Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3738 del 15/02/2018


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Cassazione civile, sez. II, 15/02/2018, (ud. 18/10/2017, dep.15/02/2018),  n. 3738

Fatto

RILEVATO CHE:

è stata impugnata la sentenza n. 8327/2016 del Tribunale di Napoli con ricorso fondato su un articolato motivo e resistito con controricorso della parte intimata, che ha eccepito l’inammissibilità del ricorso ex art. 360 bis c.p.c.. Giova, anche al fine di una migliore comprensione della fattispecie in giudizio, riepilogare, in breve e tenuto conto del tipo di decisione da adottare, quanto segue.

Il Giudice di Pace di Napoli, con sentenza n. 21366/2012 condannava l’odierna parte contro ricorrente al pagamento in favore di Q.B. della somma di Euro 240,62 asseritamente dovuta a saldo dell’attività svolta quale perito assicurativo (nonchè alle spese legali liquidate, con attribuzione per complessivi Euro 1.456,54, oltre accessori). Tanto disponeva l’adito Giudice di prime cure a fronte delle eccezioni sollevate dall’odierna Compagnia assicuratrice UnipolSAI controricorrente relative, fra l’altro, alla litispendenza e/o connessione con altri analoghi giudizi, nonchè – in particolare – alla improponibilità della domanda per frazionamento del credito.

A seguito di appello interposto dalla suddetta Compagnia, il Tribunale di Napoli, con la succitata sentenza, riformava la decisione del primo giudice e dichiarava l’improponibilità della domanda avanzata in primo grado dal Q., con condanna dell’appellato alla refusione delle spese del doppio grado del giudizio.

Per quanto in questa sede ancora interessa, il Tribunale, disattesa la doglianza sulla mancata riunione dei numerosi giudizi instaurati dall’attore, ravvisava, sulla scorta della giurisprudenza di legittimità anche a Sezioni Unite, un abusivo frazionamento del credito, posto che gli incarichi professionali, seppur diversi (in quanto riguardanti ciascuno un distinto sinistro), erano tutti riconducibili ad un unico rapporto contrattuale d’opera esistente tra la compagnia di assicurazioni e il Q..

Secondo il Tribunale, proprio la circostanza che il Q. si adeguava alle modalità previste per il pagamento delle spettanze attraverso un particolare sistema informatico, che accettava le parcelle solo se conformi ai criteri amministrativi elaborati, portava ad escludere che tra le parti venisse concluso di volta in volta un contratto autonomo. Il Tribunale rilevava, inoltre, che non risultava dimostrata l’esistenza di alcun interesse meritevole di tutela alla base della operata parceilizzazione.

ricorso viene deciso ai sensi dell’art. 375 c.p.c., u.c., con ordinanza in camera di consiglio non essendo stata rilevata la particolare rilevanza delle questioni di diritto in ordine alle quali la Corte deve pronunciare.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.- In via preliminare va affrontata la questione di nullità del controricorso dedotta dalla parte ricorrente.

In sostanza, secondo la stessa parte, la notifica del controricorso sarebbe nulla perchè in sede di attestazione della conformità della copia telematica non sarebbe stato citato “il relativo nome del file”.

La dedotta nullità si basa su argomentazione del tutto priva di pregio.

Nessuna nullità dell’atto è espressamente sancita al riguardo (nè la parte che ha sollevato l’eccezione ha allegato quale sia il proprio interesse a conoscere, oltre al contenuto dell’atto, anche il nome del file).

L’effettuata notifica del controricorso ha comunque raggiunto il proprio scopo consentendo alla parte avversa di dedurre in proposito, attese le stesse deduzioni ora in esame.

L’eccezione va, pertanto, disattesa.

2.- Col motivo del ricorso sì deduce il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 1175 e 1375 c.c. e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Parte ricorrente lamenta l’erroneità della gravata decisione evidenziando la natura giuridica dell’attività svolta dai periti assicurativi (assimilabile a quella dell’impresa con conseguente assunzione di rischio).

Con lo stesso motivo si deduce, altresì, l’errata interpretazione dei principi nomofilattici espressi dalle S.U. n. 23726/2007 e 5491/2015 in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorrente, in particolare, ritiene che – alla stregua degli invocati principi – il frazionamento abusivo (e la conseguente violazione del principio di buona fede, correttezza e giusto processo) ricorre solo in presenza di un unico rapporto obbligatorio, di un’unica causa petendi, ipotesi non ravvisabile nel caso in esame in cui si discute di una attività di perito assicurativo svolta in favore della Fondiaria SAI spa attraverso singoli incarichi ricevuti. Ritiene irrilevante l’invio delle parcelle in conformità dello schema predisposto dalla società assicuratrice, rispondendo tale modalità solo ad una necessità organizzativa interna della convenuta. Ribadisce la sussistenza di distinti contratti d’opera professionale e quindi la possibilità di instaurare tanti giudizi quanti sono i sinistri nei quali egli aveva eseguito le perizie.

Parte ricorrente – in via gradata e nell’ipotesi in cui fosse, nella fattispecie, affermato l’intervenuto frazionamento del credito – richiama il diverso orientamento che utilizza il rimedio della riunione e della liquidazione delle spese come se si trattasse di un unico processo.

3.- Entrambi i plurimi profili dell’esposto articolato motivo possono essere, per la loro connessione, trattati congiuntamente con complessivo esame delle formulate censure.

In riferimento alle stesse il ricorso è infondato, pur rendendosi necessaria, ex art. 384 c.p.c., u.c., la correzione della motivazione della sentenza impugnata, essendo il dispositivo conforme a diritto.

Partendo dalla ricostruzione del rapporto operata dal Tribunale deve ritenersi che, benchè alla base delle varie obbligazioni vi sia un unico rapporto di durata pluriennale (per usare la stessa espressione del ricorrente), non può da ciò farsi discendere un’unica prestazione professionale e, correlativamente, un’unica obbligazione di pagamento, essendosi invece in presenza di una pluralità di prestazioni, aventi peraltro il medesimo contenuto ed i medesimi caratteri. Risulta accertato infatti che il singolo incarico indicava gli elementi identificativi della stima da effettuare e la remunerazione del perito era collegata unicamente al numero dei sinistri periziati, con accettazione delle parcelle mediante il sistema informatico della Compagnia.

Su tali basi, deve ritenersi che i distinti crediti maturati dal Q. siano inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo e fondati su un medesimo rapporto di durata.

Ebbene, le Sezioni Unite di questa Corte, intervenute di recente sul tema della possibilità di frazionamento giudiziale del credito, hanno affermato che le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benchè relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma solo a determinate condizioni.

E, quindi, solo ove le suddette pretese creditorie (pur facendo capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti ed essendo, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo) non possano essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale.

Nell’esposto contesto le domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata.

E, laddove ne manchi la corrispondente deduzione, il giudice che intenda farne oggetto di rilievo dovrà indicare la relativa questione ex art. 183 c.p.c., riservando, se del caso, la decisione con termine alle parti per il deposito di memorie ex art. 101 c.p.c., comma 2 (Sez. civ., SS. UU, Sent. 16 febbraio 2017, n. 4090).

Sulla scorta di quanto innanzi esposto e dell’orientamento delle S.U., occorre pertanto verificare – venendo al caso di specie – se la mancanza di un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (riscontrata con la gravata decisione e posta a base della pronuncia di improponibilità) abbia formato oggetto di precedente deduzione nel giudizio di merito.

Al riguardo deve, innanzitutto, evidenziarsi che – con mancata sufficiente allegazione – parte ricorrente non specifica dove e quando, nel corso dei giudizi di merito, ha svolto adeguatamente questione sulla natura della attività di impresa svolta e sulla sua diretta incidenza al fine dei frazionamento delle azioni e dei giudizi in dipendenza di un suo effettivo apposito interesse.

Tale aspetto è di certo rilevante, in relazione alla ritenuta infondatezza del ricorso, specie in considerazione della linea difensiva adottata dalla società convenuta, da subito e principalmente, improntata sulla improponibilità della avversa domanda per abusivo frazionamento dei credito, concetto che, come è evidente, presuppone logicamente proprio la contestazione dell’esistenza di un interesse meritevole di tutela a tale modalità di esercizio del diritto di azione,anche in relazione al principio di proporzionalità nell’uso della giurisdizione (Cass. civ., Sent. 21 dicembre 2016 n. 26464).

E sul tema dell’interesse concreto alla proposizione di separati giudizi – fondamentale per la soluzione della questione di diritto che la Corte deve oggi risolvere – il ricorrente si è limitato ad un generico richiamo al rischio di prescrizione, non allegando alcun concreto elemento a sostegno della sua affermazione (decorrenza del termine e sua scadenza), nè deducendo l’esistenza di elementi di fatto idonei a diversificare le prestazioni di volta in volta eseguite e tali da giustificare una trattazione separata delle sue pretese creditorie.

Di conseguenza, il fugace accenno al rischio prescrizione si rivela privo di consistenza ai fini che qui interessano, anche perchè sarebbe stato sufficiente l’invio di un mero atto di costituzione in mora per interrompere il decorso del termine (art. 2943 c.c., u.c.).

Le considerazioni fin qui esposte si pongono in rapporto di coerenza, senza alcuna soluzione di continuità, con la sentenza n. 18810 del 26/09/2016 Sez. 6-2, tra le stesse parti, peraltro emessa prima dell’anzidetto intervento chiarificatore delle sezioni unite, e resa in fattispecie in cui, anche alla luce della assenza di attività difensiva della controparte, occorreva chiarire il necessario vincolo di unitarietà intrinseca del rapporto controverso, non emergendo ancora l’entità della complessiva vicenda giudiziaria viceversa da ultimo emersa.

Al riguardo non appare inutile sottolineare come parte controricorrente abbia avuto modo di chiarire espressamente “l’unitarietà della prestazione, la continuità del rapporto professionale (con attribuzione dal solo 2001 al Q. di 7.500 incarichi con importo liquidato, a saldo, di circa 500miia euro), e l’abuso degli strumenti processuali (oltre 1400 giudizi ed oltre seicento procedure esecutive)”, tutte svolte dai medesimi legali indicati nominativamente in controricorso e memoria.

Anche alla luce di tali emergenze l’esaminato e ricorrente vincolo di unitarietà non poteva che impedire l’esposto rilevante fenomeno di frazionamento del credito posto in esser senza alcun pur dovuto “limite all’agire processuale” (Cass civ., SS.UU., Sent. 10 agosto 2014, n. 14374) ed in assenza di concreto interesse al frazionamento dei giudizi.

Per di più ancora, nella fattispecie in esame – invero del tutto particolare – appare del tutto incongruo il richiamo effettuato, da ultimo, in ricorso al dictum di Cass. n.ri 10634/2010, 10488/2011 e 9488/2014 ovvero alla “rimediabilità degli effetti distorsivi della parcellizzazione giudiziale del credito” attraverso il semplice ricorso alla mera condanna alle spese in luogo della improponibilità della domanda.

Tale rimedio, prospettato dal ricorrente, non può essere adottato per l’esposta e dirimente mancanza di un comprovato interesse specifico alla trattazione separata delle pretese creditorie, nonchè per la sintomaticità della controversia.

Deve, al riguardo, rilevarsi, come – in fattispecie invero non usuali come quella oggi in esame – sia elemento fortemente rivelatore di abuso del diritto e, quindi, di improponibilità il “mancato accorpamento delle richieste di compensi per un loro esame globale e complessivo” (Cass. n. 14374, cit.) e l’utilizzazione di plurimi atti per ottenere distinti titoli giudiziali con indebita frazionabilità delle azioni (Cass. civ., SS.UU., 17 gennaio 2007, n. 961), condotte – tali ultime due – che le Sezioni Unite di questa Corte hanno, con le citate decisioni, sanzionato sotto il profilo deontologico forense indirettamente confermando l’improponibilità di un siffatto modo di agire in giudizio.

4.- Il ricorso, stante – per le esposte ragioni – la sua infondatezza, va pertanto rigettato.

5.- L e spese seguono la soccombenza e, per l’effetto, si determinano così come da dispositivo.

6.- Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, stesso art. 13, comma 1 bis.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della parte contro ricorrente delle spese dei giudizio, determinate in Euro 845,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 18 ottobre 2017.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2018

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