Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3754 del 15/02/2011

Cassazione civile sez. lav., 15/02/2011, (ud. 11/01/2011, dep. 15/02/2011), n.3754

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BATTIMIELLO Bruno – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso 16992/2009 proposto da:

S.C. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA G. MAZZINI 55, presso lo studio dell’avvocato SINESIO

Antonio, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

QUATTROCCHI ENRICO, giusta nomina in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA SALUTE, in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1029/2008 della CORTE D’APPELLO di PALERMO del

19/06/08, depositata il 12/07/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11/01/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;

è presente il P.G. in persona del Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE

La causa è stata chiamata alla odierna adunanza in Camera di consiglio ai sensi dell’art. 375 c.p.c., sulla base della seguente relazione redatta a norma dell’art. 380 c.p.c.:

“La Corte d’appello di Palermo, con sentenza del 12 luglio 2008, ha confermato la decisione di primo grado, di rigetto della domanda avanzata da S.C. nei confronti del Ministero della salute diretta ad ottenere l’indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992, per l’epatite contratta a seguito di trasfusioni praticate in occasione di un precedente ricovero ospedaliere in quanto era interamente trascorso il termine triennale di decadenza introdotto al riguardo dalla L. n. 238 del 1997.

La Corte territoriale ha osservato che tale termine doveva applicarsi anche alle epatiti manifestatesi prima della L. n. 23 del 1997 e doveva essere conteggiato dal 28 luglio 1997, data di entrata in vigore di tale legge che lo aveva introdotto, per cui tale decadenza si era verificata allorchè l’assistito aveva agito in giudizio col ricorso ex art. 414 depositato il 28 aprile 2004.

Per la cassazione della sentenza S.C. propone ricorso con un unico motivo, denunciando errata applicazione della L. n. 238 del 1997, art. 1, in relazione alla L. 25 febbraio 1992, n. 210 e all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, per avere la Corte ritenuto l’applicabilità del termine stabilito dalla citata disciplina del 1997, contro il principio stabilito dalla giurisprudenza di legittimità secondo cui la domanda di indennizzo per le epatiti post trasfusionali verificatesi anteriormente a detta norma sono proponibili nell’ordinario termine decennale.

Rilevato che il Ministero convenuto, non costituitosi, era stato intimato con ricorso notificato presso l’avvocatura distrettuale dello Stato, il giudice designato aveva rilevato in via preliminare la nullità della notifica, aveva formulato la relazione ai sensi dell’art. 380 c.p.c., chiedendo al Presidente della sezione lavoro di fissare l’adunanza in Camera di consiglio della Corte.

In quest’ultima sede, con ordinanza del 10 maggio 2010, il collegio investito della questione ha disposto il rinnovo della notifica presso l’avvocatura generale dello Stato entro 60 gg. dalla comunicazione dell’ordinanza, notifica poi effettivamente e ritualmente operata il 6 luglio 2010.

Il Ministero della salute si è costituito con rituale controricorso.

Il procedimento, in quanto promosso con ricorso avverso una sentenza depositata successivamente alla data di entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 e antecedentemente alla data di entrata in vigore della L. 18 giugno 2009, n. 69, è regolato dall’art. 360 c.p.c., e segg., con le modifiche e integrazioni apportate dal D.Lgs. citato.

Il ricorso è inammissibile e va pertanto trattato in camera di consiglio per essere respinto.

In esso, contenente sostanzialmente censure relative alla violazione di norme di diritto (quelle di vizio di motivazione, in quanto riferite alla interpretazione di norme di diritto non presentano autonoma rilevanza), difetta la formulazione del quesito di diritto, necessario ai fini dell’ammissibilità del ricorso, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis al caso in esame a norma del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 6 e art. 27, comma 2, prima della sua abrogazione, operata a decorrere dal 4 luglio 2009 dalla L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 47, comma 1, lett. d) il quale, per quanto qui interessa, recita:

“Nei casi previsti dall’art. 360, comma 1, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto”.

In proposito si ricorda che è stato ripetutamente affermato da questa Corte che “il legislatore, nel porre a carico del ricorrente l’onere della sintetica ed esplicita enunciazione del nodo essenziale della questione giuridica di cui egli auspica una certa soluzione, rende palese come a questo particolare strumento impugnatorio sia sottesa una funzione affatto peculiare: non solo quella di soddisfare l’interesse del ricorrente ad una decisione della lite diversa da quella cui è pervenuta la sentenza impugnata (in un senso, ovviamente, che il ricorrente prospetta a sè più favorevole), ma anche quella di enucleare – con valenza più ampia e perciò nomofilattica – il corretto principio di diritto al quale ci si deve attenere in simili casi. L’interesse personale e specifico del ricorrente deve, insomma, coniugarsi qui con l’interesse generale all’esatta osservanza e all’uniforme interpretazione della legge” (cfr., per tutte, Cass. sez. 1^, 22 giugno 2007 n. 14682).

E’ seguita la rituale notifica della suddetta relazione, unitamente all’avviso della data della presente udienza in Camera di consiglio.

Il collegio condivide la valutazione di fondatezza dell’ipotesi di soluzione della controversia sottopostale dal relatore, in quanto pienamente in linea con la giurisprudenza quasi unanime di questa Corte.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., con le normali conseguenze in ordine al regolamento delle spese di questo giudizio, ai sensi del nuovo testo dell’art. 152 disp. att. c.p.c., secondo quanto operato in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al Ministero le spese di questo giudizio, liquidate in Euro 30,00 per esborsi ed Euro 2.000,00, oltre accessori di legge, per onorari.

Così deciso in Roma, il 11 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2011

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