Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3738 del 15/02/2011

Cassazione civile sez. II, 15/02/2011, (ud. 03/12/2010, dep. 15/02/2011), n.3738

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SETTIMJ Giovanni – Presidente –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

L.G., rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale in calce al ricorso, dall’Avv. DEFILIPPI Claudio,

elettivamente domiciliato nello studio dell’Avv. Leonardo Petitta in

Roma, Piazza Antonio Meucci, n. 23;

– ricorrente –

contro

HIDEVIME s.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, e

ATREYU IMMOBILIARE s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore;

– intimate –

avverso la sentenza della Corte d’appello di Milano n. 2932 in data

29 ottobre 2008.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 3

dicembre 2010 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti.

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che il consigliere designato ha depositato, in data 6 agosto 2010, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ.: “Il Tribunale di Milano ha respinto la domanda di risoluzione per inadempimento avanzata da L.G. nei confronti della Hidevime s.a. e della Atreyu Immobiliare s.r.l., in relazione al contratto con il quale l’attore aveva acquistato il diritto di godimento turnario su un appartamento ad uso turistico sito in (OMISSIS) nel complesso denominato “Atlantic Club Reserva de Marbella”.

Il Tribunale ha rilevato: (a) che il dedotto inadempimento relativo alla mancanza di rogito non è ravvisabile nella fattispecie, perchè l’invocato art. 3 del contratto non stabilisce alcun obbligo a carico della venditrice di formalizzare il contratto in un atto notarile prima che il L. possa procedere alla vendita del proprio diritto a terzi, ed anzi il contratto pone il relativo onere a carico dell’acquirente; (b) che l’inserimento di clausole vessatorie nel contratto non rappresenta un inadempimento (che presuppone l’esistenza di un obbligo rispetto al quale una parte venga meno), ma attiene alla formazione del contratto ove dette clausole sono state apposte: e non risultando proposta dall’attore altra domanda oltre a quella di risoluzione del contratto per inadempimento, è del tutto irrilevante ogni valutazione sulla natura vessatoria delle clausole che, ove ravvisabile, porterebbe ad una pronuncia diversa da quella richiesta.

La Corte d’appello di Milano, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 2 9 ottobre 2008, ha rigettato il gravame del L., confermando la pronuncia impugnata.

La Corte territoriale ha ribadito che, anche ammettendo il dovere del giudice di rilevare d’ufficio la vessatorietà di una clausola contrattuale, da tale conclusione non potrebbe comunque derivare l’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto, ma, semmai, la declaratoria di nullità della clausola in questione, che si pone in contraddizione logica con la richiesta di risoluzione; ed ha escluso di poter ricavare dal complesso delle difese dell’attore che questi abbia ipotizzato la risoluzione del contratto come effetto della vessatorietà delle clausole, essendo stata la risoluzione ipotizzata per non avere avuto il consumatore la possibilità di alienare il proprio diritto di godimento turnario, a causa della carenza del rogito.

Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello il G. ha proposto ricorso, con atto notificato il 4 dicembre 2009, sulla base di un motivo.

Le società intimate non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

L’unico motivo (violazione e falsa applicazione dell’art. 112, cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3) si conclude con il quesito se “vizia la propria pronunzia il giudice ad quem che sulla scorta delle sole motivazioni della pronuncia del giudice di prime cure non pronunci su tutta la domanda, ovvero, nel caso di specie, sulla domanda volta alla declaratoria di vessatorietà delle clausole contrattuali sul presupposto che la parte abbia formulato la sola domanda di risoluzione, sebbene il giudice di merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non sia obbligato ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali le domande medesime risultano contenute, ma debba, al contrario, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, così come evincibile dalla natura e delle peculiarità delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante”.

Il motivo è inammissibile, per genericità del quesito e del motivo che lo veicola.

Il ricorrente si limita a riportare delle massime di giurisprudenza sul dovere del giudice a quo, in sede di interpretazione della domanda giudiziale, di tenere conto della volontà della parte quale emerge non solo dalla formulazione letterale delle conclusioni assunte nell’atto di citazione ma anche dall’intero complesso dell’atto che le contiene, considerando la sostanza della pretesa e valutando anche le specificazioni e precisazioni intervenute nel corso di causa.

Ma il ricorrente non cala questo principio giurisprudenziale nella concretezza della vicenda processuale, e non specifica quale altra domanda – diversa da quella di risoluzione del contratto per inadempimento – egli abbia sottoposto al primo giudice, non individua il rapporto di strumentalità esistente tra il richiesto accertamento della vessatorietà di alcune clausole contrattuali e detta, ulteriore domanda, nè, ancora, evidenzia quale connessione sia ipotizzatile tra tale accertamento di vessatorietà e la richiesta risoluzione.

Nel corpo del motivo si riporta, bensì, l’indicazione degli articoli di legge richiamati nelle conclusioni rassegnate (“previe le declaratorie tutte del caso e di legge … ed in totale riforma, per violazione dell’art. 1469 c.c., e segg., art. 1453 cod. civ., della Legge Comunitaria n. 39 del 2002, art. 10, artt. 1337 e 1375 cod. civ., art. 115 cod. proc. civ., art. 1427 cod. civ.”). Ma la Corte territoriale ha sottolineato – e tale ratio decidendi non è stata censurata dal ricorrente – che i profili attinenti alla formazione del contratto ed a pretesi vizi della volontà dell’attore sono estranei al contenuto delle difese svolte dal L. in primo grado, e pertanto inammissibili per novità”.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio condivide argomenti e proposte contenuti nella relazione ex art. 380 bis cod. proc. civ., alla quale non sono stati mossi rilievi critici;

che il ricorso deve essere pertanto dichiarato inammissibile;

che nessuna statuizione sulle spese deve essere adottata, non avendo le intimate svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 3 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2011

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