Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3736 del 13/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 13/02/2017, (ud. 01/12/2016, dep.13/02/2017),  n. 3736

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – rel. Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10782-2011 proposto da:

D.F.G., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA GERMANICO 96, presso lo studio dell’avvocato LETIZIA TILLI,

rappresentato e difeso dall’avvocato SABATINO CIPRIETTI, giusta

delega in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, UNIVERSITA’ E RICERCA, C.F. (OMISSIS),

UFFICIO SCOLASTICO REGIONALE PER L’ABRUZZO – UFFICIO (OMISSIS)

L’AQUILA, in persona dei legali rappresentanti pro tempore,

rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, presso

i cui Uffici domicilia ope legis in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI,

12;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 427/2010 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 19/04/2010 R.G.N. 631/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/12/2016 dal Consigliere Dott. LUCIA TRIA;

udito l’Avvocato FEDERICO DI MATTEO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La sentenza attualmente impugnata (depositata il 19 aprile 2010) respinge l’appello di D.F.G. avverso la sentenza del Tribunale di Pescara n. 577/2009, di rigetto dei ricorsi riuniti proposti dal D.F. nei confronti del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca scientifica (d’ora in poi: MIUR) e dell’Ufficio scolastico regionale per l’Abruzzo Ufficio (OMISSIS) L’aquila rispettivamente avverso il provvedimento di sospensione cautelare facoltativa dal servizio e il provvedimento disciplinare di sospensione dal servizio, entrambi irrogatigli per il periodo 12 marzo 2007-20 giugno 2007.

La Corte d’appello dell’Aquila, per quel che qui interessa, precisa che:

a) con riguardo alle censure relative al provvedimento di sospensione cautelare facoltativa dal servizio è da confermare la statuizione del primo giudice circa la carenza di interesse ad impugnare “autonomamente” tale provvedimento, visto che è indubbio che laddove il procedimento disciplinare si concluda in senso sfavorevole al dipendente con l’adozione della sanzione disciplinare, la precedente sospensione dal servizio – pur strutturalmente e funzionalmente autonoma rispetto al provvedimento di irrogazione della sanzione – viene a saldarsi con tale ultimo provvedimento, avendo esaurito la propria specifica funzione;

b) in ogni caso devono ritenersi sussistenti tutti gli elementi per emanazione del provvedimento di sospensione facoltativa, data la gravità dei fatti di concussione continuata e calunnia aggravata per i quali il D.F. risultava sottoposto a procedimento penale;

c) in merito al provvedimento disciplinare di sospensione dal servizio va, innanzi tutto, precisato che non è configurabile alcuna violazione della L. n. 241 del 1990, art. 7 che detta l’obbligo per la P.A. di comunicare all’interessato l’avvio del procedimento amministrativo che lo riguarda, perchè tale norma, benchè rechi un principio generale, non è applicabile quando sussistano comprovate esigenze di celerità che, di regola, devono essere esplicitate, ma che possono ritenersi implicite nella finalità cautelare propria della sospensione dal servizio del pubblico dipendente, come affermato dalla giurisprudenza amministrativa;

d) nel merito, il suddetto provvedimento appare del tutto conforme al D.Lgs. n. 297 del 1994, artt. 492, 494 e 495 visto che, diversamente da quanto afferma il D.F., la misura in oggetto non riguarda soltanto comportamenti che traggono origine dalle funzioni esercitate ma ogni condotta idonea a recare pregiudizio alla dignità delle funzioni esercitare e al prestigio e decoro della PA., quali sono quelli di cui si tratta;

e) infine, va precisato che tale pregiudizio non è certamente venuto meno con la revoca della misura cautelare restrittiva della libertà personale, disposta solo agli effetti del procedimento penale.

2. Il ricorso di D.F.G. domanda la cassazione della sentenza per tre motivi; resistono, con un unico controricorso, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca scientifica (d’ora in poi: MIUR) e l’Ufficio scolastico regionale per l’Abruzzo – Ufficio (OMISSIS) L’aquila, rappresentati e difesi dall’Avvocatura generale dello Stato.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Sintesi dei motivi di ricorso.

1. Il ricorso è articolato in tre motivi.

1.1. Con il primo motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, artt. 91 e 92 nonchè del D.Lgs. n. 297 del 1994; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Il ricorrente – muovendo dalla premessa secondo cui i fatti di concussione continuata e calunnia aggravata per i quali era sottoposto a procedimento penale con i relativi riflessi nei mass-media locali, non erano tali da ledere il prestigio della scuola nella quale insegnava sostiene che sarebbe priva di motivazione la statuizione con la quale la Corte d’appello ha ritenuto sussistenti tutti gli elementi necessari per l’emanazione sia del provvedimento disciplinare di sospensione dal servizio sia del provvedimento di sospensione cautelare facoltativa dal servizio, entrambi irrogatigli per il periodo 12 marzo 2007-20 giugno 2007.

1.2. Con il secondo motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 10, artt. 91 e 92 nonchè del D.Lgs. n. 297 del 1994, artt. 492, 494 e 495; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Si ribadisce che la Corte aquilana avrebbe ritenuto sussistente la lesione all’immagine della Scuola in modo apodittico e allo stesso modo avrebbe affermato la ricorrenza dei presupposti per la sospensione facoltativa e per quella disciplinare.

La fattispecie di cui si tratta, invece, non era assimilabile ad alcuna di quelle per i quali è applicabile la sospensione dall’insegnamento da oltre un mese a sei mesi ai sensi del D.Lgs. n. 297 del 1994, artt. 492 e 495 tanto che la Corte territoriale si sarebbe limitata a qualificare come “di particolare gravità” i fatti per i quali era in corso il procedimento penale di cui si tratta.

1.3. Con il terzo motivo si denunciano: a) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 241 del 1990, art. 7; b) in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, illogica, contraddittoria e insufficiente motivazione.

Si contesta la statuizione di rigetto della censura relativa alla mancata comunicazione di avvio del procedimento disciplinare, da parte dell’Amministrazione.

Si rileva che di tale incombente la P.A. può fare a meno solo in caso di esercizio del potere disciplinare in via d’urgenza, ma ciò può avvenire solo se ne vengono esplicitate le ragioni, non con motivazione implicita, come accaduto nella specie.

2 – Esame delle censure.

2. Il ricorso non è da accogliere, per le ragioni di seguito esposte.

3. Preliminarmente va precisato che, come risulta dall’Allegato A del D.Lgs. n. 165 del 2001 (richiamato dall’art. 71 D.Lgs. medesimo), ai sensi dell’art. 69, comma 1 stesso D.Lgs. nel Comparto della Scuola a decorrere dal 5 agosto 1995 (art. 82 CCNL 1994-97) hanno cessato di produrre effetto, per tutto il personale non dirigenziale, fra l’altro il D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3, artt. da 91 a 99.

Pertanto, la relativa disciplina legislativa è dettata dal D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 55 e ss. e dalla L. 27 marzo 2001, n. 97 (come modificata nel corso del tempo) qualora si tratti di procedimento disciplinare, collegato a procedimento penale (vedi, per tutte: Cass. 27 maggio 2014, n. 11827 e Cass. 10 giugno 2016, n. 11988).

4. Detto questo, i primi due motivi di ricorso – da trattare insieme, perchè intimamente connessi – sono inammissibili, salvo restando che risulta conforme ad un consolidato e condiviso orientamento di questa Corte l’affermazione secondo cui se il procedimento disciplinare si conclude in senso sfavorevole al dipendente, la precedente sospensione dal servizio – pur strutturalmente e funzionalmente autonoma rispetto al provvedimento di irrogazione della sanzione – viene a saldarsi con tale ultimo provvedimento, avendo esaurito la propria specifica funzione (vedi, per tutte: Cass. 9 settembre 2008, n. 22863 e Cass. 12 maggio 2015, n. 9618).

4.1. Alla inammissibilità si perviene in quanto, nonostante il formale richiamo alla violazione di norme di legge contenuto nell’intestazione di entrambi i suddetti motivi, tutte le censure con essi proposte si risolvono in una generica denuncia di vizi di motivazione della sentenza impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei fatti e quindi finiscono con l’esprimere un mero, quanto inammissibile, dissenso rispetto alle motivate valutazioni di merito delle risultanze probatorie di causa effettuate dalla Corte d’appello, anzichè sotto il profilo della eventuale scorrettezza giuridica e/o della incoerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, unici vizi denunciabili in questa sede in base all’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo applicabile nella specie, “ratione temporis”, antecedente la sostituzione ad opera del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134.

Al riguardo va ricordato che, in base alla suindicata disposizione, la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata non conferisce al Giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica delle argomentazioni svolte dal Giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicchè le censure concernenti il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali diversa da quella accolta dal Giudice del merito (vedi, tra le tante: Cass. 20 gennaio 2015, n. 855; Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486; Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; Cass. 13 gennaio 2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3 ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27 aprile 2005, n. 8718).

Infatti, la prospettazione da parte del ricorrente di un coordinamento dei dati acquisiti al processo asseritamente migliore o più appagante rispetto a quello adottato nella sentenza impugnata, riguarda aspetti del giudizio interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti che è proprio del giudice del merito, in base al principio del libero convincimento del giudice, sicchè la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. – apprezzabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella anzidetta versione, nei limiti del vizio di motivazione come ivi configurato – deve emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 26 marzo 2010, n. 7394; Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. 20 giugno 2006, n. 14267; Cass. 12 febbraio 2004, n. 2707; Cass. 13 luglio 2004, n. 12912; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965; Cass. 18 settembre 2009, n. 20112).

4.2. Nella specie le valutazioni delle risultanze probatorie operate dal Giudice di appello sono congruamente motivate e l’iter logico-argomentativo che sorregge la decisione è chiaramente individuabile, non presentando alcun profilo di manifesta illogicità o insanabile contraddizione, risultando, in particolare adeguatamente motivate la valutazione della gravità dei fatti per i quali il D.F. risultava sottoposto a procedimento penale nonchè la rilevanza di tali fatti ai fini del D.Lgs. n. 297 del 1994, artt. 492, 494 e 495 riguardando tali disposizioni non soltanto i comportamenti che traggono origine direttamente dalle funzioni esercitate ma ogni condotta idonea a recare pregiudizio alla dignità delle funzioni esercitate al prestigio e decoro della P.A.

In tale situazione, il ricorrente, in modo del tutto generico e apodittico, si limita a sostenere che i reati di concussione continuata e calunnia aggravata per i quali era all’epoca sottoposto a procedimento penale, con i conseguenti riflessi nei mass-media locali, non erano tali da ledere il prestigio della scuola nella quale insegnava, esprimendo così un mero dissenso valutativo delle risultanze di causa e invocando, nella sostanza, un diverso apprezzamento di merito delle stesse.

5. Il terzo motivo non è fondato.

Va, infatti, osservato che, come correttamente affermato dalla Corte territoriale:

a) nel procedimento disciplinare non sussiste l’obbligo della comunicazione all’interessato dell’avvio del procedimento amministrativo, perchè in tale procedimento la funzione della suddetta comunicazione è svolta dall’atto con il quale il dipendente non solo è reso edotto di un procedimento instaurato nei suoi confronti, ma è messo in condizione di conoscere con precisione quale comportamento gli si contesta, consentendogli così di esercitare il proprio diritto di difesa dall’addebito con la presentazione di giustificazioni (vedi, in tal senso: Cons. Stato, Sez. 4, 8 luglio 2003, n. 4050);

b) la L. n. 241 del 1990, art. 7, che detta l’obbligo per la P.A. di comunicare all’interessato l’avvio del procedimento amministrativo che lo riguarda, se pur reca un principio generale, non è applicabile quando sussistano comprovate esigenze di celerità che, di regola, devono essere esplicitate, ma che possono ritenersi implicite nella finalità cautelare propria della sospensione dal servizio del pubblico dipendente (vedi, per tutte: Cons. Stato, Sez. 6, 11 gennaio 2010, n. 19).

3 – Conclusioni.

6. In sintesi, il ricorso deve essere respinto. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza.

PQM

La corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione, liquidate in 3500,00 (tremilacinquecento/00) per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione lavoro, il 1 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2017

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