Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3734 del 12/02/2021

Cassazione civile sez. I, 12/02/2021, (ud. 30/11/2020, dep. 12/02/2021), n.3734

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TIRELLI Francesco – Presidente –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – rel. Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 9233/2019 proposto da:

S.S., elettivamente domiciliato preso l’avv. Deborah Berton

dalla quale è rappres. e difeso, con procura speciale a margine del

ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro p.t., elettivamente

domiciliato in Roma, in via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 20/2019 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE,

depositata il 22/01/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

30/11/2020 dal Cons., Dott. CAIAZZO ROSARIO.

 

Fatto

RILEVATO IN FATTO

CHE:

S.S. – cittadino del Senegal- propose ricorso avverso il provvedimento emesso dalla Commissione territoriale di diniego del riconoscimento della protezione internazionale, sussidiaria ed umanitaria, esponendo che nell’aprile del 2015, mentre presenziava ad una cerimonia nel sud del paese per la circoncisione di alcuni bambini, era scoppiato un conflitto a fuoco tra militari e guerriglieri i quali, scappando, erano entrati nella capanna della sua famiglia ed avevano assalito i suoi genitori e sua moglie, uccidendo le due donne e ferendo a morte il padre che, al suo rientro, ancora agonizzante, lo aveva avvisato che i guerriglieri lo reputavano responsabile degli accadimenti per una presunta attività di spia, e lo aveva invitato a scappare per il timore di una vendetta nei suoi confronti.

Con ordinanza emessa il 30.10.17, il Tribunale rigettò la domanda, osservando che: sussistevano forti dubbi circa la reale provenienza del richiedente dalla regione del Casamance; che la storia narrata era inverosimile, apparendo illogico che il padre dell’istante si fosse trasferito per fare il contadino a sud del paese, in un’area oggetto di guerra civile e poi indirizzato il figlio, all’età di sette anni, a studiare nel villaggio natale; era altresì inverosimile l’assalto armato alla capanna familiare e che il ricorrente fosse fuggito dal Senegal non subito, ma dopo un semestre e solo dopo essere tornato al villaggio natale; dai rapporti esaminati non risultavano situazioni di violazione dei diritti umani, ad esclusione che nella regione del Casamance ove però i conflitti armati erano occasionali, o di violenza indiscriminata tale da costituire un pericolo per il ricorrente; che non era stata dimostrata una condizione di vulnerabilità al fine del riconoscimento della protezione umanitaria.

S.S. propose appello avverso la suddetta ordinanza che, con sentenza emessa il 22.1.19, fu respinto dalla Corte territoriale osservando che: la narrazione dell’appellante era lacunosa e non appariva veritiera, mancando una conoscenza dello stato dei luoghi e della situazione ambientale oggetto delle dichiarazioni rese in sede di audizione; non aveva trovato riscontri l’asserita provenienza del ricorrente dall’area a sud del Senegal; era da confermare il rilievo del Tribunale circa l’incomprensibilità della sua fuga dal paese dopo un semestre dai fatti narrati; pertanto, era da escludere lo status di rifugiato; non sussistevano i presupposti della protezione sussidiaria alla luce dei report esaminati; non era riconoscibile la protezione umanitaria in mancanza di una significativa integrazione in Italia del ricorrente.

S.S. ricorre in cassazione con due motivi.

Resiste il Ministero con controricorso.

Diritto

RITENUTO IN DIRITTO

CHE:

Il primo motivo denunzia l’omesso esame di un fatto decisivo in ordine al grado di pericolosità della discriminazione etnica nella regione di Casamance, tenuto conto delle difficoltà di adire l’autorità giudiziaria per la diffusa corruzione, come desumibile dalle fonti informative citate, e considerati i conflitti armati tra ribelli e forze statuali.

Il secondo motivo denunzia violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3, 4, 5, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e del D.Lgs. n. 251, art. 14, lett. c), per non aver la Corte territoriale, ai fini della protezione sussidiaria ed umanitaria, acquisito informazioni sulla situazione socio-politica del Senegal, caratterizzata da scontri armati ed uccisione di centinaia di civili, e per non aver valutato, per il riconoscimento della protezione umanitaria, il percorso d’integrazione compiuto dal ricorrente, come evidenziato dal contratto di somministrazione a termine alle dipendenze della Manpower s.r.l. con le mansioni di operaio.

Il primo motivo è inammissibile poichè diretto al riesame dei fatti circa la sussistenza nella regione di provenienza del ricorrente di un elevato grado di pericolosità relativo agli atti di persecuzione perpetrati nei confronti dei civili per motivi etnici. Invero, la Corte territoriale, attraverso l’esame di plurime fonti aggiornate, ha accertato che nella regione di Casamance, in passato interessata da un lungo e sanguinoso conflitto armato, emergeva una positiva evoluzione relegando gli sporadici episodi di violenza ancora registrati ad occasionali atti di banditismo che, tuttavia, non integravano una situazione di violenza indiscriminata derivante da conflitto armato interno.

Il secondo motivo è inammissibile. Al riguardo, anzitutto va osservato che la Corte territoriale ha compiuto gli accertamenti sulla situazione socio-politica del Senegal sulla base di plurime fonti aggiornate citate, per cui la doglianza è diretta al riesame del merito di tali accertamenti. Circa la protezione umanitaria, premessa la mancata allegazione di condizioni individuali di vulnerabilità, la Corte territoriale ha escluso, con argomentazioni incensurabili in questa sede, l’integrazione del ricorrente in Italia, anche alla luce del fatto che lo stesso ricorrente aveva dichiarato di essere alla ricerca di un lavoro specializzato con mansioni di saldatore.

Le spese seguono la soccombenza.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore del Ministero dell’Interno, delle spese del giudizio che liquida nella somma di Euro 2,100,00 oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 30 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2021

 

 

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