Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3753 del 07/02/2022

Cassazione civile sez. VI, 07/02/2022, (ud. 25/11/2021, dep. 07/02/2022), n.3753

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

N.A., cittadino senegalese nato il (OMISSIS), elettivamente

domiciliato in Napoli, piazza Cavour n. 139, presso lo studio

dell’avv. Luigi Migliaccio (p.e.c.

luigimigliaccio.avvocatinapoli.legalmail.it) che lo rappresenta e

difende per procura speciale in calce al ricorso per cassazione;

– ricorrente –

nei confronti di:

Ministero dell’interno;

– resistente –

avverso il decreto n. 289/2021 del Tribunale di Napoli, depositato il

20 gennaio 2021, R.G. n. 30002/2018;

sentita la relazione in Camera di consiglio del relatore cons.

Loredana Nazzicone.

 

Fatto

RILEVATO

che:

Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35-bis, N.A., nato il (OMISSIS) in Senegal ha adito il Tribunale di Napoli impugnando il provvedimento con cui la competente Commissione territoriale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, e di protezione umanitaria.

Il Tribunale, sulla base delle dichiarazioni rese dal ricorrente dinnanzi alla Commissione territoriale, ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale e umanitaria.

Avverso il predetto decreto ha proposto ricorso per cassazione N.A. svolgendo 4 motivi.

L’intimato ha depositato atto di costituzione, al fine di poter eventualmente partecipare alla discussione orale.

Il ricorso è stato assegnato all’adunanza in Camera di consiglio non partecipata, ritenuti i presupposti ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

Diritto

RITENUTO

che:

1. – I motivi sono così rubricati: “1. error in iudicando – violazione del D.Lgs. n. 231 del 2007, art. 3, commi 3, 4 e 5, e art. 14, lett. b; del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, in relazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; 2. error in iudicando – violazione dell’art. 8 CEDU, nonché del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 3, comma 6, e art. 19, commi 1.1. e 1.2, e del D.Lgs. n. 23 del 2008, art. 32, comma 3, così come modif. dal D.L. n. 130 del 2020, conv. in L. n. 173 del 2020, in relazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; 3. Della protezione speciale di cui al combinato disposto del D.Lgs. n. 23 del 2008, art. 32, comma 3, e dell’art. 19 TUI, commi 1 e 1.1; 4. Del diritto al soggiorno per il ricorrere di obblighi costituzionali, di diritto internazionale e convenzionali”.

In particolare, con il primo motivo di ricorso si duole della valutazione di credibilità effettuata dal Tribunale, che l’avrebbe erroneamente frazionata, ritenendo, da un lato, attendibili le dichiarazioni relative alla nazionalità e alla provenienza dal (OMISSIS), e, dall’altro, escludendo la credibilità della riferita vicenda del sequestro, della prigionia e delle torture patite dai ribelli. Inoltre, il giudice avrebbe mancato di osservare la cooperazione istruttoria, laddove non avrebbe contestualizzato la vicenda nella reale situazione del (OMISSIS).

Il secondo motivo censura la mancata valutazione della condizione di vulnerabilità del ricorrente ed il suo grado di integrazione in Italia ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

Il terzo motivo di ricorso si limita a richiamare l’applicabilità al caso di specie della disciplina della protezione speciale D.Lgs. n. 286 del 1998, ex art. 19.

Il quarto motivo si ricollega logicamente al secondo e mira a censurare l’omesso esame della documentazione lavorativa allegata nel corso del giudizio di merito.

2. – Nel richiedere la protezione internazionale, il ricorrente espose di essere fuggito dal proprio paese nel 2011, dopo aver assistito alla morte del fratello, ucciso dai ribelli attivi nella zona del (OMISSIS), ed essere stato rapito e torturato da questi ultimi.

Il Tribunale ha ritenuto che la vicenda narrata dal ricorrente fosse non credibile, con particolare riferimento al fatto che questi non sia stato in grado di fornire una risposta sufficiente ed intrinsecamente coerente in merito alla mancata ricerca di protezione statale da parte sua e all’attualità del pericolo, nonostante i numerosi anni trascorsi dal suo espatrio. Inoltre, il Tribunale ha escluso la sussistenza di una situazione di violenza generalizzata nel Senegal, anche con riferimento alla regione del (OMISSIS), sulla base delle ampie e recenti COI consultate.

Infine, dato atto che la disciplina applicabile ratione temporis al caso di specie è quella introdotta dal D.L. n. 130 del 2020, il Tribunale ha ritenuto che “nel caso di specie, non vi sono specificità che permettano di ricollegare la persona del richiedente alle svariate ed eterogenee problematiche affliggenti il paese…”, ed ha accertato che il ricorrente non presenta problemi di salute ed ha una rete sociale nel paese di origine, né ha allegato specifiche vulnerabilità scaturite dalla sua permanenza in Libia.

3. – Il primo motivo è inammissibile.

Sotto l’egida del vizio di violazione di legge, esso intende in verità riproporre un giudizio sul fatto.

Ed invero, anzitutto, e radicalmente, il giudice del merito ha ritenuto il ricorrente non credibile, sulla base di ampie e circostanziate argomentazioni: al riguardo, questa Corte ha chiarito come “In tema di protezione internazionale, l’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare “veritieri” i fatti narrati; la valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate” (Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503) e “In materia di protezione internazionale, l’accertamento del giudice di merito deve innanzi tutto avere ad oggetto la credibilità soggettiva della versione del richiedente circa l’esposizione a rischio grave alla vita o alla persona; qualora le dichiarazioni siano giudicate inattendibili alla stregua degli indicatori di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, non occorre procedere ad un approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine, salvo che la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatorì (Cass. 27 giugno 2018, n. 16925; e v. Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340).

In particolare, il decreto impugnato è pienamente conforme ai principi espressi da questa Corte (da ultimo, Cass. 24 febbraio 2021, n. 5043), laddove, da un lato, rispetta i canoni legalmente predisposti di valutazione della credibilità del dichiarante D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, e dall’altro lato, espone, all’esito di un esame completo dei fatti di rilievo, una motivazione congrua, effettiva e chiara sul punto, tanto da sottrarsi ad ogni critica, vuoi di violazione di legge ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, vuoi di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Fermo restando che, in ogni caso, non è deducibile in sede di legittimità la eventuale mera insufficienza di motivazione o la prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito (ex multis. Cass. 5 febbraio 2019, n. 3340, cit.).

Sotto il profilo della mancata cooperazione istruttoria, il motivo in esame non muove censure specifiche ad elementi centrali della valutazione effettuata in merito alla credibilità della vicenda (in particolare, non credibilità della mancata richiesta di protezione statale, non attualità del rischio, attuale permanenza della moglie e dei figli nella zona, mancata credibilità circa la diffusione dei ribelli al di fuori dell’area del (OMISSIS), sulla base delle informazioni acquisite ex officio – contrariamente a quanto inizialmente affermato dal ricorrente, il quale avrebbe tuttavia affermato il contrario in un secondo momento).

4. – I rimanenti motivi sono del pari inammissibili.

Il giudice del merito ha ampiamente esaminato e citato le fonti a sostegno della decisione, né sussiste dunque alcuna motivazione apparente, al contrario esponendo il decreto argomenti diffusi e precisi.

Quanto alla protezione umanitaria, il Tribunale ha fatto corretta applicazione delle norme che la regolano, stigmatizzando la mancata allegazione e prova di circostanze concrete idonee a fondarla.

Ne’ il ricorso è specifico nella contestazione delle valutazioni del provvedimento impugnato circa la condizione del richiedente ed il suo difetto di integrazione lavorativa, senza tuttavia che il medesimo fornisca, al di là di generici richiami normativi, indicazioni specifiche che evidenzino una situazione particolare di vulnerabilità.

In particolare, con riguardo al secondo motivo, occorre osservare come, laddove deduce la vulnerabilità del ricorrente per aver subito violenze in (OMISSIS), il ricorso non si confronta con la ritenuta non credibilità della vicenda narrata; mentre, per quanto attiene alla vulnerabilità derivante dalla permanenza in Libia, il Tribunale ha motivato ampiamente al riguardo le ragioni per cui non rileva (p. 15); al pari che nella fase di merito, neppure in questa sede il ricorso contiene allegazioni specifiche di vulnerabilità sorte a seguito della permanenza del ricorrente in Libia.

Al riguardo, si è già chiarito (cfr. Cass. 16 dicembre 2020, n. 28781) che “Il permesso di soggiorno per motivi umanitari non può essere accordato automaticamente per il solo fatto che il richiedente abbia subito violenze o maltrattamenti nel paese di transito, ma solo se tali violenze per la loro gravità o per la durevolezza dei loro getti abbiano reso il richiedente “vulnerabile” ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5; ne consegue che è onere del richiedente allegare e provare come e perché le vicende avvenute nel paese di transito lo abbiano reso vulnerabile, non essendo su sufficiente che in quell’area siano state commesse violazioni dei diritti umani””.

5. – In definitiva, il giudice del merito ha ritenuto il richiedente non credibile ed ha comunque proceduto ad approfondire la situazione del paese di origine sulla base di documentazione aggiornata, escludendo ogni pericolo per il medesimo, nonché ogni situazione di vulnerabilità anche astrattamente riconducibile nella fattispecie normativa.

Pertanto, da un lato il provvedimento impugnato ha compiutamente esaminato la situazione fattuale, dall’altro il ricorrente non fa che riproporre unicamente un giudizio sul fatto, onde il ricorso si palesa inammissibile, in quanto si chiede di ripetere attività preclusa in virtù della funzione di legittimità.

6. – Non occorre provvedere sulle spese di lite, non svolgendo difese l’intimato.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modificato dalla L. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello richiesto, se dovuto, per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2022

 

 

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