Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3720 del 15/02/2011

Cassazione civile sez. II, 15/02/2011, (ud. 19/01/2011, dep. 15/02/2011), n.3720

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

S.P. e S.A., rappresentato e difeso,

il primo, da se medesimo, e la seconda dall’Avvocato S.

P. per procura in calce al ricorso, elettivamente domiciliati

presso la Cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrenti –

contro

V.C., V.T., F.A., V.L. e

V.A., residenti in (OMISSIS), rappresentati e

difesi per procura a margine de controricorso dall’Avvocato Salazar

Michele, elettivamente domiciliati presso il suo studio in Roma,

piazza Oreste Tommasini n. 20;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 89 del Giudice di pace di Lanciano, depositata

il 7 marzo 2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19

gennaio 2011 dal consigliere relatore dott. Mario Bertuzzi;

udite le difese delle parti, svolte dagli Avvocati S.P.

e da Fulgenzio D’Annunzio per delega dell’Avv. Michele Salazar;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. SGROI Carmelo, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto notificato il 31 maggio 2005, S.P. e S.A. ricorrono, sulla base di sei motivi, per la cassazione della sentenza n. 89 del Giudice di pace di Lanciano, depositata il 7 marzo 2005 e notificata il 1 aprile 2005, che aveva respinto l’opposizione avanzata da S.P. avverso il decreto ingiuntivo che gli intimava di pagare in favore di V. C., V.T., F.A., V.L. e V. A. la somma di Euro 335,70 a titolo di rimborso, per la misura del 50%, delle spese sopportate dagli intimanti per la registrazione di due sentenze del Tribunale di Lanciano emesse tra le parti, detratta la meta’ dell’importo corrisposto invece dall’opponente per la registrazione di una terza sentenza pronunciata dallo stesso Tribunale, rigettando altresi’ la domanda riconvenzionale con cui l’attore aveva chiesto il rimborso delle spese di registrazione di quest’ultima decisione. In particolare, il giudice di pace motivo’ tale statuizione ritenendo irrilevante il fatto che le sentenze registrate avessero pronunciato l’acquisto per usucapione di terreni in favore degli intimanti, osservando sul punto che la controversia doveva essere decisa sulla base della disciplina normativa in materia di imposta di registro dettata dal D.P.R. n. 131 del 1986, che all’art. 57 pone il tributo solidalmente a carico di entrambe le parti del giudizio, con conseguente facolta’ della parte che abbia provveduto al suo pagamento di ripetere la meta’ di quanto versato. Gli intimati V.C., V.T., F. A., V.L. e V.A. resistono con controricorso. Parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va dichiarato il difetto di legittimazione processuale di S.A., che, come risulta dallo stesso ricorso e dalla lettura della sentenza impugnata, non solo non ha partecipato al giudizio di primo grado, ma nemmeno risulta destinataria del decreto ingiuntivo opposto. Sempre in via preliminare va poi disattesa l’istanza avanzata dal ricorrente in memoria di riunione della presente causa ad altra pendente tra le stesse parti relativa alla controversia in relazione alla quale sarebbe stata emessa una delle sentenze assoggettate all’imposta di registro oggetto della domanda di restituzione in questo giudizio, non ravvisandosi tra le due cause alcun rapporto di connessione o pregiudizialita’, tenuto altresi’ conto che la riunione ritarderebbe la definizione della presente lite.

Tanto precisato, il primo motivo di ricorso e’ cosi’ rubricato: ” A norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1 e art. 37 c.p.c. improcedibilita’ della domanda monitoria per pregiudizialita’ amministrativa. Violazione della disciplina dettata dal D.P.R. n. 131 del 1986 sul rimborso delle imposte, se non dovute. A norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, per difetto di legittimazione passiva”.

Con esso il ricorrente censura la sentenza impugnata per avere disatteso l’eccezione di “inammissibilita’ dell’ingiunzione per difetto delle di ammissibilita’ e dell’indebenza da parte degli usucapiti”, lamentando che il giudice di pace non abbia valutato che la sentenza stabiliva l’usucapione di determinati beni in favore degli intimanti, trascurando di considerare l’imposta dovuta sulla sentenza come servizio giustizia e quella invece afferente alla sentenza come titolo di acquisto di nuova ricchezza e che la controversia in atto, non attenendo ai rapporti tra le parti ed il fisco ma ai rapporti inter partes, non poteva essere risolta sulla base della mera applicazione della norma tributaria, essendo invece necessario accertare il contenuto del titolo e se, come eccepito dall’opponente, l’obbligazione era stata contratta nell’esclusivo interesse di una delle parti, con conseguente preclusione, in capo alla stessa, una volta pagata l’imposta, di pretenderne il parziale rimborso.

Il motivo e’ inammissibile, atteso che esso introduce la questione se, premessa la solidarieta’ del debito di imposta di fronte all’Amministrazione finanziaria, tale debito poi si ripartisca in parti uguali nei rapporti tra condebitori ovvero debba reputarsi contratto nell’interesse di uno solo di essi, con conseguente inesigibilita’ nei confronti dell’atra parte dell’imposta da questi pagata, questione che pero’ attiene, piu’ propriamente, alla sussistenza o meno del diritto di credito dedotto in giudizio e, quindi, al merito della controversia, non ad un motivo attinente alla giurisdizione, evocato in rubrica mediante l’indicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, che pertanto deve ritenersi inammissibile.

Sotto altro profilo l’inammissibilita’ del motivo discende dal rilievo che la sentenza gravata, essendo stata emessa dal giudice di pace in una causa di valore non superiore ai millecento/00 Euro, deve ritenersi pronunciata “secondo equita’”, essendo questo l’unico metro di giudizio adottabile dal giudice ai sensi dell’art. 113 c.p.c., comma 2. In particolare, come questa Corte ha gia’ rilevato (Cass. n. 26528 del 2006), in questo tipo di controversie le regole di equita’ devono ritenersi applicate indipendentemente dal fatto che il giudice di pace abbia invocato l’equita’ per la soluzione del caso singolo, oppure abbia risolto la controversia con richiamo a principi di diritto, atteso che anche in questo caso la lettura delle norme data dal giudice e’ compiuta in chiave equitativa. Ne discende che, in applicazione delle regole che disciplinano l’impugnabilita’ delle sentenze emesse “secondo equita’”, la decisione impugnata – pur essendo, ratione temporis, direttamente ricorribile per cassazione, per non essere, nel caso di specie, applicabile la novella dell’art. 339 cod. proc. civ. introdotta dal D.L. n. 40 del 2006 – tuttavia e’ impugnabile soltanto per violazione della Costituzione, delle norme di diritto comunitario sopranazionale, della legge processuale e, giusta la sentenza n. 206 del 2004 della Corte costituzionale, dei principi informatori della materia, restando per contro escluse le altre violazioni di legge (Cass. n. 6382 del 2007; Cass. n. 284 del 2007; Cass. n. 12147 del 2006).

Con riferimento alla violazione dei principi informatori della materia, che costituiscono il limite superato il quale la decisione secondo equita’ puo’ essere considerata illegittima, si e’ peraltro precisato, da parte di questa Corte, che il rispetto dei principi informatori non vincola il giudice di pace all’osservanza di una regola ricavabile dal sistema, ma costituisce unicamente un limite al giudizio di equita’ al fine di evitare qualsiasi sconfinamento nell’arbitrio; ne deriva che il ricorso per cassazione contro la sentenza del giudice di pace deve essere diretto a denunciare, non gia’ l’inosservanza di una regola, bensi’ il superamento di quel limite, sicche’ il ricorrente il ricorrente non puo’ limitarsi a denunciare la violazione di specifiche norme giuridiche ma deve indicare con chiarezza il principio informatore che assume violato e deve anche specificare in qual modo la regola equitativa posta a fondamento della pronuncia impugnata si ponga con esso in contrasto, e cio’ al fine di consentire al giudice di legittimita’ la verifica della sua esistenza e della sua eventuale violazione (Cass. n. 11366 del 2010; Cass. n. 16545 del 2008; Cass. n. 26687 del 2005).

Alla luce di tale ultimo principio, il motivo in esame deve essere allora dichiarato inammissibile in quanto non assolve in alcun modo all’onere di indicare il principio informatore della materia che la sentenza impugnata avrebbe violato.

Il secondo motivo di ricorso, cosi’ rubricato: “a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, artt. 112 e 115 c.p.c., e art. 2697 c.c., art. 24 Cost., comma 2. Per errori sulla disponibilita’ e sull’onere della prova. Violazione dell’obbligo costituzionale di terzieta’ (art. 111 Cost., comma 2)”, lamenta che il giudice di pace abbia posto a carico dell’opponente l’onere di provare il rimborso di quanto preteso dal decreto, laddove erano gli opposti a dover provare il fondamento del loro credito, e abbia altresi’ disposto d’ufficio, l’acquisizione del procedimento monitorio, sollevando gli opposti del relativo incombente.

Il mezzo e’ inammissibile ed anche infondato.

Inammissibile in quanto, come gia’ precisato da questa Corte, la violazione dell’art. 2697 cod. civ. sull’onere della prova – che la ricorrente imputa al giudice di pace – pone una regola di diritto sostanziale, che da luogo ad un error in indicando non denunciabile con il ricorso per cassazione avverso le sentenze pronunciate dal giudice di pace secondo equita’ (S.U. 14.1.2009 n. 564: Cass. 21.10.2009 n. 22279). Infondato in quanto il giudice di pace non ha affatto deciso la causa sulla base dell’applicazione dell’onere della prova, per non avere parte opponente provato qualcosa, ma in base ad un accertamento positivo del fatto.

La censura che denunzia la violazione dell’art. 115 cod. proc. civ. sul principio di disponibilita’ dell’onere della prova e’ invece generica, non indicando il ricorso se ad essere acquisito d’ufficio e’ stato il fascicolo d’ufficio della fase monitoria o quello di parte, contenente i documenti a sostegno del ricorso, ne’ ad ogni modo specificando il tenore di tali documenti, in guisa di dimostrare che di essi il giudice ne ha tenuto conto nel formulare la propria decisione e che quindi la dedotta violazione della legge processuale ha avuto effetti decisivi ai fini della statuizione adottata.

Il terzo motivo di ricorso, cosi’ rubricato: “a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 e art. 213 c.p.c., art. 24 Cost., comma 2, e art. 2697 c.c.”, lamenta che il giudice a qua abbia respinto l’istanza di acquisire informazioni presso l’Amministrazione finanziaria.

Il mezzo e’ inammissibile, dovendo qui ribadirsi il principio, univoco nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l’esercizio del potere del giudice di merito, previsto dall’art. 213 cod. proc. civ., di richiedere d’ufficio alla pubblica amministrazione le informazioni relative ad atti e documenti della stessa che sia necessario acquisire al processo costituisce una facolta’ rimessa alla discrezionalita’ del giudice, il cui mancato esercizio non e’ censurabile in sede di legittimita’ (Cass. n. 10219 del 2003).

Il quarto motivo di ricorso, cosi’ rubricato: ” a norma dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5, in riferimento all’art. 1241 c.c. e segg. Omessa motivazione sul rigetto della domanda riconvenzionale, lamenta che il giudice di pace non abbia motivato circa il rigetto della domanda con cui l’opponente, in via riconvenizonale. chiedeva la condanna della controparte al rimborso dell’intera somma da lui versata a titolo di imposta di registro sulla sentenza n. 64 del 2003 emessa tra le stesse parti. Il motivo e’ infondato.

Premesso che la domanda riconvenzionale avanzata dall’attuale ricorrente concerneva solo la meta’ dell’importo versato per l’imposta di registro, atteso che l’altra meta’ era stata gia’ detratta dalla istanza di ricorso monitorio, in linea con la prospettazione degli intimati secondo cui le spese di registro della sentenza gravavano su entrambe le parti del processo, il mezzo e’ infondato in quanto la sentenza impugnata ha rigettato tale domanda sulla base degli stessi motivi per cui ha respinto l’opposizione a decreto ingiuntivo, cioe’ in forza del rafferma/ione che le spese in questione debbono essere ripartite per la meta’ tra le parti, atteso che esse sono solidalmente obbligate al loro pagamento verso il fisco.

Il quinto motivo di ricorso, cosi’ rubricato: “a norma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5 nonche’ 633 c.p.c., comma 1 e dall’art. 112 c.p.c., per carenza di condizioni di ammissibilita’ della domanda monitoria”, censura la sentenza impugnata per non avere accertato che la pretesa creditoria non era ne’ liquida ne’ esigibile. Si aggiunge che la motivazione che ha respinto al domanda riconvenzionale dell’opposto e’ solo apparente, per avere il giudice di pace “giudicato con identica motivazione la domanda monitoria proposta con riferimento alle spese di registrazione delle sentenze e l’eccezione di non debenza, fondata su fatti diversi, diversi per causa pretendi e petitum, diversamente disciplinati come presupposti d’imposta.

Il mezzo e’ inammissibile non risultando chiaramente comprensibili le censure in esso rivolte, che comunque appaiono generiche e non supportate da argomentazioni idonee in ordine alla violazione di principi informatori della materia.

Il sesto motivo di ricorso denunzia “a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 113 c.p.c., comma 2. In subordine, ai sensi dell’art. 11 Cost., per violazione di legge e motivazione apparente”, censurando la sentenza impugnata per non avere deciso la causa secondo equita’ e per avere comunque violato il principio generale dell’ordinamento secondo cui le spese di registrazione della sentenza di usucapione della proprieta’ immobiliare debbano gravare sulla parte a favore della quale l’usucapione e’ dichiarata. Anche questo motivo non merita accoglimento.

La prima censura e’ infondata, dovendosi ritenersi, in forza dell’orientamento giurisprudenziale sopra citato in sede di esame del primo motivo, che, atteso il valore della controversia, la decisione sia stata adottata secondo equita’. La seconda censura non puo’ invece essere accolta, dovendosi per contro osservare che quello indicato dal ricorrente non costituisce un principio informatore della materia. Non puo’ infatti affermarsi che la disciplina normativa in materia di spese per le registrazione della sentenza sia ispirata al principio secondo cui le spese di registrazione della sentenza debbano essere sopportate per intero, nei rapporti tra le parti contendenti, dalla parte nel cui interesse la sentenza viene pronunciata. Parimenti, non integra un principio informatore della materia l’affermazione secondo cui tale imposta deve gravare interamente sull’acquirente nei casi in cui il provvedimento giudiziario produce di fatto effetti acquistivi della proprieta’ di un bene, meritando aggiungere, con riferimento a quest’ultima fattispecie, che nessun rilievo puo’ essere ascritto all’ipotesi della compravendita, atteso che in questo caso e’ la stessa legge a porre a carico dell’acquirente le spese di acquisto del bene, salvo peraltro patto contrario (art. 1475 cod. civ.), deroga che, evidentemente, segnala che non si tratta di principio imperativo. Il ricorso va pertanto respinto. Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese di giudizio, che liquida in Euro 600,00, di cui Euro 100,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 19 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2011

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