Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3726 del 15/02/2011

Cassazione civile sez. II, 15/02/2011, (ud. 26/01/2011, dep. 15/02/2011), n.3726

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino – Presidente –

Dott. BURSESE Gaetano Antonio – Consigliere –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

L.M. ved. Z., residente in (OMISSIS),

rappresentata e difesa per procura in calce al ricorso dagli Avvocati

Klaus Pancheri, Roland Unterhofer, Ulrike Lobis e Carlo Totino,

elettivamente domiciliato presso lo studio di quest’ultimo in Roma,

via A. Granisci n. 36;

– ricorrente –

contro

Z.O., residente in (OMISSIS), rappresentato e difeso

per procura in calce al controricorso dagli Avvocati prof. Roland

Riz, Elisabeth Kuppelwieser e prof Salvatore Alberto Romano,

elettivamente domicilialo presso lo studio di quest’ultimo in Roma,

v.le XXI Aprile n. 11;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 87 della Corte di appello di Trento, Sezione

distaccata di Bolzano, depositata il 4 aprile 2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26

gennaio 2011 dal consigliere relatore dott. Mario Bertuzzi;

udita le difese delle parli, svolte dall’Avv. Carlo Totino per la

ricorrente dall’Avv. Laura Rainaldi per delega per il

controricorrente;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. SGROI Carmelo, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L.M. vedova Z., premesso di essere proprietaria per intavolazione della porzione materiale 1 della particella edificabile in partita tavolare 2895/11 del comune catastale Maia e che essa era occupata a titolo di precario dal cognato, che pero’ si rifiutava di restituirla, convenne in giudizio Z.O. chiedendone la condanna al rilascio dell’appartamento.

Costituitosi in giudizio, il convenuto contesto’ la pretesa e propose in via riconvenzionale domanda di accertamento della proprieta’ del bene per intervenuta usucapione, deducendo di avere acquistato con il fratello J. l’intera casa insistente sulla particella 886 con il fondo circostante, pattuendo che la casa sarebbe stata di sua proprieta’ ed il fondo agricolo adiacente di proprieta’ del fratello, ma di essersi poi disinteressato della effettiva intavolazione dell’immobile, di cui pero’ aveva acquisito il possesso, destinandola a propria abitazione, fin dal 1974, e facendovi eseguire rilevanti lavori di ristrutturazione, lasciando all’uso della propria cognata, odierna attrice, su accordo con il fratello, alcuni vani situati al primo piano, corrispondenti alla porzione materiale 2, intavolata a suo nome.

Espletata l’istruttoria anche mediante prova per testi, il Tribunale di Bolzano, Sezione distaccata di Merano, respinse la domanda di rilascio dell’attrice ed accolse invece quella del convenuto, dichiarando il suo acquisto per intervenuta usucapione dell’immobile per cui e’ causa.

Interposto gravame da parte della L., con sentenza n. 87 del 4 aprile 2005 la Corte di appello di Trento, Sezione distaccata di Bolzano, confermo’ la decisione impugnata, reputando provato, sulla base delle dichiarazioni dei testi, il possesso ininterrotto del bene per oltre vent’anni da parte del convenuto Z. e, per contro, non dimostrato da parte dell’appellante che la disponibilita’ dell’immobile era stato concessa a titolo di precario. Per la cassazione di questa decisione, ricorre, sulla base di cinque motivi, L.M., con atto notificato il 29 luglio 2005. Resiste con controricorso Z.O..

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 cod. civ. e motivazione omessa, illogica e contraddittoria su un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata per avere affermato l’usucapione in relazione all’intera porzione materiale 1, nonostante che il convenuto non avesse provato il possesso dei vani cantina del piano interrato della p.m. 1 e dei vani cantina, della terrazza e del garage, intavolati come parti comuni delle porzioni 1 e 2, nonostante l’espressa contestazione sul punto sollevata dalla ricorrente al punto 2.1 del proprio atto di appello. La motivazione al riguardo e’ anche illogica e contraddittoria considerato che sia i vani cantina che il garage sono autonomi rispetto all’appartamento ed accessibili dall’esterno dell’edificio. Il motivo e’ inammissibile.

La questione del possesso dei vani cantina del piano interrato della p.m. 1 e dei vani cantina, della terrazza e del garage, che si assumono intavolati come parti comuni delle porzioni 1 e 2, appare infatti nuova, introducendo una distinzione ed un’asserita autonomia tra questi beni e quelli di cui alla particella 1^, oggetto della domanda di usucapione, di cui non vi traccia negli atti di causa menzionati nel ricorso ne’, deve aggiungersi, nella stessa sentenza impugnata. Vero che, al riguardo, la ricorrente richiama il punto 2.1 del proprio atto di appello, ove dice di avere sollevato la relativa contestazione, ma tale indicazione e’ palesemente generica, non essendo sorretta dal requisito di autosufficienza, che impone alla parte la riproduzione completa del motivo di appello di cui lamenta la mancata considerazione. Costituisce diritto vivente di questa Corte, infatti, il principio che il ricorso per cassazione deve contenere in se’ tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresi’, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessita’ di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. n. 15952 del 1997; Cass. n. 14767 del 2007; Cass. n. 12362 del 2006).

Parimenti il motivo non e’ autosufficiente nemmeno in relazione al particolare stato dei beni ivi menzionati (vani cantina, terrazza e garage), non indicando ne’ riproducendo gli atti da cui risulterebbe il loro stato di beni comuni, situazione che, all’evidenza, richiederebbe un accertamento di fatto non consentito in sede di giudizio di legittimita’.

Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione e Falsa applicazione degli artt. 1158 e 1164 cod. civ. e motivazione omessa, illogica e contraddittoria su un punto decisivo della controversia, lamentando che il giudice di appello non abbia tenuto conto che la controparte, in quanto gia’ titolare della porzione 2, aveva il compossesso dei vani cantina comuni, della terrazza e del garage, sicche’ ai fini dell’usucapione avrebbe dovuto dimostrare l’esclusivita’ del suo possesso, vale a dire che esso era esercitato in modo inconciliabile con il compossesso altrui, prova che nella specie non e’ stata ne’ data ne’ richiesta. Anche questo motivo, che si lega strettamente alle censure sollevate con il mezzo precedente, e’, al pari di questo, inammissibile, fondandosi su contestazioni che non risultano avanzate nel giudizio di merito ed il cui esame richiede indagini di fatto non ammesse dinanzi a questa Corte. 11 terzo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1158 e 1164 cod. civ. e motivazione omessa, illogica e contraddittoria su un punto decisivo della controversia, sostenendo che la Corte di appello avrebbe dovuto valutare i fatti alla luce dei rapporti di parentela esistenti tra le parti, che rendevano plausibile come l’occupazione del bene ad opera del convenuto avesse avuto origine in forza di mero comodato e che essa era proseguita in ragione della mera tolleranza dei proprietari. Il mezzo e’ inammissibile.

Tale conclusione si impone in quanto le censure con esso sollevate tendono ad accreditare una ricostruzione della vicenda dedotta in giudizio divergente da quella compiuta dal giudice di merito. E’ noto, per contro, che nel giudizio di legittimita’, non essendo questa Corte giudice del fatto, non sono proponibili censure dirette a provocare un nuovo apprezzamento delle risultanze processuali, diverso da quello espresso dal giudice di merito, il quale e’ libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze che ritenga piu’ attendibili ed idonee nella formazione dello stesso, potendo il ricorrente sindacare tale valutazione solo sotto il profilo della congruita’ e sufficienza della motivazione (Cass. n. 14972 del 2006; Cass. n. 4770 del 2006; Cass. n. 16034 del 2002). In particolare, la censura di omessa e insufficiente motivazione appare inammissibile in quanto con essa la parte censura non gia’ l’omessa considerazione, da parte del giudice di merito, di una circostanza di fatto, vale a dire il rapporto di parentela esistente tra le parti, che nella specie risulta inequivocabilmente considerata essendo piu’ volte menzionata nella stessa decisione, quanto il significato, in termini dimostrativi, ad essa attribuibile, impingendo in tal modo il merito di un apprezzamento non sindacabile. In disparte la considerazione che la censura si basa su una presunzione non fondata su alcuna logicita’ e ragionevolezza, atteso che i rapporti di parentela intercorrenti tra le parti non possono all’evidenza costituire prova inconfutabile del fatto che il convenuto ebbe la disponibilita’ dell’immobile a titolo di precario, superando tutte le risultanze processuali contrarie poste da giudice di appello a fondamento del proprio convincimento.

Il quarto motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 cod. civ. e motivazione omessa, illogica e contraddittoria su un punto decisivo della controversia, censurando la sentenza impugnata per non avere ritenuto rilevante la circostanza che il convenuto aveva chiesto all’attrice di vendergli l’appartamento, cosi’ riconoscendole la proprieta’ dello stesso.

Il motivo e’ infondato.

La circostanza sopra dedotta risulta infatti presa in considerazione dalla Corte di appello, che, con valutazione discrezionale non sindacabile in questa sede, l’ha ritenuta non rilevante, sia perche’ riferita da una teste, nipote dell’appellante, giudicata non attendibile, profilo questo non investito da censura, sia in quanto comunque pacificamente tale proposta, se effettivamente intervenuta, era stata avanzata dal convenuto quando la lite era gia’ iniziata.

Sicche’ essa, piu’ che un riconoscimento dell’altrui titolarita’ de bene, sembrava manifestare niente di piu’ che l’intento di comporre bonariamente la controversa.

Il quinto motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione dell’art. 1158 cod. civ. e motivazione omessa, illogica e contraddittoria su un punto decisivo della controversia, lamentando che il giudice a qua abbia ritenuto irrilevante la documentazione attestante la stipula ad opera delle parti delle polizze di assicurazione della casa contro gli incendi e la domanda subordinata della controparte di rilascio delle tre stanze e della cucina del primo piano, relative alla porzione 2, occupate dalla ricorrente, da cui appariva chiaro che tra le parti l’uso dei beni era avvenuto in forza di un reciproco comodato d’uso.

Anche questo motivo e’ inammissibile, introducendo un sindacato sulla valutazione dei fatti compiuta dai giudice di merito ed in quanto non rispetta il principio di autosufficienza, che impone alla parte che deduca l’omessa considerazione o erronea valutazione da parte del giudice di risultanze istruttorie di riprodurre esattamente il contenuto dei documenti e delle prove che si assumono non esaminate, al fine di consentire alla Corte di valutare la sussistenza e decisivita’ delle stesse (Cass. n. 17915 del 2010; Cass. n. 18506 del 2006; Cass. n. 3004 del 2004). Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, sono poste a carico della parte soccombente.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 3.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 26 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2011

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