Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3758 del 15/02/2018


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Cassazione civile, sez. VI, 15/02/2018, (ud. 12/12/2017, dep.15/02/2018),  n. 3758

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che:

la Corte d’appello di Ancona ha respinto il gravame del sig. O.R., cittadino nigeriano, il quale aveva impugnato l’ordinanza del Tribunale di rigetto del suo ricorso avverso il diniego di qualsiasi forma di protezione internazionale da parte della competente Commissione territoriale;

l’appellante aveva riferito di provenire da (OMISSIS), di essere coniugato, con figli, e di professare la religione cristiana; di essere tuttavia figlio di genitori appartenenti alla setta religiosa degli Ogboni, alla quale anch’egli avrebbe dovuto aderire, quale unico figlio maschio, pena la morte; di avere conseguentemente deciso di fuggire dalla Nigeria;

la Corte ha ritenuto che già la Commissione territoriale e il Tribunale avessero “convincentemente posto in evidenza elementi di scarsa credibilità del racconto fornito dal ricorrente, sì da non potersi ritenere, neppure considerato l’onere probatorio “attenuato” vigente in materia, comprovate le circostanze che dovrebbero giustificare il riconoscimento della protezione sussidiaria o la protezione umanitaria”;

ha aggiunto che la minaccia riferita dall’appellante, “relativa a fatti di natura esclusivamente privata nonchè regolabili, anche per gli aspetti di rilevanza penale, sulla base della legislazione del Paese di provenienza, è del tutto estranea all’ambito di applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a), b) e c)”, e d ha escluso, altresì, che la regione di provenienza del ricorrente – il Sud Nigeria – sia “connotata da situazioni di conflitto armato o preda di situazioni di anarchia e caos indiscriminato” ai sensi del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 14, lett. c);

ha escluso, infine, anche la sussistenza dei presupposti per il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari, non essendo state allegate nè dimostrate particolari situazioni soggettive che lo consentano;

il sig. O. ha proposto ricorso per cassazione con quattro motivi, illustrati anche con memoria;

l’amministrazione intimata non si è difesa;

il Collegio ha disposto che la motivazione della presente ordinanza sia redatta in forma semplificata, non ponendosi questioni rilevanti ai fini della funzione nomofilattica di questa Corte.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che:

il primo motivo di ricorso, con il quale si denuncia il carattere solo apparente della motivazione relativa alla valutazione di non credibilità del racconto del ricorrente, è fondato;

su tale punto, infatti, la motivazione della sentenza impugnata si riduce alle parole sopra testualmente trascritte, senza alcuna precisazione degli elementi posti a base di detta valutazione e senza alcuna confutazione delle critiche mosse dall’appellante alla statuizione del Tribunale;

il secondo motivo di ricorso, con il quale si denuncia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3, 5 e 7 e del D.Lgs. 25 gennaio 2008, n. 25, art. 27, comma 1 bis, è fondato nella parte in cui viene censurata la statuizione di sostanziale irrilevanza dei fatti narrati dal ricorrente ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria in quanto fatti di natura esclusivamente privata e “regolabili” sulla base della stessa legislazione nigeriana;

le riferite minacce di morte subite ad opera della setta degli Ogboni, infatti, integrano gli estremi del danno grave ai sensi della del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14,lett. b), e non possono essere considerate un fatto di natura meramente privata, atteso che la minaccia di danno grave rilevante agli effetti della predetta norma può provenire, ai sensi del D.Lgs. cit., art. 5, lett. c), anche da “soggetti non statuali, se i responsabili di cui alle lett. a) e b)”, ossia lo stato e i partiti o le organizzazioni che controllano lo stato o il territorio o parte di esso, “comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione, ai sensi dell’art. 6, comma 2, contro persecuzioni o danni gravi”; con la conseguenza che era dovere del giudice di appello accertare, avvalendosi dei suoi poteri istruttori anche ufficiosi e acquisendo comunque le informazioni sul paese di origine del richiedente, previste al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, l’effettività del divieto legale di simili minacce, ove sussistenti e gravi, ossia di accertare se le autorità nigeriane sono effettivamente in grado di offrire adeguata protezione al ricorrente in relazione a tali minacce;

il medesimo secondo motivo è invece infondato nella parte che ha per oggetto l’accertamento dell’insussistenza della situazione di conflitto armato rilevante ai fini del D.Lgs. n. 251 del 2007, cit., art. 14, lett. c), trattandosi di accertamento in fatto non adeguatamente censurato con il ricorso;

con il terzo motivo, denunciando violazione del D.Lgs. 28 gennaio 2008, n. 25, art. 8, comma 3, si lamenta che la Corte d’appello non abbia acquisito documentazione aggiornata, peraltro prodotta dall’appellante, sulla situazione della Nigeria e della Libia, paese di transito del ricorrente;

il motivo è inammissibile sostanziandosi, quanto alla situazione della Nigeria, in una pura e semplice censura di merito, in mancanza di specificazione della documentazione asseritamente prodotta e non acquisita dalla Corte; quanto alla situazione della Libia, poi, l’inammissibilità deriva dalla mancata indicazione di ragioni di rilevanza di tale accertamento, non riguardante il paese di origine e di rimpatrio del richiedente protezione internazionale;

il quarto motivo di ricorso, attinente alla domanda subordinata di protezione umanitaria, è assorbito;

la sentenza impugnata va in conclusione cassata in relazione alle censure accolte, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale motiverà sulla attendibilità del racconto del ricorrente e si atterrà al principio di diritto sopra enunciato nell’accogliere il secondo motivo di ricorso;

il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei sensi di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte di appello di Ancona in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 12 dicembre 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2018

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