Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3724 del 17/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 17/02/2010, (ud. 19/01/2010, dep. 17/02/2010), n.3724

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. MAGNO Giuseppe Vito Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CAMPANILE Pietro – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del Direttore p.t. domiciliato in

Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello

Stato che lo rappresenta e difende secondo la legge;

– ricorrente –

contro

Industria Olearia Biagio Mataluni s.r.l., in persona del legale

rappresentante p.t. elettivamente domiciliato in Roma, viale Parioli,

n. 43, presso l’Avvocato D’AYALA VALVA Francesco, che lo rappresenta

e difende per procura speciale a margine del controricorso e ricorso

incidentale;

– controricorrente –

E sul ricorso incidentale n. 25667/05 R.G. proposto da:

Industria Olearia Biagio Mataluni s.r.l. come sopra rappresentata,

domiciliata e difesa;

– ricorrente incidentale –

contro

Agenzia delle entrate, come sopra rappresentata, domiciliata e

difesa;

– intimata –

avverso la sentenza n. 78/34/2004 della Commissione tributaria

regionale della Campania, depositata il 31.3.2005, notificata il

24.5.2005;

Udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del

giorno 19.1.2010 dal relatore Cons. Dott. MAGNO Giuseppe Vito

Antonio;

Udito, per l’Agenzia ricorrente. l’Avvocato dello Stato Letizia Guida

e, per la controricorrente e ricorrente incidentale, l’Avvocato

Francesco d’Ayala Valva;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale e per il rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

FATTO E DIRITTO

1.- Dati del processo.

1.1.- L’agenzia delle entrate ricorre, con quattro motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe, con cui la commissione tributaria regionale della Campania rigetta l’appello proposto dall’ufficio e conferma la sentenza n. 18/03/2001 della commissione tributaria provinciale di Benevento, che aveva accolto, previa riunione, i ricorsi distintamente proposti dalla contribuente, Industria Olearia Biagio Mataluni s.r.l., contro quattro avvisi di accertamento e rettifica delle dichiarazioni IRPEG ILOR concernenti gli anni 1994, 1995, 1996 e 1997; atti con cui il locale ufficio delle imposte dirette, a seguito d’indagini svolte dalla guardia di finanza, recuperava ad imposizione, applicando le relative sanzioni, diverse somme, specificamente indicate in ricorso, corrispondenti ad operazioni su conti correnti bancari non giustificate contabilmente o effettuate con denaro di non accertata provenienza, e ad indebita deduzione di costi per operazioni ritenute inesistenti o non inerenti all’esercizio dell’impresa.

1.2.- La nominata ditta contribuente resiste mediante controricorso e propone ricorso incidentale condizionato, con tre motivi illustrati da memoria, cui non replica l’agenzia ricorrente.

2.- Motivi dei ricorsi.

2.1.- L’agenzia delle entrate censura la sentenza impugnata e ne chiede l’annullamento, per i seguenti motivi:

2.1.1.- violazione e falsa applicazione del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32, comma 1; omessa, insufficiente ed illogica motivazione, sul punto relativo alla presunzione legale ricavabile, ai sensi della norma indicata, dalle operazioni compiute su conti correnti bancari, salvo che il contribuente dimostri, con inversione a suo carico dell’onere della prova, di aver tenuto conto di esse nella determinazione del reddito soggetto ad imposta, ovvero che sono irrilevanti allo stesso fine;

2.1.2.- violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7 ed insufficiente motivazione in ordine all’accertamento di maggiori ricavi non dichiarati, desunto dalla riscontrata esistenza di finanziamenti effettuati dai soci, trattandosi di societa’ di capitali a ristretta base azionaria;

2.1.3.- violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., insufficiente, contraddittoria ed illogica motivazione, riguardo alla deduzione di costi, nell’anno 1994, per acquisti ritenuti inesistenti;

2.1.4.- violazione e falsa applicazione dell’art. 654 c.p.p., dell’art. 207 disp. att. c.p.p., e del D.L. 10 luglio 1982, n. 429, art. 12 convertito nella L. 7 agosto 1982, n. 56;

motivazione contraddittoria, insufficiente ed illogica, con riferimento alla valenza nel giudizio tributario del giudicato penale di proscioglimento dell’amministratore della societa’ dai reati contestati a conclusione dell’indagine fiscale.

2.2.- La ditta contribuente eccepisce l’inammissibilita’ del ricorso principale, perche’ avrebbe omesso di censurare ragioni autonome della sentenza d’appello, sufficienti a reggere la decisione, e presenta i seguenti motivi di ricorso incidentale:

2.2.1.- nullita’ della sentenza, per non aver rilevato l’inammissibilita’ dell’appello erariale; violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, omessa pronuncia e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, relativamente alla circostanza che l’appello dell’ufficio non conterrebbe alcun riferimento alla sentenza di primo grado;

2.2.2.- idem, anche con riferimento al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 32 e all’art. 112 c.p.c., per non avere l’ufficio impugnato tutte le autonome rationes decidendi della sentenza di primo grado;

2.2.3.- violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 24 e 32, art. 53, comma 1, e art. 57 anche in relazione agli artt. 49 e 61 stesso D.Lgs., e all’art. 112 c.p.c.;

omessa pronuncia e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, per avere pronunciato “su tutta una serie di questioni e di eccezioni che nella gran parte, per non dire quasi del tutto, non risultano essere state formulate o considerate nell’atto di appello”, bensi’, irritualmente, nelle memorie illustrative.

3.- Decisione.

3.1.- I due ricorsi, principale ed incidentale, debbono essere riuniti, ai sensi dell’art. 335 c.p.c., siccome proposti contro la stessa sentenza. Il ricorso principale deve essere accolto ed il ricorso incidentale deve essere rigettato, per le ragioni di seguito espresse. Previa cassazione della sentenza impugnata, in relazione al ricorso accolto, la causa deve essere rinviata ad altra sezione della commissione tributaria regionale della Campania, che giudichera’ uniformandosi ai principi di diritto indicati ai par. 4.3.2, 4.4.2, 4.5.3, 4.5.4, 4.5.5, 4.6.4; e provvedera’ a regolare fra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

4.- Motivi della decisione.

4.1.- L’eccezione d’inammissibilita’ del ricorso principale, per asserita mancata impugnazione di alcune “ragioni autonome del decisum in appello” (par. 2.2), e’ infondata.

4.1.1.- In realta’, l’unica vera ratio decidendi (come la stessa contribuente ammette nella memoria, a pag. 11, su cui si fonda la sentenza impugnata, e’ che l’amministrazione finanziaria non avrebbe provato la sua pretesa giacche’, per la parte in cui sussiste una presunzione legale (con riguardo alle risultanze dei conti bancari), la contribuente l’avrebbe vinta provando la provenienza del denaro e la contabilizzazione delle operazioni, e, per quanto concerne le altre riprese, nessuna presunzione sarebbe ammissibile a favore dei fisco, perche’ la commissione regionale “e’ del parere che l’A.F. non abbia forniti gli indizi sufficienti per poter invertire l’onere della prova”: opinione asseritamente avvalorata da una sentenza penale di proscioglimento.

4.1.2.- Tutti questi profili della suddetta unica ratio sono stati esaurientemente censurati col ricorso principale.

4.1.3.- Anche l’eccezione di nullita’ dell’intero procedimento per mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dei soci, formulata dalla difesa erariale in udienza, e’ infondata, dato che non si tratta di una societa’ di persone e che quindi non ricorre l’ipotesi di necessaria unitarieta’ dell’accertamento imposta, solo per queste ultime, dall’automatica e proporzionale imputazione dei redditi a ciascun socio, in base al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 5 (S.U. n. 14815/2008).

4.2. – I tre motivi del ricorso incidentale condizionato, esaminato con priorita’ poiche’ verte su questioni pregiudiziali di rito rilevabili d’ufficio, non esaminate e decise espressamente, ma implicitamente rigettate dal giudicante di secondo grado (S.U. n. 23019/2007; ), sono infondati.

4.2.1.- Quanto al primo motivo (par. 2.2.1), si osserva innanzitutto che, trattandosi di questione pregiudiziale processuale, non sussiste il lamentato vizio di omessa pronuncia (Cass. nn. 1701/2009, 5351/2007); secondariamente, nel merito della questione ed in conformita’ a quanto risulta dall’atto d’appello dell’ufficio, diligentemente trascritto nella parte narrativa del ricorso incidentale, che l’atto medesimo faceva chiaro riferimento e conteneva critiche sufficientemente specifiche alla sentenza di primo grado (ad es.: “I giudici di primo grado… hanno immotivatamente annullato per intero la pretesa fiscale”; “In buona sostanza i primi Giudici non hanno dato rilievo… alle specifiche contestazioni mosse dai verbalizzanti in sede di verifica, alla mancata giustificazione o provenienza dei versamenti effettuati sui conti correnti bancari intestati alta societa’…”; ecc).

4.2.2.- Il secondo motivo (par. 2.2.2), che rappresenta soltanto una variazione sullo stesso tema del primo, e’ parimenti infondato.

In realta’, gli argomenti su cui era basata la decisione dei primi giudicanti -esistenza di sentenze, non meglio specificate, che avevano annullato altri avvisi in materia di IVA, conseguenti alla stessa indagine; asserita mancanza di autonoma motivazione dell’avviso; mancata considerazione delle giustificazioni addotte dal contribuente in sede di verifica; carattere analitico o induttivo dell’accertamento basato solo sulle risultanze bancarie, anche con riferimento a conti personali dei soci; ritenuta illegittimita’ dei recuperi di costi per operazioni inesistenti – non costituiscono autonome rationes decidendi, ciascuna sufficiente a sostenere la decisione, da impugnare singolarmente, bensi’ fattori concorrenti atti a determinare, nel giudizio della commissione provinciale, il risultato di annullamento integrale degli atti impositivi (“Ne consegue la necessaria declaratoria di nullita’ degli impugnati avvisi di accertamento…”: controricorso, pag. 17): decisione impugnata dall’ufficio, per avere i giudicanti di primo grado “immotivatamente annullato per intero la pretesa fiscale”, con chiaro riferimento al fatto che la motivazione della sentenza di primo grado, anche se in ipotesi fosse stata irreprensibile, non avrebbe mai potuto condurre ad un annullamento integrale dell’accertamento.

4.2.3.- il terzo motivo (par. 2.2.3) e’ inammissibile per la sua assoluta genericita’. La ricorrente incidentale, infatti, lamenta “la singolare propensione della Commissione regionale a ragionare delle memorie illustrative”, le quali conterrebbero eccezioni non formulate dall’ufficio nell’atto d’appello, ma poi non va oltre la generica affermazione che si tratterebbe di “tutta una serie di questioni e di eccezioni”, rimandando ad “un esame diretto dell’atto processuale di appello, peraltro sopra trascritto nel la sua interezza”; dal quale esame, pero’, non si ricava affatto l’omissione di autonomi motivi d’impugnazione, poi asseritamente introdotti nella memoria illustrativa, sintetizzata a pag. 20 del controricorso, con cui l’ufficio si era limitato a meglio chiarire le sue ragioni, misconosciute dai primi giudicanti (oltre a lamentarsi del fatto che questi avevano fondato la decisione su eccezioni formulate irritualmente dalla parte solo in memoria illustrativa: questione sulla quale manca totalmente l’interesse della contribuente a ricorrere, dato che la commissione regionale ha rigettato nel merito tale eccezione dell’ufficio, e che questo non ha impugnato la relativa pronunzia).

4.3.- Il primo motivo del ricorso principale (par. 2.1.1) e’ fondato, sotto entrambi i profili denunziati della violazione di legge e del vizio di motivazione.

4.3.1.- La sentenza impugnata contiene una palese violazione di legge laddove, affermando che “l’Ufficio e’ attore sostanziale nel processo tributario e che ha quindi l’onere di provare la pretesa tributaria”, omette di considerare che la prova della pretesa puo’ consistere anche in presunzioni e che, nel caso specifico, la legge stessa (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1) stabilisce quali presunzioni il fisco possa ricavare dall’esame dei dati bancari (almeno di quelli reperibili nei conti intestati alla societa’, dato che la commissione, “prescindendo” deliberatamente dal valutare le ragioni per cui anche i conti correnti intestati ai soci potrebbero fornire utili indicazioni, trascura di vagliarne le risultanze).

4.3.2.- Si tratta – nel caso dei conti intestati alla societa’; ma, quando se ne ravvisino adeguati indizi, anche di quelli intestati ai soci (Cass. un. 1168/2008, 27032/2007) – di presunzione “legale” relativa, che l’ufficio ed il giudice sono tenuti a riconoscere ed a rispettare (Cass. n. 7766/2008); che tuttavia puo’ essere vinta dalla prova contraria, limitata pero’, quanto all’oggetto, nel senso che il contribuente e’ liberato da tale presunzione sol quando dimostri che dati ed elementi ricavati dai conti bancari sono stati da lui contabilizzati (“ne ha tenuto conto”) al fine della determinazione del reddito soggetto ad imposta; ovvero che si tratta di elementi non aventi rilevanza allo stesso fine. Ne caso di prelevamenti bancari, il contribuente puo’ altresi’ superare la presunzione indicandone il beneficiario.

4.3.3.- Tanto premesso – ed escluso, pertanto, che la suddetta inversione (legale) dell’onere della prova possa dipendere da una concessione dei giudicante a qua (“volendo anche invertire l’onere della prova”) -, si osserva che la motivazione della sentenza, oltre che errata per violazione di legge, e’ insufficiente a giustificare la decisione sotto i seguenti aspetti: la delibera, risultante da un verbale di assemblea dei soci, “di effettuare versamenti in cassa a titolo di mutuo infruttifero” e’ cosa evidentemente diversa dalle dimostrazioni che la contribuente doveva dare con riferimento ai movimenti bancari, rappresentati (per la parte che interessa) da negoziazione di assegni che “non trovavano nessuna corrispondenza con gli scontrini fiscali e con le fatture emesse” (ricorso, pag. 2); o, quanto meno, non e’ spiegata la ragione per cui tale delibera assembleare e le successive registrazioni delle conseguenti operazioni contabili avrebbero attinenza coi conti correnti bancari;

analogamente, non e’ affatto spiegato il motivo per cui le graziose concessioni di grossi prestiti ai soci da parte di loro parenti sarebbero idonee a giustificare tutte le risultanze bancarie, che la sentenza non descrive; infine, e soprattutto, non e’ minimamente accennata la ragione per cui, in presenza di una societa’ di capitali a ristrettissima base azionaria, pacificamente composta da un marito e da una moglie (questa, con ridottissima partecipazione), le delibere assembleari (sostanzialmente adottate dai socio di maggioranza, rappresentante legale della societa’) e gli atti notori rilasciati dalla madre e da altro parente di lui, certamente non facenti fede quanto alla veridicita’ delle dichiarazioni, dovrebbero essere ritenuti, ipso facto, sufficienti a superare la presunzione legale, senza indicazione dei motivi e degli eventuali riscontri che abbiano potuto indurre il giudicante a quo a ravvisare in tali documenti domestici la prova o, almeno, la sussistenza di sufficienti indizi opponibili alla presunzione legale.

4.4.- Anche il secondo motivo del ricorso principale (par. 2.1.2) e’ fondato, nei limiti di seguito espressi.

4.4.1.- Il richiamo fatto dal giudicante a quo alle disponibilita’ finanziarie risultanti dalla delibera assembleare e dagli atti notori menzionati al par. 4.3.3 – richiamo privo di chiara attinenza, come gia’ rilevato, alle verifiche bancarie – puo’ essere posto (ipoteticamente) in relazione con la ripresa indicata sotto la lett. b) (ricorso. pag. 3), effettuata dal fisco sul presupposto presuntivo che alcuni versamenti in banca, di notevole importo, rappresentassero altrettanti ricavi non dichiarati.

4.4.2.- Valgono quindi, in proposito, le osservazioni svolte in merito al par. 4.3.3; ferma restando – contrariamente a quanto sembra ritenere l’amministrazione ricorrente – l’ammissibilita’ di atti notori nel processo tributario, con valore meramente indiziario (Cass. n. 4269/2002), quali documenti facenti fede solo riguardo alla data, all’esistenza ed alla provenienza delle dichiarazioni in essi scritte, ma non quanto all’attendibilita’ di tali dichiarazioni soggette, come il contenuto di qualsiasi altra scrittura privata, al vaglio del giudicante di merito che deve tener conto di ogni elemento da cui possa desumersi la maggiore o minore veridicita’ della dichiarazione.

4.4.3.- Di tale giudizio critico – non suscettibile di controllo in sede di legittimita’, se non per congruita’ e coerenza logica della motivazione – manca qualsiasi traccia nella sentenza in esame.

4.5.- Il terzo motivo del ricorso principale (par. 2.1.3) e’ pure fondato.

4.5.1.- In merito alla ripresa a tassazione della somma di L. 1.309.863.350, che l’ufficio riferisce ad indebita deduzione di costi relativi all’anno 1994, per operazioni ritenute inesistenti, l’agenzia ricorrente deduce che, in sede di verifica, erano state acquisite numerose copie di assegni bancari emessi dalla societa’, ma poi girati dal beneficiario ed incassati dal rappresentante legale della stessa societa’ emittente; gli apparenti beneficiari, appositamente sentiti, avevano disconosciuto la firma di girata, avevano negato di avere incassato le somme portate dagli assegni di cui si tratta ed anche di avere avuto diretti rapporti commerciali con la contribuente, ragion per cui le autofatture da questa emesse risultavano false.

4.5.2.- La commissione regionale, senza valutare e motivare se tali indizi possano, oppure no, ritenersi gravi, precisi e concordanti, esprime il “parere che l’A.F, non abbia forniti gli indizi sufficienti per poter invertire l’onere della prova”. Simile “parere”, pero’, non e’ fondato su argomenti logici e giuridicamente corretti.

4.5.3.- E’ illogica l’affermazione che “devono ritenersi tutte legittime le fatture in questione”, per non aver trovato “alcun riscontro documentale tale da poter individuare quali delle citate fatture sono inerenti ad operazioni inesistenti”. In realta’, essendo stata eccepita l’inesistenza delle operazioni sottostanti in relazione a fatture (recte, autofatture) il cui importo era stato pagato con assegni poi incassati dallo stesso emittente o il cui beneficiario aveva negato di avere intrattenuto rapporti commerciali con la ditta ispezionata, il “riscontro documentale” che consente d’individuare la autofatture sospette e’ fornito evidentemente dagli assegni con girata a favore dello stesso emittente.

4.5.4.- La veridicita’ delle affermazioni degli apparenti prenditori, che sostengono di non aver mai girato gli assegni (ne’ di avere venduto merce all’odierna resistente), poteva essere controllata mediante perizia grafica (chiesta dall’amministrazione) o, comunque, costituiscono indizi da valutare, singolarmente ed insieme con eventuali altri, al fine di saggiare la sussistenza di una valida presunzione a favore del fisco. Avere omesso questa indagine, che avrebbe potuto condurre all’acquisizione dei “necessari riscontri oggettivi”, costituisce violazione del dovere posto a carico del giudice dall’art. 115 c.p.c., e rende illogica la conclusione di mancanza d’indizi sufficienti.

Il richiamo ad altre sentenze pronunziate fra le stesse parti in materia di IVA non ha alcun valore, non essendo indicati il contenuto e l’avvenuto passaggio in giudicato di tali sentenze.

4.5.5.- Infine, e’ chiaramente illogico escludere, come fa il giudicante a quo, la possibilita’ di operazioni inesistenti argomentando a partire dalla regolarita’ formale delle scritture contabili, riscontrata anche da altri organi (Agecontrol), e dalla congruenza dei relativi dati con le giacenze di magazzino: la formale correttezza delle scritture aziendali, anche in termini di perfetta corrispondenza alle giacenze di merci, non e’ conseguenza esclusiva di un’amministrazione irreprensibile in senso sostanziale, potendo essere ottenuta anche mediante artifici; pertanto, in presenza d’indizi che facciano supporre l’inesistenza di alcune operazioni registrate, l’apparente regolarita’ delle scritture (eventualmente confermata da controlli puramente contabili) non e’ argomento logicamente idoneo ad inficiare il “fatto”, costituito dalla dedotta fittizieta’ dell’operazione.

4.6.- E’ fondato, da ultimo, il quarto motivo (par. 2.1.4) del ricorso principale, per quanto di ragione, in base alle seguenti osservazioni.

4.6.1.- E’ vero che la commissione regionale “segnala” la sentenza penale (di proscioglimento del rappresentante legale dai reati connessi alla verifica fiscale) soltanto per “avvalorare” il convincimento espresso (d’insufficienza degli indizi dedotti dall’amministrazione), quindi come elemento da esaminare e valutare nel quadro indiziario complessivo (Cass. n. 9958/2008); ma poi, incoerentemente con la premessa, annette a tale sentenza penale valore di piena prova nel giudizio tributario, quando afferma che l’ufficio avrebbe “l’obbligo… di annullare eventuali atti impositivi o riscossivi ove vi sia stata sentenza del giudice penale inerente i medesimi fatti in contestazione”; giungendo ad asserire che l’ufficio, in caso di mancata ottemperanza al giudicato penale, commetterebbe un illecito, con assunzione di responsabilita’ verso il contribuente.

4.6.2.- Queste ultime affermazioni sono giuridicamente errate. In effetti, il D.L. 10 luglio 1982, n. 429, art. 12, comma 1 convertito in legge 7 agosto 1982, n. 516 – secondo il quale “… la sentenza irrevocabile di condanna o di proscioglimento pronunciata in seguito a giudizio relativa a reati previsti in materia di imposte sui redditi e di imposta sul valore aggiunto ha autorita’ di cosa giudicata nel processo tributario per quanto concerne i fatti materiali che sono stati oggetto del giudizio penale” -, norma comunque non applicabile alle sentenze istruttorie di proscioglimento (Cass. n. 586/2006), e’ stato abrogato, prima implicitamente dall’art. 654 nuovo c.p.p., poi espressamente dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 25, lett. d.

4.6.3.- In particolare, l’art. 654 c.p.p., mentre ha confermato i precedenti limiti oggettivi dell’efficacia vincolante del giudicato penale, ne ha ridefinito i limiti soggettivi, ponendo come prima condizione per l’efficacia di esso nel giudizio civile o amministrativo il fatto che l’imputato, la parte civile o il responsabile civile abbiano partecipato al processo penale; tale norma opera, ex art. 207 disp. att. c.p.p., anche per i reati previsti da leggi speciali e, quindi, dalle leggi penali tributarie (Cass. nn. 19481/2004, 11272/2001,9410/2000).

E’ inoltre necessario, per l’efficacia di tale giudicato nel processo tributario, che la legge civile non ponga limitazioni alla prova “della posizione soggettiva controversa”: ora, posto che la prova nel processo tributario e’ soggetta ai limiti indicati dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4 e che trovano ingresso, con rilievo probatorio in materia di determinazione del reddito d’impresa, anche presunzioni semplici (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39), inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna, la conseguenza del mutato quadro normativo e’ che nessuna automatica autorita’ di cosa giudicata puo’ piu’ attribuirsi, nel giudizio tributario, alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari, ancorche’ i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente (Cass. nn. 9109/2002, 6337/2002, 3961/2002, 889/2002, 15207/2001, 3421/2001).

4.6.4.- In conclusione, il giudice tributario non puo’ limitarsi a rilevare l’esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti alla fattispecie sottoposta al suo esame, ma, nell’esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (art. 116 c.p.c.), deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell’ambito della propria indagine.

4.7.- Segue la decisione, nei termini indicati al par. 3.

5.- Dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE DI CASSAZIONE Riunisce i ricorsi. Accoglie il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al ricorso accolto e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di cassazione, ad altra sezione della commissione tributaria regionale della Campania.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile – Tributaria, il 19 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2010

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