Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3745 del 15/02/2018


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Civile Ord. Sez. 2 Num. 3745 Anno 2018
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: CRISCUOLO MAURO

ORDINANZA
sul ricorso 1244-2017 proposto da:
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587, elettivamente
domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e
difende ope legis;
– ricorrente contro

DIANA TOMMASO;
– intimato –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA;’
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio
del 19/12/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;
RAGIONI IN FATTO ED IN DIRITTO

Data pubblicazione: 15/02/2018

Con ricorso depositato dinanzi alla Corte d’appello di Roma in
data 2 gennaio 2015, il ricorrente chiedeva la condanna del
Ministero della Giustizia all’equa riparazione per l’irragionevole
durata del procedimento penale, in relazione al periodo dal
23/3/1993, allorquando era iniziato il dibattimento penale

del 4/7/2014, quando era divenuta definitiva la sentenza che in
parte aveva ravvisato la prescrizione ed in parte era pervenuta
all’assoluzione del ricorrente per i reati di estorsione
aggravata, falsità materiale ed altre fattispecie criminose.
Con decreto del 10/10/2015 il Consigliere delegato della Corte
d’Appello rigettava la domanda ritenendo che la lunga durata
del processo era da ascrivere alla condotta dilatoria posta in
essere dal Diana nel corso del processo penale.
Avverso tale provvedimento proponeva opposizione il
ricorrente e, nella resistenza del Ministero che invocava
l’applicabilità della previsione di cui all’art. 2 co. 2 quinquies
lett. e) della legge n. 89/2001, la Corte di Appello in
composizione collegiale, con decreto del 7/6/2016, accoglieva
l’opposizione.
Riteneva, infatti, che occorreva detrarre dalla durata
complessiva del processo le frazioni temporali durante le quali
il processo, anche all’esito della riunione dei due iniziali
procedimenti, era stato sospeso per l’adesione del difensore ad
astensioni proclamate dalle organizzazioni di categoria ovvero
per legittimi impedimenti dell’imputato, frazioni le quali
ammontavano a cinque anni, nove mesi e cinque giorni.
Quindi, tenuto conto che la durata complessiva del processo
era stata di ventidue anni, detratti i sei anni riconducibili alle
sospensioni per le suddette causali ed il triennio pari alla
durata ragionevole del processo in primo grado, risultava una

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dinanzi al Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, sino alla data

durata del processo eccedente il termine ragionevole pari a
tredici anni, dovendosi quindi riconoscere, in ragione di una
somma pari ad C 500,00 per ogni anno di ritardo, un
indennizzo di importo pari ad C 6.500,00.
Per la cassazione di questo decreto il Ministero della Giustizia

L’intimato non ha svolto difese in questa fase.
Con il primo motivo di ricorso si denunzia la violazione e falsa
applicazione dell’art. 2 co. 2 quinquies lett. e) della legge n.
89/2001, nonché dell’art. 112 c.p.c., evidenziandosi che nel
costituirsi nel giudizio di opposizione, il ricorrente aveva
eccepito l’applicabilità alla fattispecie della previsione che
impone all’interessato la presentazione dell’istanza di
accelerazione a pena di esclusione del diritto all’indennizzo, ma
che su tale eccezione la Corte d’Appello non si è pronunziata.
Il motivo deve ritenersi infondato, dovendosi a tal fine
osservare che nello svolgimento del processo il decreto aveva
dato atto della proposizione dell’eccezione de qua.
Successivamente ha poi provveduto alla disamina nel merito
della pretesa indennitaria, determinando il quantum dovuto in
favore del Diana, al netto dei periodi di sospensione del
processo ricollegabili alla propria condotta, sicchè a fronte di
tale motivazione deve reputarsi che l’eccezione in esame sia
stata quanto meno implicitamente disattesa.
Occorre quindi fare richiamo alla giurisprudenza di questa
Corte per la quale (cfr. Cass. Sez. 2, 4 ottobre 2011, n. 20311;
Cass. Sez. 1, 20 settembre 2013, n. 21612), ad integrare gli
estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza
di un’espressa statuizione del giudice, ma è necessario che sia
stato completamente omesso il provvedimento che si palesa
indispensabile alla soluzione del caso concreto. Ciò non si

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ha proposto ricorso affidato a due motivi.

verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della
pretesa (ovvero dell’eccezione) fatta valere dalla parte, anche
se manchi in proposito una specifica argomentazione, dovendo
ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto quando la pretesa
avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato

pronuncia.
La disamina nel merito della domanda azionata implica come
detto, una, quanto meno implicita, reiezione dell’eccezione
formulata dal Ministero, la quale, attesa la sua portata
preclusiva dell’accoglimento della richiesta indennitaria, risulta
del tutto incompatibile con il contenuto della decisione
adottata.
Il secondo motivo di ricorso denunzia invece la violazione e/o
falsa applicazione dell’art. 2 co. 12 quinquies lett. e) della
legge n. 89/2001, assumendosi che la previsione in esame
sarebbe applicabile anche alla fattispecie posto che il ricorso è
stato depositato in epoca successiva all’entrata in vigore della
norma.
Anche tale motivo è infondato e pertanto deve essere rigettato.
Ai sensi dell’art. 2, comma 2 quinquies, lettera e), della legge

n. 89 del 2001, come introdotto dall’art. 55 del decreto-legge
n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n.
134 del 2012, «Non è riconosciuto alcun indennizzo: (…) e)
quando l’imputato non ha depositato istanza di accelerazione
del processo penale nei trenta giorni successivi al superamento
dei termini cui all’articolo 2-bis».
La disposizione de qua, in forza del medesimo art. 55, comma
2, si applica «ai ricorsi depositati a decorrere dal trentesimo
giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di
conversione del presente decreto», e postula che l’istanza di

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risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della

accelerazione venga presentata nel procedimento penale
allorquando questo abbia appena superato la durata
ragionevole stabilita dall’art. 2.
Successivamente, con la legge n. 208 del 2015, in vigore dal
1° gennaio 2016, il legislatore ha modificato la disciplina

preventivi quale condizione per la possibilità di proporre la
domanda di equa riparazione (art. 1-bis, comma 2, della legge
n. 89 del 2001, introdotto dalla citata legge n. 208 del 2015),
ha abrogato l’art. 2, comma

2-quinquies,

lettera

e),

prevedendo che «l’imputato e le altre parti del processo penale
hanno diritto di depositare, personalmente o a mezzo di
procuratore speciale, un’istanza di accelerazione almeno sei
mesi prima che siano trascorsi i termini di cui all’articolo 2,
comma 2-bis» (art. 1-ter, comma 2, della legge n. 89 del
2001, introdotto dalla legge n. 208 del 2015), ma deve
escludersi che la novella del 2015 sia applicabile alla vicenda in
esame.
Ed, invero alla luce di quanto previsto dall’art. 6 co. 2 bis della
legge n. 89/2001, sempre come modificato dalla legge n.
208/2015, che prevede che “Nei processi la cui durata al 31
ottobre 2016 ecceda i termini ragionevoli di cui all’articolo 2,
comma 2-bis, e in quelli assunti in decisione alla stessa data
non si applica il comma 1 dell’articolo 2”, non è possibile
invocare le conseguenze derivanti dal mancato esperimento dei
rimedi preventivi.
Tornando quindi alla previsione di cui all’art. 2 co. 2 quinquies
lett. e) nella formulazione scaturente dalla novella del 2012,
ritiene la Corte che la stessa non sia applicabile
temporis

ratione

alla fattispecie, in quanto nessuna disposizione

transitoria prevede espressamente la sua applicabilità nei

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dell’equa riparazione, introducendo l’istituto dei rimedi

procedimenti pendenti che, alla data di entrata in vigore della
legge di conversione n. 134 del 2012 (11 settembre 2012),
abbiano superato la ragionevole durata.
Né appare possibile assimilare l’istanza de qua alla diversa
ipotesi della istanza di prelievo nel procedimento

formulazione dell’art. 54, comma 2, del decreto-legge n. 112
del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del
2008, modificata nel 2010 ad opera dell’art. 3, comma 23,
dell’Allegato 4 al d.lgs. n. 104 del 2010 (poi oggetto di
correzione ad opera del d.lgs. n. 195 del 2011), prevede
esplicitamente che “La domanda di equa riparazione non è
proponibile se nel giudizio dinanzi al giudice amministrativo in
cui si assume essersi verificata la violazione dell’art. 2, comma
1, della legge 24 marzo 2001, n. 89, non è stata presentata
l’istanza di prelievo di cui all’articolo 71, comma 2, del codice
del processo amministrativo, né con riguardo al periodo
anteriore alla sua presentazione”, sicchè appare evidentemente
preclusa la possibilità di una equiparazione delle due discipline,
l’una, propria del giudizio amministrativo, esistente sin dal
1907; l’altra, introdotta nel 2012, e prevista per il solo
processo penale, finalizzata unicamente ad introdurre una
condizione per poter ottenere l’equa riparazione per il caso in
cui il procedimento penale si sia irragionevolmente protratto.
Osta alla possibilità di applicare l’art. 2 quinquies, lettera e) ai

procedimenti pendenti che, alla data di entrata in vigore della
legge n. 134 del 2012, avessero già superato la ragionevole
durata, l’ulteriore considerazione secondo cui il termine per la
presentazione della istanza sarebbe decorso, per tali giudizi,
non dal superamento della durata ragionevole, ma dalla
entrata in vigore della legge di conversione, con evidente

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amministrativo, in quanto è sufficiente rilevare che, la

mutamento dei presupposti applicativi della disposizione
stessa.
Peraltro se

la

norma

introdotta

nel

2012,

come

sostanzialmente confermato anche dalla novella del 2015,
laddove l’istanza di accelerazione è stata trasformata in un

acceleratoria, tale finalità ha una sua ragione d’essere solo nel
caso in cui il termine non sia ancora maturato ovvero sia
decorso da appena trenta giorni poiché in tal modo la
presentazione dell’istanza potrebbe essere lo stimolo per
assicurare una sollecita definizione del giudizio, impedendo
quindi il verificarsi del pregiudizio da durata irragionevole del
processo.
La norma quindi conserva una sua logica se interpretata in
un’ottica di prevenzione del danno, intesa cioè quale strumento
in grado di impedire una dilatazione del processo, il cui omesso
utilizzo implica la perdita del diritto all’indennizzo.
Effetti totalmente distorsivi avrebbe la sua estensione al
diverso caso in cui, già alla data di entrata in vigore della legge
del 2012, sia decorso il termine di cui all’art. 2.
In tal caso il pregiudizio derivante dalla durata eccessiva del
giudizio si è già radicato nel patrimonio o comunque si è
manifestato nei suoi effetti nei confronti della parte del
processo, e quindi la mancata presentazione della istanza di
accelerazione non potrebbe incidere anche sul danno già
maturato. Alla parte verrebbe quindi imputata un’inerzia per
una condotta che prima della riforma non era esigibile,
mancando nell’ordinamento processuale penale una specifica
disciplina dell’istanza di accelerazione così come configurata
dal legislatore.

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rimedio preventivo, assegna alla istanza de qua una funzione

D’altronde le varie ipotesi di cui all’art. 2 co. 2 quinquies vanno
a sanzionare condotte colpevoli della parte, o per essere ab
origine connotate da un abuso del processo, ovvero per avere
successivamente consentito di abusare dello strumento
processuale.

colpevolezza del ricorrente, e conforta tale esegesi la
previsione di chiusura di cui alla lett. f) dell’art. 2 co. 2
quinquies, che sanziona le condotte abusive che abbiano
determinato una dilatazione dei tempi del processo.
Il ricorso va quindi rigettato, dandosi continuità a quanto in
precedenza già affermato da questa Corte (cfr. Cass. n.
26627/2016; Cass. n. 23448/2016).
Nulla per le spese atteso il mancato svolgimento di attività
difensiva da parte dell’intimato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Seconda
Sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, in data 19
dicembre 2017.

Il Presidente
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DEPOSITATO IN CANCELLERIA

Roma, 15 FEL3. 2013

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In tale prospettiva l’inerzia deve connotarsi per una

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