Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3739 del 15/02/2018


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Civile Sent. Sez. 2 Num. 3739 Anno 2018
Presidente: PETITTI STEFANO
Relatore: VARRONE LUCA

SENTENZA
sul ricorso 7060-2013 proposto da:
FRATE TERESA (CFFRTTRS33M65C785U), elettivamente domiciliato in
ROMA, VIA MERULANA 234, presso lo studio dell’avvocato CRISTINA
DELLA VALLE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato
GIUSEPPE ROMUALDI;
– ricorrenti contro
DELL’ORO BRUNO (CF.

DLLBRN61E02F712Y), elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA G.FERRARI 11, presso lo studio
dell’avvocato DINO VALENZA, che lo rappresenta e difende;
– controricorrenti avverso la sentenza n. 2847/2012 della CORTE D’APPELLO di
MILANO, depositata il 28/08/2012;

Data pubblicazione: 15/02/2018

U.P. 28.11.2017
N. R.G. 7060/2013
Rei. Varrone

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
28/11/2017 dal Consigliere Dott. LUCA VARRONE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
Capasso che ha concluso per il rigetto del ricorso;
uditi gli Avvocati Cristina Della Valle e Stefano Valenza in sostituzione

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Sondrio, sezione distaccata di Morbegno,
rigettava la domanda di Teresa Frate di condanna di Bruno Dell’Oro al
ripristino dello stato dei luoghi in relazione a una ringhiera, un
tettuccio, un sottotetto con sopralzo e due vedute realizzati in
asserita violazione dell’art. 905 cod. civ. rispetto ad un terreno di sua
proprietà.
2. Teresa Frate proponeva appello, la Corte d’appello di Milano,
respingeva l’impugnazione in relazione a tutti i motivi proposti e
confermava la sentenza di primo grado.
In particolare la Corte d’appello rilevava che, con riferimento
alla sopraelevazione, il giudice di prime cure aveva correttamente
sostenuto che mancava la prova della proprietà dell’attrice sulla corte
comune, in quanto dall’atto di donazione prodotto non risultava che
tra le pertinenze vi fosse anche una quota di comproprietà dell’area
suddetta. Inoltre non era stato chiesto alcun accertamento istruttorio
per dimostrare la contitolarità del bene ai sensi dell’articolo 1117 cod.
civ.
3. Quanto alla sopraelevazione, secondo l’esito della consulenza
tecnica, la stessa rispettava la normativa sulle distanze tra fabbricati.
Per i sopralzi, la normativa locale sulle distanze imponeva l’obbligo
del rispetto delle norme del codice civile.
La doglianza dell’appellante doveva essere disattesa anche
perché il decreto ministeriale n. 1444 del 1968 è diretto ad imporre
dei limiti edilizi ed urbanistici ai Comuni e non può considerarsi
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dell’avv. D-i-Ao Valenza;

U.P. 28.11.2017
N. R.G. 7060/2013
Rei. Varrone

immediatamente operante nei rapporti tra privati, e oltretutto, come
accertato dalla consulenza tecnica d’ufficio, il decreto non era
applicabile trattandosi di una zona A (centro storico) e, precisamente
Al-R, cioè centri di antica formazione.
Dovendosi applicare la normativa codicistica la consulenza

variabile da 3,86 a 4,22 mt dal fondo di cui al mappale 221.
4. In riferimento alla vedute la Corte d’Appello ribadiva la
motivazione del Tribunale circa la mancanza di prova della
comproprietà della Frate sulla corte comune, in quanto ciò che
risultava dal catasto non poteva provare il diritto reale e, oltre a
doversi escludere in base alle planimetrie la contitolarità della Frate,
non poteva attribuirsi valore confessorio rispetto alle osservazioni alle
relazioni peritali effettuate dalla controparte, essendo le stesse
limitate alla dichiarazione di comproprietà di una ristretta porzione tra
il fondo di cui ai mappali 231 e 221.
5. In relazione alla ringhiera la sentenza impugnata confermava
quanto rilevato dal giudice di primo grado circa la preesistenza del
balcone con la ringhiera, realizzati tra il 1988 e il 1989, in
accoglimento dell’eccezione di usucapione del diritto del convenuto a
mantenere quella posizione.
La Corte d’Appello affermava anche che l’usucapione può essere
eccepita per contrastare l’azione di carattere reale della controparte
senza necessità di formulare una domanda apposita. Infine rispetto al
tettuccio condivideva la motivazione del giudice di primo grado che lo
aveva ritenuto elemento accessorio e non nuova costruzione e quindi
non rientrante nelle opere soggette alle distanze ex articolo 905 cod.
civ. e neanche soggetto alla disciplina ex art. 873 cod. civ.
6. Avverso la suddetta sentenza Teresa Frate propone ricorso
per cassazione sulla base di tre motivi. Resiste con controricorso
Bruno Dell’Oro.
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tecnica d’ufficio aveva accertato che il manufatto era ad una distanza

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N. R.G. 7060/2013
Rel. Varrone

7. La ricorrente, in prossimità dell’udienza, ha depositato
memoria illustrativa, insistendo nella richiesta di accoglimento del
ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso si articola in tre distinte censure.

applicazione dell’articolo 2697 cod. civ., in relazione all’articolo 360,
primo comma, n. 3, cod. proc. civ., e contraddittoria motivazione
circa un fatto controverso decisivo per il giudizio in relazione
all’articolo 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. per non aver
ritenuto assolto l’onere probatorio in ordine al diritto di comproprietà
della ricorrente Teresa Frate, sull’immobile corte al foglio 42 Comune
di Civo, mapp. n. 217».
La ricorrente premette che avendo agito in negatoria servitutis
aveva l’onere di fornire una prova meno rigorosa di quella richiesta
nell’azione di rivendica, in relazione alla proprietà del terreno che
legittimava la sua domanda. In tal caso, infatti, è sufficiente la
dimostrazione, con ogni mezzo, anche in via presuntiva, di possedere
il fondo in virtù di un titolo valido, non essendo la titolarità del bene
oggetto della causa.
1.2 In ogni caso la dimostrazione della proprietà del mappale
217 era stata offerta attraverso il deposito di più documenti, tra i
quali l’atto pubblico 9 dicembre 1978, le misure catastali, le
planimetrie depositate presso il catasto, la CTU espletata nel giudizio
n. 71 del 2003 pendente tra le medesime parti e mai contestata; la
relazione tecnica con la quale la parte resistente attraverso il suo
tecnico di fiducia aveva dedotto che la porzione di terreno mapp. n.
217 sita tra i due fabbricati apparteneva alla convenuta (Frate) sia
pure unitamente a terzi.

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1.1 La prima censura è così rubricata: «violazione e falsa

U.P. 28.11.2017
N. R.G. 7060/2013
Rel. Varrone

Ciò sarebbe dimostrato anche dal fatto che in un’altra causa tra
le medesime parti era stata viceversa accertata e dichiarata la
comproprietà di Frate Teresa sulla corte 217 pertinenziale ai
subalterni del fabbricato 217. Il riferimento è alla sentenza n. 1692
del 2009 resa nel procedimento n. 2862 del 2006 presso la seconda

1.3 Infine il compendio probatorio documentale descritto era
anche integrato dalla consulenza tecnica espletata nella causa, la
quale dopo il positivo confronto del titolo di proprietà della signora
Frate con la situazione reale dei luoghi confermava il diritto di
proprietà sullo specifico mappale 217.
La signora Frate, dunque, aveva assolto l’onere che l’articolo
2697 c.c. richiedeva circa la proprietà della corte 217 – in primo luogo
producendo l’atto di donazione dal proprio padre – quindi, era
legittimata a far valere il suo diritto.
1.4 La seconda censura relativa al primo motivo di ricorso è così
rubricata: violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 cod. civ., in
relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., per non
aver privilegiato nell’interpretazione dell’atto di donazione del 1978 la
comune intenzione dei contraenti quale desumibile
dall’interpretazione letterale del documento e dal contegno
complessivo delle parti ed aver così disatteso la titolarità del diritto di
comproprietà della ricorrente sulla corte al foglio mappale 217.
La ricorrente premette che l’accertamento dell’effettiva volontà
delle parti in relazione al contenuto di un negozio, nel caso in
discussione l’atto di donazione del 1978, si traduce in un’indagine di
fatto, affidata ai giudici di merito, che può essere censurata in sede di
legittimità per inadeguata motivazione ovvero per la violazione dei
canoni legali di interpretazione contrattuale di cui all’articolo 1362
cod. civ.

5

sezione civile della Corte d’Appello di Milano.

U.P. 28.11.2017
N. R.G. 7060/2013
Rel. Varrone

In relazione alla violazione dei due richiamati profili la ricorrente
deduce l’errata interpretazione del contratto, e la violazione della
comune intenzione delle parti desumibile dal contratto, dal quale si
evince come il padre non avesse l’intenzione di escludere la figlia
Frate Teresa dal novero dei comproprietari della corte comune

1.5 La terza censura inerente il primo motivo di ricorso è così
rubricata: «violazione e falsa applicazione di legge (art. 1117 cod.
civ.) ed omessa e contraddittoria motivazione circa un fatto
controverso decisivo per il giudizio, per non aver considerato la corte
sul mappale 217 del fg. 42 quale ente comune ex art. 1117 cod. civ.»
La sentenza impugnata ometterebbe di affrontare l’invocata
presunzione di comproprietà della corte mappale 217 in virtù
dell’articolo 1117 cod. civ., norma, dunque, disapplicata. Il ricorrente
fa ulteriore riferimento all’atto di donazione sopra richiamato, e
censura la sentenza nella parte in cui afferma l’assenza di un valido
titolo di acquisto da parte della Frate. Inoltre sarebbe illogica anche
l’affermazione della sentenza secondo cui in base all’allegato D della
CTU il sub. 1 del fg.217 di proprietà della Frate non confina con la
corte 217, sempre al fine di escludere la contitolarità della Frate
quanto alla porzione di spazio in esame.
1.6

Occorre

premettere

che

«In

materia

di ricorso per cassazione, il fatto che un singolo motivo sia articolato
in più profili di doglianza, ciascuno dei quali avrebbe potuto essere
prospettato come un autonomo motivo, non costituisce, di per sé,
ragione d’inammissibilità dell’impugnazione, dovendosi ritenere
sufficiente, ai fini dell’ammissibilità del ricorso, che la sua
formulazione permetta di cogliere con chiarezza le doglianze
prospettate onde consentirne, se necessario, l’esame separato
esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se

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i

facente parte del terreno su cui sorge il fabbricato 217.

U.P. 28.11.2017
N. R.G. 7060/2013
Rei. Varrone

esse fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente
numerati» (Sez. U, Sent. n. 9100 del 2015).
Va ulteriormente premesso che in relazione al vizio di
motivazione denunciato trova applicazione ratione temporis l’ art.360,
primo comma, n. 5, cod. proc. civ. nella versione precedente la

modificazioni dalla I. n. 134 del 2012 (sentenza di appello pubblicata
prima dell’Il settembre 2012), in base alla quale la sentenza poteva
essere impugnata, in sede di legittimità, per omessa, insufficiente o
contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia e
non solo nei nuovi e più ristretti limiti “dell’omesso esame circa un
fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le
parti”.
1.7 Le tre censure sopra riportate sono tutte dirette ad
affermare che nel giudizio di merito la ricorrente aveva fornito la
prova circa la proprietà o comproprietà del mappale 217 sub 1,
circostanza negata sia dal giudice di primo grado che dal Giudice
d’appello.
1.8 Sotto il profilo dell’invocata violazione di legge deve rilevarsi
che secondo la giurisprudenza di questa Corte «Ove si deduca che il
giudice ha fatto cattivo esercizio del proprio prudente apprezzamento
della prova, la censura è consentita esclusivamente ai sensi dell’art.
360, primo comma, n. 5, c.p.c., sicché la prima parte della censura
articolata nel primo motivo, prospettata anche sotto il profilo della
violazione di legge ai sensi del n. 3 dell’art. 360 c.p.c., è
inammissibile (Cass. n. 13960 del 2014; Cass. n. 26965 del 2007).
Per quanto attiene al vizio di motivazione, invece, la censura è
fondata.
A tal proposito secondo la consolidata giurisprudenza di questa
Corte «l’azione diretta al rispetto delle distanze legali è modellata
sullo schema delractio negatoria servitutis”, essendo rivolta non già
7

modifica introdotta dal d.l. n. 83 del 2012, convertito con

U.P. 28.11.2017
N. R.G. 7060/2013
Rei. Varrone

all’accertamento del diritto di proprietà dell’attore, bensì a respingere
l’imposizione di limitazioni a carico della proprietà, suscettibili di dar
luogo a servitù; essa, pertanto, non esige la rigorosa dimostrazione
della proprietà dell’immobile a cui favore l’azione viene esperita,
essendo sufficiente che l’attore dimostri con qualsiasi mezzo, incluse

acquisto (ex plurimis Sez. 2 – , Sentenza n. 25342 del 12/12/2016).
In tema di prova per presunzioni, il giudice, chiamato a
esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella
ricostruzione dei fatti, deve esplicitare il criterio logico posto a base
della selezione degli indizi e le ragioni del suo convincimento, tenendo
conto che il relativo procedimento è necessariamente articolato in due
momenti valutativi: il primo, di tipo analitico, volto a selezionare gli
elementi che presentino una positività parziale o almeno potenziale di
efficacia probatoria, il secondo, di tipo sintetico, tendente ad
una valutazione complessiva di tutte le emergenze precedentemente
isolate, per accertare se esse siano concordanti e se la loro
combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva; è,
pertanto, sindacabile in sede di legittimità la motivazione di tale
percorso logico-giuridico quando siano stati pretermessi, senza darne
ragione, uno o più fattori aventi, per condivisibili massime di
esperienza, un’oggettiva portata indiziante
Sez. 3, Sentenza n. 23201 del 13/11/2015.
In

altri

termini,

affinché

l’apprezzamento

dell’efficacia

sintomatica dei fatti noti sfugga al sindacato del giudice di legittimità,
è necessario, non solo che essi vengano considerati sia singolarmente
che nella loro globalità, all’esito di un giudizio di sintesi, ma anche
che del convincimento così maturato il decidente dia una motivazione
adeguata e corretta sotto il profilo logico e giuridico (cfr. Cass. civ. 28
ottobre 2014, n. 22801; Cass. civ. 6 giugno 2012, n. 9108). Il che,
specularmente, comporta la sindacabilità di una valutazione che abbia
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le presunzioni, di possedere il fondo in base ad un valido titolo di

U.P. 28.11.2017
N. R.G. 7060/2013
Rel. Varrone

pretermesso, senza darne ragione, uno o più fattori aventi, per
condivisibili massime di esperienza, un’oggettiva portata indiziante.
Dunque, la Corte d’Appello di Milano ha omesso di compiere
quel giudizio di sintesi di tutti gli elementi indizianti risultanti
dall’istruttoria, limitandosi a considerarli solo nella loro individualità,

consulenza tecnica, in relazione allo stato dei luoghi; la natura
pertinenziale della corte oggetto di contestazione; la sentenza n.
1692 del 2009, resa nel procedimento n. 2862 del 2006 presso la
Corte d’Appello di Milano, seconda civile tra le medesime parti, con la
quale era stata accertata e dichiarata la comproprietà di Frate Teresa
sulla medesima corte 217, pertinenziale ai subalterni del fabbricato
217 (vedi pag. 10 del ricorso). Tale statuizione, peraltro, è passata in
giudicato con sentenza confermativa di questa Corte n. 7058 del
2017.
A ciò si aggiunga che la motivazione in ordine alla presunzione
di comproprietà del bene, ai sensi dell’articolo 1117 cod. civ., è del
tutto insufficiente. La Corte d’Appello, infatti, al fine di escludere la
presunzione di contitolarità della Frate quanto alla porzione di spazio
in esame si è limitata ad affermare che la ricorrente non aveva
chiesto alcun accertamento istruttorio sul punto e che dagli atti
emergeva che il sub. 1 del fg.217 di proprietà della Frate non
confinava con la corte 217.
La giurisprudenza di questa Corte in tema di presunzione di
comproprietà ha ripetutamente affermato che «In tema di condominio
degli edifici, la presunzione legale di comunione di talune parti,
stabilita dall’art. 1117 cod. civ., trova applicazione anche nel caso di
cortile esistente tra più edifici appartenenti a proprietari diversi, ove
lo stesso sia strutturalmente destinato a dare aria, luce ed accesso a
tutti i fabbricati che lo circondano» Sez. 2, Sent. n. 17993 del 2010.

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in particolare: il citato atto di donazione; le risultanze della

U.P. 28.11.2017
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Rei. Varrone

Il principio è stato affermato anche con riguardo ad edifici
limitrofi strutturalmente autonomi; in particolare si è detto che «la
presunzione legale di comunione di talune parti, stabilita dall’art.
1117 cod. civ., senz’altro applicabile quando si tratti di parti dello
stesso edificio, può ritenersi applicabile in via analogica anche quando

comuni di edifici limitrofi ed autonomi, purché si tratti di beni
oggettivamente e stabilmente destinati all’uso od al godimento degli
stessi, come nel caso di cortile esistente tra più edifici appartenenti a
proprietari diversi, ove lo stesso sia strutturalmente destinato a dare
aria, luce ed accesso a tutti i fabbricati che lo circondano»
(Sez. 2, Sentenza n. 14559 del 30/07/2004).
1.12 In conclusione le rilevate lacune argomentative – che
lasciano intravedere veri e propri deficit cognitivi – vulnerano l’iter
decisorio e impongono un nuovo esame degli elementi probatori
offerti dall’attrice, essendo sufficiente che questa dimostri con
qualsiasi mezzo, incluse le presunzioni, il possesso del fondo di cui in
contestazione rispetto alla disciplina delle distanze.
2. Il secondo motivo di ricorso è anch’esso strutturato in
distinte censure.
2.1 La prima censura è così rubricata: «violazione e falsa
applicazione dell’articolo 905 c.c. in relazione all’articolo 360, comma
primo, n. 3, c.p.c. per non aver ritenuto violate, dalla sopraelevazione
e dalle vedute del fabbricato Dell’Oro, le distanze dal confine del
mappali 217 del fg. 42».
Secondo la ricorrente al positivo accertamento della sua
titolarità del diritto di comproprietà sulla corte mappale 217 dovrebbe
conseguire il riconoscimento dell’illegittimità della sopraelevazione del
Dell’Oro.
Sulla base della nozione di sopraelevazione da accogliere, il
sovralzo e le vedute realizzate dal controricorrente violerebbero
10

si tratti non di parti comuni di uno stesso edificio, bensì di parti

U.P. 28.11.2017
N. R.G. 7060/2013
Rel. Varrone

quanto disposto dall’art. 905 cod. civ. rispetto alla distanza dal
confine del fondo 217 di Frate Teresa.
2.2 La censura è assorbita dall’accoglimento del primo motivo.
2.3 La seconda censura proposta con il secondo motivo è così
rubricata: violazione e falsa applicazione degli articoli 8 e 9 del D.M.

c.p.c. per non aver ritenuto violate dalla sopraelevazione e dalle
vedute del fabbricato dell’Oro le distanze dei fabbricati sui mapp. 217,
221, foglio 42
Rileva la ricorrente che le norme citate, di cui la sentenza non
ha tenuto conto, hanno natura di norme primarie prevalenti ed
inderogabili per tutti i regolamenti edilizi approvati dopo l’emanazione
del suddetto decreto ministeriale.
La censura si fonda sul fatto che il fabbricato della Frate è in
zona A nella quale le distanze tra edifici non possono essere inferiori
a quelle intercorrenti tra i volumi edificati preesistenti e la
sopraelevazione, considerata alla stregua di nuova costruzione, deve
essere inderogabilmente posta a distanza di 10 mt. dagli altri
fabbricati. Nella specie considerate le misurazioni del consulente
tecnico d’ufficio le distanze erano inferiori. Anche in relazione alle
altezze massime degli edifici sarebbe violato il disposto dell’articolo 8
del medesimo decreto.
2.4 La censura è fondata.
Impregiudicata la questione relativa alla prova circa la
comproprietà della ricorrente in ordine al mapp. 217, sub. 1, che
spetterà al giudice del rinvio valutare, deve osservarsi che la
motivazione della Corte d’Appello in ordine alla sopraelevazione non è
conforme alla giurisprudenza di questa Corte in materia.
Devono richiamarsi i seguenti principi del tutto consolidati:
In tema di distanze tra costruzioni, l’art. 9, secondo comma, del
d.m. 2 aprile 1968, n. 1444, essendo stato emanato su delega
11

n. 1444 del 1968 in relazione all’articolo 360, primo comma, n. 3,

U.P. 28.11.2017
N. R.G. 7060/2013
Rei. Varrone

dell’art. 41-quinquies della legge 17 agosto 1942, n. 1150 (c.d. legge
urbanistica), aggiunto dall’art. 17 della legge 6 agosto 1967, n. 765,
ha efficacia di legge dello Stato, sicché le sue disposizioni in tema di
limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati
prevalgono sulle contrastanti previsioni dei regolamenti locali

Sez. U, Sentenza n. 14953 del 07/07/2011 (Rv. 617949).
Inoltre l’art. 9, primo comma, n. 2), del d.m. 2 aprile 1968,
n. 1444 – emanato in forza dell’art.

41-quinquies della legge 17

agosto 1942, n. 1150, aggiunto dall’art. 17 della legge 6 agosto
1967, n. 765 – in base al quale la distanza tra pareti finestrate di
edifici frontisti non deve essere inferiore a dieci metri, si riferisce alle
sole nuove edificazioni consentite in zone diverse dal centro storico
(zona A), posto che in questo ultimo, dove vige il generale divieto di
costruzioni ex novo, la norma si limita a prescrivere che la distanza
non sia inferiore a quella intercorrente tra i volumi edificati
preesistenti (Sez. 2, Sentenza n. 12767 del 20/05/2008).
La sopraelevazione, anche se di ridotte dimensioni, comporta
sempre un aumento della volumetria e della superficie di ingombro e
va, pertanto, considerata a tutti gli effetti, e, quindi, anche per la
disciplina delle distanze come nuova costruzione (Sez. 3, Sentenza
n.21509 del 1/10/2009.
Orbene la Corte d’Appello di Milano non ha fatto corretta
applicazione dei suddetti principi e, al contrario, ha ritenuto che il
D.M. 2 aprile 1968, n. 1444 non fosse immediatamente operante nei
rapporti fra i privati, nonostante l’adozione nel Comune di Civo del
piano regolatore sin dal 1984 e, in secondo luogo, ha ritenuto, sulla
base del rilievo del C.T.U., che la normativa applicabile fosse quella
codicistica perché il manufatto di cui ai mappali 231 e 232 era
ricompreso nella zona Al-R del piano regolatore comunale e nelle

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successivi, ai quali si sostituiscono per inserzione automatica

U.P. 28.11.2017
N. R.G. 7060/2013
Rel. Varrone

zone A del d.m. n. 1444 del 2 aprile 1968, nonostante si trattasse di
una sopraelevazione, da intendersi sempre come nuova costruzione.
Deve dunque affermarsi il seguente principio di diritto:
I limiti inderogabili di densità, altezza e distanza tra i fabbricati
previsti dall’art. 9, secondo comma, del d.m. 2 aprile 1968, n. 1444,

1942, n. 1150 – c.d. legge urbanistica, aggiunto dall’art. 17 della
legge 6 agosto 1967, n. 765) che prevalgono sulle contrastanti
previsioni dei regolamenti locali successivi, ai quali si sostituiscono
per inserzione automatica, trovano applicazione anche con
riferimento alle nuove costruzioni, quali devono considerarsi le
sopraelevazioni effettuate in zona A (centro storico) dove, vigendo il
generale divieto di realizzazione di costruzioni ex novo, è previsto
solo che le distanze tra gli edifici interessati da interventi di
ristrutturazione e di risanamento conservativo (i soli consentiti), non
possano essere inferiori a quelle intercorrenti tra i preesistenti volumi
edificati.
2.5 La terza censura proposta con il secondo motivo di ricorso è
così rubricata «omessa insufficiente o contraddittoria motivazione
circa un fatto controverso decisivo per il giudizio in relazione
all’articolo 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. per non aver
ritenuto violate dalla sopraelevazione e dalle vedute del fabbricato
Dell’Oro le disposizioni del piano regolatore generale 1994 del
Comune di Civo vigente all’epoca dell’effettuazione delle opere.
La censura deve ritenersi assorbita.
3. Il terzo motivo di ricorso è così rubricato: «violazione e falsa
applicazione dell’articolo 167, secondo comma, c.p.c. in relazione
all’articolo 360, primo comma, n.3, c.p.c. per non aver ritenuto
l’inammissibilità della domanda riconvenzionale di usucapione del
diritto di veduta dal ballatoio con ringhiera e violazione dell’articolo

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(emanato su delega dell’art. 41-quinquies della legge 17 agosto

U.P. 28.11.2017
N. R.G. 7060/2013
Rel. Varrone

2697 cod. civ. per aver ritenuto esistente da oltre vent’anni il
manufatto de quo.
Si deduce il vizio di ultra petizione della sentenza gravata
laddove riconosce l’esistenza ultraventennale del balcone con
ringhiera in quanto Dell’Oro aveva posto la domanda riconvenzionale

dell’udienza ex art. 167 cod. proc. civ.
Né tale domanda poteva essere riqualificata come eccezione.
Inoltre si contesta che la Corte abbia deciso sulla base del
riscontro probatorio derivante da una fotografia senza invece
prendere in considerazione le dichiarazioni testimoniali richieste dalla
difesa della Frate.
3.1 Con il terzo motivo viene proposta anche l’ulteriore censura
così rubricata: «violazione e falsa applicazione di legge (art. 905 c.c.)
in relazione all’articolo 360, primo comma, n.3 c.p.c., per non aver
ritenuto violate dalle nuove opere (ringhiera sul ballatoio e tettuccio)
le distanze dal confine con il mapp. n. 217 e dal fabbricato mapp.
221.
Secondo la ricorrente entrambe le opere non possono essere
ritenute aventi funzione meramente ornamentale o di minima entità e
dunque sono soggette alle prescrizioni normative sulle distanze.
3.2 n terzo motivo nella prima parte è infondato e nella
seconda inammissibile.
È infondato perché secondo la giurisprudenza consolidata cui il
Collegio intende dare continuità «La decadenza dalla proposizione
di domanda riconvenzionale di usucapione, per inosservanza del
termine stabilito dall’art. 166 cod. proc. civ., non impedisce alla
stessa di produrre gli effetti di una semplice eccezione di usucapione,
mirante al rigetto della pretesa attrice, sempre che la costituzione sia
comunque avvenuta nel termine utile per proporre le eccezioni» (ex
plurimis Sez. 2, Sentenza n. 10206 del 19/05/2015).
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diretta all’usucapione oltre il rituale termine di venti giorni prima

U.P. 28.11.2017
N. R.G. 7060/2013
Rei. Varrone

È inammissibile nella parte in cui pretende una nuova
valutazione delle prove o del carattere di accessorietà della ringhiera
e del tettuccio. Si è già detto, infatti, che secondo il consolidato
orientamento di Questa Corte «il vizio di violazione di legge consiste
nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del

norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo
della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie
concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna
all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione
del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità,
solo sotto l’aspetto del vizio di motivazione (v. tra le varie, Sez. L,
Sentenza n. 195 del 11/01/2016 Rv. 638425; Sez. 5, Sentenza n.
26110 del 30/12/2015 Rv. 638171; Sez. 5, Sentenza n. 8315 del
04/04/2013 Rv. 626129; Sez. L, Sentenza n. 7394 del 26/03/2010
Rv. 612745).
4. Il quarto motivo di ricorso è così rubricato: «violazione falsa
applicazione di legge degli articoli 244, 245, 253 c.p.c., in relazione
all’articolo 360, primo comma, n. 3 c.p.c. per non aver ammesso le
prove orali ritualmente dedotte dall’attrice in primo grado con
memoria 5 gennaio 2007 ed omessa motivazione sul punto.
Anche il quarto motivo di ricorso è inammissibile.
Il vizio di omessa ammissione della prova testimoniale o di altra
prova può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui essa
abbia determinato l’omissione di motivazione su un punto decisivo
della controversia e, quindi, ove la prova non ammessa ovvero non
esaminata in concreto sia idonea a dimostrare circostanze tali da
invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità,
l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il
convincimento del giudice di merito, di modo che la “ratio decidendi”

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provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una

U.P. 28.11.2017
N. R.G. 7060/2013
Rei. Varrone

venga

a

trovarsi

priva

di

fondamento

(ex

plurimis

Sez. 3, Sentenza n. 11457 del 17/05/2007.
5. In conclusione, il ricorso va accolto, limitatamente alla prima
censura del primo motivo e alla seconda censura del secondo motivo,
assorbite le restanti censure dei medesimi motivi, rigettati il terzo e

altra sezione della Corte d’Appello di Milano, la quale procederà ad un
riesame della causa uniformandosi agli enunciati principi e regolerà
anche le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo e il secondo motivo di ricorso
nei sensi di cui in motivazione, rigetta il terzo e quarto motivo, cassa
l’impugnata sentenza e rinvia la causa alla Corte d’Appello di Milano
in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del
giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione
seconda Civile, il 28 novembre 2017.
IL PRESIDENTE
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IL CONSIGLIERE ESTENSORE

tk.

(AA

11 Funzie”n9Giudiziatio
V~ER1

DEPOSITATO IN CANCELLERIA
Roma,

1 5 FU, 2018

quarto motivo, e la sentenza impugnata va cassata, con rinvio ad

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