Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3731 del 13/02/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 13/02/2017, (ud. 24/11/2016, dep.13/02/2017),  n. 3731

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente –

Dott. CURCIO Laura – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. CINQUE Guglielmo – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7451-2011 proposto da:

D.M.C., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA CARLO FARINI 53, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO

CARUSO, rappresentata e difesa dall’avvocato ANTONINO SIRACUSA

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del Presidente

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in

ROMA, VIA L.G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato ARTURO

MARESCA, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1062/2010 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 22/12/2010 R.G.N. 82/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/11/2016 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;

udito l’Avvocato SCANU CESIRA TERESINA per delega orale Avvocato

MARESCA ARTURO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 22 dicembre 2010, la Corte d’Appello di Milano, confermava la decisione resa dal Tribunale della stessa sede e rigettava la domanda proposta da D.M.C. nei confronti di Poste Italiane S.p.A., avente ad oggetto, la declaratoria di nullità dell’apposizione del termine al contratto concluso tra le parti per il periodo 12.7/31.10.2006 ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, come modificato dalla L. 23 dicembre 2005, n. 266, art. 1, comma 558.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto di dover accogliere un’interpretazione della predetta norma tale per cui la stessa deve essere letta nel senso che il legislatore abbia voluto estendere alle imprese concessionarie del servizio postale la medesima disciplina prevista al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 per le imprese del trasporto aereo, interpretazione che assume non in contrasto con l’ordinamento comunitario.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la D. affidando l’impugnazione a sette motivi, cui resiste, con controricorso, la Società, che ha poi presentato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, parte ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, per contrasto con le clausole 1, 3, 4 e 8 dell’accordo quadro recepito direttiva comunitaria 99/70/CE, nonchè con l’art. 102, n. 1 e art. 106, nn. 1 e 2 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, e con i principi comunitari di non discriminazione e di uguaglianza in una con il vizio di insufficiente motivazione, ed infine con gli artt. 1, 3, 10, 11, 35, 76, 101, 102, 104 e 117 Cost., deduce l’erroneità dell’interpretazione del citato art. 2, comma 1 bis, a suo dire, non consentita anche in forza della clausola di non regresso, dalla disciplina comunitaria in materia quale recepita, in base al dettato costituzionale, con la legge di attuazione in termini tali da richiedere ai fini della legittima apposizione del termine la ricorrenza di ragioni obiettive. Con il secondo motivo l’erroneità dell’interpretazione della Corte territoriale relativa alla medesima norma è predicata con riferimento alla L. n. 261 del 2009, agli artt. 23 e 29 dovendosi escludere nei riguardi di Poste Italiane S.p.A. la qualificazione di impresa concessionaria di servizi nel settore delle poste.

Con il terzo motivo, nel denunciare la violazione e falsa applicazione delle stessa norma per contrasto con il D.Lgs. n. 261 del 1999, artt. 1, 3 e 4 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., si deduce l’erroneità del convincimento espresso dalla Corte territoriale in ordine al rispetto della clausola di contingentamento per essere stata la valutazione della Corte stessa operata con riguardo all’intero organico aziendale e non relativamente agli addetti ai servizi postali e comunque per essere inidonea la prova a riguardo offerta dalla Società.

Con il quarto motivo, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 22 e25 del CCNL di settore dell’11.7.2003 in una con il vizio di motivazione, si deduce l’incongruità logico-giuridica del pronunciamento della Corte territoriale in ordine al rispetto della clausola di contingentamento prevista in sede collettiva.

Con il quinto sesto e settimo motivo si deduce la non conformità a diritto della pronunzia della Corte territoriale in relazione al disposto del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1, per asserita mancata specificazione della causale del contratto a termine da ritenersi pertanto nullo ai sensi degli artt. 1418, 1419, 1457 2 2126 c.c. con diritto del lavoratore alla riammissione in servizio ed al risarcimento del danno dalla data di costituzione in mora all’effettivo ripristino del rapporto ai sensi degli artt. 1217, 1337, 1344, 2043 c.c..

Il primo motivo è infondato.

In effetti le questioni di diritto sottoposte sono state già risolte da questa Corte con pronunzia a sezioni unite (sentenza del 31/05/2016 n. 11374) e per alcuni aspetti dalla Corte di Giustizia UE.

Le Sezioni Unite nel precedente citato hanno affermato il seguente principio di diritto, cui in questa sede va data continuità: “Le assunzioni a tempo determinato effettuate da imprese concessionarie di servizi nel settore delle poste, che presentino i requisiti specificati dal D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1-bis, non necessitano anche dell’indicazione delle ragioni di carattere tecnico, produttivo, organizzativo o sostitutivo ai sensi dell’art. 1, comma 1 medesimo D.Lgs.”.

La questione di compatibilità della normativa nazionale con la clausola di non regresso di cui all’articolo 8 della direttiva 1999/70 è stata dichiarata infondata dalla Corte di Giustizia (ordinanza sez. 6, 11/11/2010, n. 20, Vino c/o Poste), che ha valorizzato l’assunto che l’adozione dell’art. 2, comma 1 bis perseguiva uno scopo distinto da quello consistente nella garanzia dell’attuazione, nell’ordinamento nazionale, dell’accordo quadro di cui alla Direttiva 1999/70/CE del Consiglio, essendo finalizzata, piuttosto, a consentire alle imprese operanti nel settore postale un certo grado di flessibilità allo scopo di garantire l’attuazione della direttiva 1997/67/CE in tema di sviluppo del mercato interno dei servizi postali, con particolare riferimento al miglioramento della qualità del servizio.

Nella stessa ordinanza il giudice europeo ha chiarito che la clausola 5 dell’accordo quadro, la quale riguarda la prevenzione contro l’uso abusivo di una successione di contratti o di rapporti di lavoro a tempo determinato, verte unicamente sul rinnovo dei contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione e non si applica, pertanto, alla conclusione di un primo e unico contratto di lavoro a tempo determinato; da ciò discende la infondatezza del dubbio di compatibilità con la clausola 5 dell’accordo quadro recepito dalla direttiva europea, sollevato in relazione al primo ed unico contratto a termine concluso nella fattispecie di causa.

Inammissibile per difetto di autosufficienza del ricorso si rivela invece il secondo motivo atteso che ivi neppure si precisa se le censure volte a sostenere la non riconducibilità della fattispecie all’ambito di applicazione della disposizione di cui al D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 2, comma 1 bis, a motivo dell’impossibilità di qualificare Poste Italiane S.p.A. come società concessionaria del servizio postale, fossero state tempestivamente sollevate nel giudizio di primo grado e ribadite in appello.

L’infondatezza del terzo motivo nella parte in cui fa riferimento all’adozione di un parametro erroneo ai fini della valutazione del rispetto della percentuale del 15% discende dalla considerazione che la norma nulla dispone in relazione alla tipologia delle mansioni esercitate dai dipendenti ai fini della possibilità di assunzione a termine e che una tale limitazione è estranea anche alle motivazioni adottate dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 214 del 2009; e ciò anche a non voler tener conto che nel ricorso non si indica quale incidenza assumerebbe in concreto, ai fini della valutazione del rispetto del limite percentuale del 15%, il computo di unità addette a servizi diversi da quelli propriamente caratterizzanti il servizio postale universale e dalla astratta riferibilità dell’attività degli addetti allo sportello anche a compiti ricompresi nel servizio universale (cfr. Cass. 17 settembre 2015, n. 18294). Ove poi si voglia estendere la portata della censura a ricomprendere l’impugnazione della pronunzia Corte territoriale in ordine alla raggiunta prova del rispetto dell’indicato limite percentuale l’infondatezza discende dall’aver la Corte territoriale rilevato, in forza del principio di acquisizione probatoria, che il rispetto della percentuale di legge doveva ritenersi dimostrata sulla base dei fatti allegati dalla parte a ciò onerata e non contestati ex adverso nella prima occasione processuale utile, atteggiamento difensivo che vale ad espungere quei fatti dall’ambito degli accertamenti richiesti (cfr. Cass. 2 luglio 2015, n. 13609).

Infondato risulta altresì il quarto motivo dovendosi ritenere la clausola di contingentamento prevista in sede collettiva superata dalla diversa previsione in materia posta dalla norma speciale sopravvenuta, così da indurre a ritenere la questione assorbita nel pronunciamento relativo alla raggiunta prova dell’osservanza del limite percentuale legale di nuova introduzione.

Ne deriva l’impossibilità di ravvisare le ragioni di illegittimità dell’apposizione del termine e di farne discendere le conseguenze sanzionatorie secondo quanto dedotto nei punti dal quinto al settimo del ricorso de quo che vanno, pertanto, disattesi. Il ricorso va dunque rigettato con compensazione fra le parti delle spese del presente giudizio di legittimità in considerazione della composizione del contrasto interpretativo da parte di questa Corte in epoca successiva alla presentazione del ricorso medesimo.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e compensa tra le parti le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 24 novembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2017

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