddove si richiede alla Corte, con il quesito di diritto, di pronunciarsi anche su di una questione relativa alla superficie del mezzo pubblicitaria di cui non è traccia nel motivo.

Consegue da quanto sopra il rigetto del ricorso e la condanna della ricorrente alla rifusione, in favore del Comune di Roma, delle spese del grado che si liquidano in complessivi Euro 650,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione, in favore del Comune di Roma, delle spese del grado che si liquidano in complessivi Euro 650,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2010

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