Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3759 del 15/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 15/02/2011, (ud. 11/01/2011, dep. 15/02/2011), n.3759

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 7666/2010 proposto da:

G.R. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA DEL POZZETTO 117, presso lo studio dell’avvocato DE BARTOLO

EMANUELA, rappresentata e difesa dall’avvocato PELLEGRINO Pasquale,

giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE (OMISSIS) in

persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso

l’AVVOCATURA CENTRALE DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli

avvocati CORETTI Antonietta, STUMPO VINCENZO, DE ROSE EMANUELE,

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 328/2009 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO

del 3.3.09, depositata il 14/04/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito per il controricorrente l’Avvocato Vincenzo Triolo (per delega

avv. Antonietta Coretti) che si riporta agli scritti ed insiste per

il rigetto del ricorso.

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. RENATO

FINOCCHI GHERSI che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

La causa è stata chiamata alla odierna adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 c.p.c.:

” G.R., bracciante agricola iscritta negli elenchi nominativi dei lavoratori agricoli, aveva chiesto all’INPS, con ricorso al Pretore (cui è succeduto il Tribunale) di Cosenza del 12 settembre 1997, l’erogazione dell’indennità di maternità.

Avendo il giudice respinto la sua domanda con decisione che era stata confermata dalla Corte d’appello di Catanzaro con sentenza depositata il 14 aprile 2009, la G., con ricorso notificato il 2 marzo 2010, ha chiesto con un unico motivo la cassazione di quest’ultima.

Le censure svolte nel ricorso attengono alla insufficienza e contraddittorietà della motivazione della sentenza.

Anzitutto, la Corte territoriale, correggendo la motivazione della decisione di primo grado col ritenere che la lavoratrice aveva ritualmente proposto in sede amministrativa la domanda di astensione obbligatoria e non anche quella di astensione facoltativa, aveva tuttavia valutato come infondata la domanda relativa alla indennità relativa alla astensione facoltativa per la mancata prova della subordinazione e contraddittoriamente aveva respinto l’appello quanto alla domanda di indennità per l’astensione obbligatoria.

In ogni caso sarebbe poi insufficiente la motivazione della sentenza quanto alla valutazione della mancanza di prova dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato come bracciante agricola della ricorrente nel periodo utile per ottenere l’indennità.

L’Istituto previdenziale si è costituito con rituale controricorso per resistere alle domande della G..

Il procedimento, in quanto promosso con ricorso avverso una sentenza depositata successivamente alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 e antecedentemente alla data di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69 è regolato dall’art. 360 c.p.c., e segg., con le modifiche e integrazioni apportate dal D.Lgs. citato.

Il ricorso è manifestamente infondato e va pertanto trattato in camera di consiglio per essere respinto.

Quanto al primo profilo di censura (di contraddittorietà della motivazione), appare evidente dalla motivazione della sentenza che il riferimento del rigetto dell’appello alla domanda di astensione facoltativa costituisce un mero lapsus verbale, dato che si colloca subito dopo l’affermazione che in giudizio era stata ritualmente prodotta la domanda amministrativa relativa alla astensione obbligatoria e non quella di astensione facoltativa.

Lapsus evidente e che comunque non ha determinato alcun vulnus alla difesa della ricorrente, che, sia pure in seconda battuta, si è difesa nel merito delle ragioni addotte dai giudici dell’appello a sostegno della decisione (ragioni che del resto sono relative all’accertamento di un presupposto comune sia all’indennità per astensione obbligatoria che a quella per la facoltativa).

Sotto questo secondo profilo delle censure di vizio di motivazione, va anzitutto ricordato che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. sez. lav. 7 novembre 2008 n. 26816, sulla scia di Cass. S.U. 26 ottobre 2000 n. 1133) in tema di diritto alle prestazioni previdenziali dei lavoratori subordinati a tempo determinato in agricoltura, diritto condizionato allo svolgimento di una attività di lavoro subordinato a titolo oneroso per un numero minimo di giornate lavorative nell’anno, risultante dall’iscrizione del lavoratore negli elenchi nominativi di cui al R.D. 24 settembre 1940, n. 1949 e successive modificazioni – chi agisce in giudizio ha l’onere di provare, mediante l’esibizione di un documento che accerti la suddetta iscrizione, gli elementi costitutivi della fattispecie lavorativa dedotta, integrando comunque in giudizio con altre prove le risultanze degli elenchi ove risulti un vincolo di parentela, coniugio o affinità tra lavoratore e datore di lavoro, fermo restando che il giudice di merito, a fronte della prova contraria eventualmente fornita dall’ente previdenziale, anche mediante la produzione in giudizio di verbali ispettivi, non può limitarsi a decidere la causa in base al semplice riscontro dell’esistenza dell’iscrizione, ma deve pervenire alla decisione della controversia mediante la comparazione e il prudente apprezzamento di tutti i contrapposti elementi probatori acquisiti.

I giudici di merito hanno fatto corretta applicazione dei principi enunciati e, analizzando in maniera completa – nel giudizio riguardante, quale presupposto positivo o negativo dei diritti azionati, l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato in agricoltura tra la ricorrente e lo zio acquisito -, la documentazione prodotta nonchè i risultati dell’istruttoria testimoniale, hanno maturato la decisione impugnata, enucleando le circostanze ritenute più significative, vagliando l’attendibilità dei vari testimoni e la rilevanza in giudizio delle loro dichiarazioni, valorizzando infine anche lo stesso comportamento delle parti interessate in giudizio.

In particolare, la Corte territoriale, ricordando il rapporto di affinità intercorrente tra il Giudice e il preteso datore di lavoro ha altresì rilevato che dalle dichiarazioni rese dalla ricorrente in sede di ispezione INPS risultava un periodo lavorativo diverso da quello riportato dalla certificazione in atti; che i testi indotti dalla appellante avevano reso, pur nella plateale compiacenza nei riguardi della G., dichiarazioni talmente generiche da essere prive di qualsivoglia valenza probatoria; che infine tali testi nulla avevano potuto riferire in ordine ad un effettivo espletamento della prestazione lavorativa da parte della ricorrente.

La ricorrente, col motivo in esame si contrappone a tale articolata argomentazione con mere illazioni, deduzioni generiche o comunque non rispettose della regola della autosufficienza del ricorso di cassazione (su cui, cfr., tra le altre, recentemente Cass. nn. 4201/10, 6937/10, 10605/10), omettendo di riprodurre il testo di testimonianze che, secondo la sua valutazione, proverebbero pienamente l’esistenza del rapporto di lavoro subordinato nonchè la corrispondenza al periodo lavorato indicato nella certificazione in atti. Da ciò la valutazione di manifesta infondatezza del ricorso”.

E’ seguita la rituale notifica della suddetta relazione, unitamente all’avviso della data della presente udienza in Camera di consiglio.

Il Collegio condivide pienamente il contenuto della relazione, ritenendo pertanto manifestamente infondato il ricorso, che va pertanto respinto. Nulla per le spese dell’INPS, ai sensi dell’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo in vigore al tempo del deposito del ricorso introduttivo del giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese di questo giudizio.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2011

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