Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 376 del 10/01/2014


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Civile Sent. Sez. L Num. 376 Anno 2014
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: MAISANO GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 20139-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, domiciliata in
ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA
CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa
dall’Avvocato GRANOZZI GAETANO, giusta delega in
2013

atti;
– ricorrente –

2435

contro

COCO NANDO DANIELE CCO NDD 73B07 C3510, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA TACITO 23, presso lo studio

Data pubblicazione: 10/01/2014

dell’avvocato AURICCHIO FEDERICA, rappresentato e
difeso dagli avvocati FANARA CRISTINA, SACCO MARIA
ANTONIETTA, CANNIZZARO GIUSI, giusta delega in atti;
– controricorrente nonchè contro

CONCETTA, CALVAGNA GRAZIA STELLA, CAFFI FERNANDO
GIUSEPPE, FAVARA FRANCESCA, FORTUNATO PAOLA, RAINERI
MAURIZIO;
– intimati –

avverso la sentenza n. 32/2008 della CORTE D’APPELLO
di CATANIA, depositata il 08/03/2008 R.G.N.
1595/2005+1;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 04/07/2013 dal Consigliere Dott. GIULIO
MAISANO;
udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega
verbale GRANOZZI GAETANO;
udito l’Avvocato M.A. SACCO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARCELLO MATERA che ha concluso per
l’accoglimento per quanto di ragione per COCO NANDO
DANIELE, inammissibilità per gli altri.

AGATELLO CARMELA DANIELA, COCO VITO FABIO, GRASSO

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza del 10 gennaio 2008 la Corte d’appello di Catania, in riforma
della sentenza del Tribunale di Catania del 3 maggio 2005, ha dichiarato la
nullità del termine apposto ai contratti di lavoro stipulati da Poste Italiane
s.p.a. con Agatello Carmela Daniela, Caffi Ferdinando Giuseppe, Grasso

Nando Daniele, Rainieri Maurizio e Calvagna Grazia Stella dichiarando la
conversione dei contratti stessi in contratti di lavoro a tempo indeterminato
a decorrere dalle date di rispettiva stipulazione, ed ha condannato Poste
Italiane alla riammissione di detti lavoratori nel posto di lavoro occupato in
forza dei rispettivi contratti, ed al risarcimento del danno commisurato a
tutte le retribuzioni globali di fatto spettanti dal 13 maggio 2004 sino
all’effettiva riammissione in servizio detratto l’aliunde perceptum indicato
per ciascun lavoratore. La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia
considerando che i contratti a termine in questione erano stati stipulati tra il
7 dicembre 1999 ed il 2 febbraio 2001, quindi dopo lo spirare del termine
massimo di vigenza della contrattazione collettiva che autorizzava le
ipotesi ulteriori di apposizione del termine ai contratti con le Poste Italiane
ai sensi dell’art. 23 della legge 56 del 1987.
Avverso tale sentenza Poste Italiane propone ricorso per cassazione
affidato a nove motivi.
Coco Nando Daniele resiste con controricorso.
Gli altri lavoratori in causa restano intimati.
Poste Italiane ha prodotto copia dei verbali di conciliazione relativi ai
lavoratori rimasti intimati, ed ha presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE

Concetta, Fortunato Paola, Favara Francesca, Coco Vito Fabio, Coco

Va dichiarato inammissibile il ricorso in relazione ai dipendenti Agatello
Carmela Daniela, Caffi Ferdinando Giuseppe, Grasso Concetta, Fortunato
Paola, Favara Francesca, Coco Vito Fabio, Rainieri Maurizio e Calvagna
Grazia Stella per i quali è stato prodotto verbale di conciliazione in sede
sindacale. Dai verbale di conciliazione prodotti in copia risulta che le
qua, dandosi atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a
tutti gli effetti di legge e dichiarando che – in caso di fasi giudiziali ancora
aperte – le stesse saranno definite in coerenza con il presente verbale.
Osserva il Collegio che il suddetto verbale di conciliazione si palesa idoneo
a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di
cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a
proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere
consegue pertanto la declaratoria di inammissibilità del ricorso in quanto
l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo
nel momento in cui è proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel
momento della decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione della
domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass.
S.U. 29 novembre 2006 n. 25278).
Ricorrono, inoltre, giusti motivi, considerato l’accordo intervenuto, per
compensare le spese del giudizio di cassazione tra le parti.
Il ricorso va esaminato e deciso in relazione alla posizione di Coco Nando
Daniele che resiste al ricorso con controricorso.
Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione degli artt.
1372 comma I, 1175, 1375 e 2697 cod. civ., ai sensi dell’art. 360 n. 3
c.p.c. In particolare si deduce che il giudice di II grado ha disatteso
l’eccezione di inammissibilità dell’avversa domanda fondata

sull’intervenuta risoluzione consensuale del contratto attesa la prolungata

parti hanno raggiunto un accordo transattivo concernente la controversia de

inerzia assunta dal lavoratore a far valere in giudizio le proprie ragioni, e si
censura l’argomentazione della Corte d’Appello secondo cui il mero
decorso del tempo, in assenza di altri ulteriori elementi, non può assurgere
a fatto idoneo a far presumere la rinuncia dell’appellato a far valere la
nullità della clausola di apposizione del termine, e si sostiene che il

può, al pari di tutti i contratti, risolversi per mutuo consenso, anche in forza
di fatti e comportamenti concludenti, e si deduce che la sentenza di secondo
grado sarebbe illegittima nella parte in cui non si sarebbe considerata e
valutata la prolungata inerzia del ricorrente a far valere le proprie ragioni.
Con il secondo motivo si deduce contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell’art. 360, n. 5 cod. proc.
civ. con riferimento alla mancata considerazione, ai fini del riconoscimento
della volontà risolutiva del rapporto da parte dei lavoratori, dello
svolgimento di altra attività retributiva dopo la scadenza dei contratti a
termine i n questione.
Con il terzo motivo si deduce contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360, n. 5 cod. proc. civ. con
riferimento alla mancata considerazione dell’ aliunde perceptum
relativamente a Calvagna Grazia Stella in mancanza di riproposizione in
sede di appello della relativa eccezione da parte di tale lavoratrice,
deducendosi l’irrilevanza di tale circostanza processuale in quanto, in sede
di memoria di costituzione, si era comunque fatto riferimento a tutte le
eccezioni proposte in primo grado.
Con quarto motivo si lamentano violazione e falsa applicazione degli artt.
23 della legge n. 56 del 1997, 8 del CCNL 26 novembre 1994, nonché
degli accordi sindacali del 25 settembre 1997, 18 gennaio 1998, 27 aprile
1998, 2 luglio 1998, 24 maggio 1999 e 18 gennaio 2001 in connessione con

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rapporto a tempo determinato, connotato dalla illegittimità del termine,

gli artt. 1362 e segg. cod. civ., con riferimento alla mancanza di un limite
temporale alla possibilità di stipulare contratti di lavoro a termine.
Con il quinto motivo si lamenta insufficiente e contraddittoria motivazione
circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360, n. 5 cod.
proc. civ. con riferimento alla interpretazione della volontà delle parti di

termine, volontà risultante da tutti gli accordi citati.
Con il sesto motivo si deduce omessa motivazione su un fatto controverso
e decisivo per il giudizio ex art. 360, n. 5 cod. proc. civ. con riferimento
alla mancata considerazione della possibilità di ricondurre le ipotesi di
contratti a termine in esame a quelle previste dall’art. 1 della legge 230 del
1962.
Con il settimo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione dell’art.
1, comma 2 lett. c) della legge 230 del 1962, e degli artt. 1362 e 1363 cod.
civ. deducendosi che le ipotesi previste dal citato art. 1 della legge 230 non
sarebbero tassative essendovi la possibilità di ricondurre ad esse anche le
esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e
rimodulazione degli assetti occupazionali di Poster Italiane.
Con l’ottavo motivo si lamenta violazione ed erronea applicazione degli
artt. 1206, 1207, 1217, 1218, 1219, 1223, 2094 e 2099 cod. civ. con
riferimento all’art. 360 n. 3 cod. proc. civ., riguardo all’asserita violazione
dei principi sulla messa in mora e sulla corrispettività delle prestazioni, in
base ai quali i lavoratori avrebbero diritto alle retribuzioni, anche a titolo
risarcitorio, solo dal momento dell’effettiva ripresa del servizio.
Con il nono motivo si deduce contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso e decisivo per il giudizio con riferimento al’art. 360, n. 5 cod.
proc. civ. riguardo alla determinazione della essa in mora all’epoca della

non limitare la validità della previsione della possibilità delle assunzioni a

notifica del ricorso introduttivo del giudizio di primo grado che non
conterrebbe alcuna messa a disposizione delle energie lavorative.
I primi due motivi possono esaminarsi congiuntamente riferendosi
entrambi alla dedotta risoluzione del rapporto per mutuo consenso
determinato dalla prolungata inerzia del lavoratore. I motivi sono infondati.

del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo
indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di
un termine finale ormai scaduto, affinché possa configurarsi una
risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata,
sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo
contratto a termine, nonché del comportamento tenuto dalle parti e di
eventuali circostanze significative, una chiara e certa comune volontà delle
parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la
valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di
fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili
in sede di legittimità se non sussistono vizi logici o errori di diritto” (v.
Cass. 10 novembre 2008 n. 26935, Cass. 28 settembre 2007 n. 20390, Cass.
17 dicembre 2004 n. 23554, Cass. 11 dicembre 2001 n. 15621, nonché da
ultimo Cass. 11-3-2011 n. 5887).
Tale principio va enunciato anche in questa sede, rilevandosi, inoltre che,
come pure è stato precisato, “grava sul datore di lavoro, che eccepisca la
risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali
possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre
definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 2 dicembre 2002
n, 17070 e fra le altre da ultimo Cass. 1 febbraio 2010 n. 2279). Orbene
nella fattispecie la Corte d’Appello, dopo aver premesso che il mero
decorso del tempo non può avere un univoco significato in mancanza di
espliciti ed inequivoci segnali che inducano invece a ricostruire la volontà

Come questa Corte ha più volte affermato “nel giudizio instaurato ai fini

della ricorrente come determinatasi nel senso dell’acquiescenza alla
risoluzione del rapporto”, ha rilevato che la società appellante avrebbe
dovuto evidenziare significativi elementi ulteriori rispetto al dato
cronologico che peraltro nella specie era comunque di durata inferiore al
termine quinquennale di prescrizione dei diritti economici connessi. Tale

principio sopra richiamato, risulta altresì congruamente motivato e resiste
alle censure della società ricorrente.
Il terzo motivo non viene esaminato riferendosi esclusivamente alla
dipendente Carfagna che, come detto, ha conciliato la vertenza.
Il quarto ed il quinto motivo possono esaminarsi congiuntamente
riferendosi entrambi al termine di validità della previsione normativa che
consente il ricorso al contratto a termine. I motivi sono infondati. Osserva il
Collegio che la Corte di merito ha, tra l’altro, attribuito rilievo decisivo alla
considerazione che l’assunzione a termine, essendo avvenuta oltre la
delimitazione temporale effettuata dalle parti sociali con gli accordi
integrativi di quello in data 25 settembre 1997, introduttivo della nuova
ipotesi di contratto a termine di cui si discute, non è da ritenere legittima
per la scadenza temporale dell’accordo 25 settembre 1997 (31 gennaio 1998
prorogato al 30 aprile 1998). Tale considerazione, idonea a sostenere da
sola la impugnata decisione, relativamente alla illegittimità del contratto de
quo (dell’ 1 marzo 2000), resiste alla censura della società ricorrente (di
violazione dell’art. 1362 c.c. e segg., in relazione agli accordi collettivi
intercorsi), rivolta, in sostanza, alla affermazione della natura meramente
ricognitiva degli accordi attuativi citati. Con numerose sentenze questa
Corte Suprema (cfr. ex plurimis, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378),

accertamento di fatto, compiuto dalla Corte di merito in aderenza al

decidendo su fattispecie sostanzialmente identiche a quella in esame, ha
confermato le sentenze dei giudici di merito che hanno dichiarato
illegittimo il termine apposto a contratti stipulati, in base alla previsione
dell’accordo integrativo del 25 settembre 1997 sopra richiamato (esigenze

1998. Richiamato quanto già affermato circa la configurabilità, in relazione
alla L. n. 56 del 1987, art. 23, di una vera e propria delega in bianco a
favore dei sindacati nell’individuazione di nuove ipotesi di apposizione di
un termine alla durata del rapporto di lavoro, e premesso altresì che in forza
della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato,
quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo
integrativo del 25 settembre 1997, la giurisprudenza di questa Corte ha
ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento
al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo
accordo attuativo sottoscritto in data 16 gennaio 1998, ha ritenuto che con
tali accordi le parti abbiano convenuto di riconoscere la sussistenza fino al
31 gennaio 1998 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30
aprile 1998), della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la
conseguenza che, per far fronte alle esigenze derivanti da tale situazione,
l’impresa poteva procedere (nei suddetti limiti temporali) ad assunzione di
personale straordinario con contratto tempo determinato; da ciò deriva che
deve escludersi la legittimità dei contratti a termine stipulati dopo il 30
aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo. Questa Corte ha
osservato in particolare che la suddetta interpretazione degli accordi
attuativi non viola alcun canone ermeneutico atteso che il significato

eccezionali, conseguenti alla fase di ristrutturazione..), dopo il 30 aprile

letterale delle espressioni usate è così evidente e univoco che non necessita
di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà
delle parti; infatti nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi
di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali

delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, è precluso il ricorso a
ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria
e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a
interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n.
12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453).
Inoltre è stato rilevato che tale interpretazione è rispettosa del canone
ermeneutico di cui all’art. 1367 c.c., a norma del quale, nel dubbio, il
contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano
avere qualche effetto, anziché in quello secondo cui non ne avrebbero
alcuno; ed infatti la stessa attribuisce un significato agli accordi attuativi de
quibus (nel senso che con essi erano stati stabiliti termini successivi di
scadenza alla facoltà di assunzione a tempo, termini che non figuravano nel
primo accordo sindacale del 25 settembre 1997); diversamente opinando,
ritenendo cioè che le parti non avessero inteso introdurre limiti temporali
alla deroga, si dovrebbe concludere che gli accordi attuativi, così definiti
dalle parti sindacali, erano “senza senso” (così testualmente Cass. n. 14
febbraio 2004 n. 2866). Infine, questa Corte ha ritenuto corretta, nella
ricostruzione della volontà delle parti come operata dai giudici di merito,
l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001 in quanto stipulato
dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioè quando il

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sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale

diritto del soggetto si era già perfezionato; ed infatti, ammesso che le parti
abbiano espresso l’intento di interpretare autenticamente gli accordi
precedenti, con effetti comunque di sanatoria delle assunzioni a termine
effettuate senza la copertura dell’accordo 25 settembre 1997 (scaduto in

conforme alla regula iuris dell’indisponibilità dei diritti dei lavoratori già
perfezionatisi, dovendosi escludere che le parti stipulanti avessero il potere,
anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo
per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs.
n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti
a termine non più legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita
(vedi, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141).
In base a tale orientamento ed al valore dei relativi precedenti, pur
riguardanti la interpretazione di norme collettive (cfr. Cass. 29-7- 2005 n.
15969, Cass. 21-3-2007 n. 6703), così respingendosi la censura in esame,
di cui al quarto motivo, va confermata la nullità del termine apposto al
contratto in esame (successivo al 30-4-1998), restando assorbite le ulteriori
censure (contenute nel primo e nel secondo motivo), rivolte in sostanza alle
ulteriori argomentazioni svolte nell’impugnata sentenza sotto altri profili.
Il sesto ed il settimo motivo sono inammissibili in quanto non risulta che la
ricorrente abbia invocato nei precedenti gradi di giudizio, l’applicabilità
della legge 230 del 1962. D’altra parte il motivo è anche generico in quanto
non indica il nesso fra le ipotesi di cui alla legge 230 del 1962 e la
fattispecie concreta in esame anche ai fini di valutare la rilevanza
dell’assunto.

9

forza degli accordi attuativi), la suddetta conclusione è comunque

L’ottavo ed il nono motivo, che pure possono essere esaminati congiuntamente
riferendosi entrambi al diritto alla retribuzione ed alla sua decorrenza, sono
inammissibili per idoneità del quesito e per genericità. La ricorrente formula,
infatti, il seguente quesito di diritto: “Per il principio di corrispettività della

dell’illegittimità del contratto a termine stipulato – ha diritto al pagamento
delle retribuzioni soltanto dalla data di riammissione in servizio, salvo che
abbia costituito in mora il datore di lavoro, offrendo espressamente la
prestazione lavorativa nel rispetto della disciplina di cui agli artt. 1206 e segg.
cod. civ. “.

Tale quesito risulta del tutto generico e non pertinente rispetto alla fattispecie,
in quanto si risolve nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella
materia, senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del concreto
accertamento operato dai giudici di merito (in tal senso v. fra le altre Cass. 4-12011 n. 80). Il quesito di diritto, richiesto a pena di inammissibilità del relativo
motivo, in base alla giurisprudenza consolidata di questa Corte, deve infatti
essere formulato in maniera specifica e deve essere chiaramente riferibile alla
fattispecie dedotta in giudizio (v. ad es. Cass. S.U. 5-1-2007 n. 36), dovendosi
pertanto ritenere come inesistente un quesito generico e non pertinente. Del resto
è stato anche precisato che “è inammissibile il motivo di ricorso sorretto da
quesito la cui formulazione si risolve sostanzialmente in una omessa
proposizione del quesito medesimo, per la sua inidoneità a chiarire l’errore di
diritto imputato alla sentenza impugnata in riferimento alla concreta fattispecie”
(v. Cass. S.U. 30-10-2008 n. 26020), dovendo in sostanza il quesito integrare (in
base alla sola sua lettura) la sintesi logico-giuridica della questione specifica

prestazione, il lavoratore — a seguito dell’accertamento giudiziale

sollevata con il relativo motivo (cfr. Cass. 7-4-2009 n. 8463). Peraltro neppure
può ignorarsi che nella fattispecie anche la illustrazione dei motivi risulta del
tutto generica e priva di autosufficienza in quanto si incentra nella doglianza
circa la mancanza di una verifica da parte della Corte territoriale sul punto,
senza che la ricorrente indichi se e in che modo il punto stesso (per nulla trattato

nell’impugnata sentenza) sia stato oggetto di specifico motivo di appello da
parte della società (cfr. Cass. 15-2-2003 n. 2331, Cass. 10-7-2001 n. 9336).
Le spese di giudizio relative al ricorso riferito a Coco Nando Daniele, liquidate
in dispositivo, seguono la so copmbenza. Stante la natura della controversia
.zre,
compensa tra le restanti pard’ie spese del giudizio, in ragione anche della diversa
posizione processuale degli intimati.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso relativo a Coco Nando Daniele;
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità
relativo a Coco Nando Daniele liquidate in € 100,00 per esborsi ed €
3.500,00 per compensi professionali oltre accessori di legge;
Dichiara inammissibile il ricorso in relazione ad Agatello Carmela
Daniela, Caffi Ferdinando Giuseppe, Grasso Concetta, Fortunato Paola,
Favara Francesca, Coco Vito Fabio, Rainieri Maurizio e Calvagna Grazia
Stella;
Cì’)t`Lre…
Compensa fra le partiVle spese del giudizio di legittimità in relazione a
questi ultimi.
Così deciso in Roma il 4 luglio 2013.

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