Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3720 del 14/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 14/02/2020, (ud. 24/10/2019, dep. 14/02/2020), n.3720

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 21850 del ruolo generale dell’anno

2018, proposto da:

D.M.D., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentato e difeso

dall’avvocato Mauro Longo (C.F.: LNG MRA 66R01 H501X);

– ricorrente –

nei confronti di:

UNICREDIT S.p.A., (C.F.: (OMISSIS)), in persona del rappresentante

per procura C.M. rappresentata e difesa dall’avvocato

Achille Buonafede (C.F.: BNF CLL 58T16 F839M);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Roma n. 10875/2018,

pubblicata in data 29 maggio 2018 (e notificata in data 12 giugno

2018);

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in

data 24 ottobre 2019 dal consigliere Augusto Tatangelo.

Fatto

RILEVATO

che:

D.M.D. ha agito in giudizio nei confronti di Unicredit S.p.A. per ottenere il rimborso della somma pagata per la registrazione (oltre accessori) di un’ordinanza di assegnazione pronunciata ai sensi dell’art. 553 c.p.c., in un procedimento di espropriazione presso terzi che aveva promosso nei confronti della stessa.

La domanda è stata respinta dal Giudice di Pace di Roma.

Il Tribunale di Roma ha confermato la decisione di primo grado, sulla base di diversa motivazione.

Ricorre il D.M., sulla base di quattro motivi.

Resiste con controricorso Unicredit S.p.A..

E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato inammissibile e comunque manifestamente infondato. E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.

Diritto

RITENUTO

che:

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 37, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Violazione e falsa applicazione dell’art. 95 c.p.c., (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”

Con il secondo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione del D.P.R. 26 aprile 1986, n. 131, art. 13, (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Violazione e falsa applicazione dell’art. 95 c.p.c., (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

Con il terzo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 95 c.p.c., (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

Con il quarto motivo si denunzia si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 95 c.p.c., (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3)”.

I motivi del ricorso sono tutti logicamente connessi e possono quindi essere esaminati congiuntamente.

Secondo il ricorrente, il tribunale avrebbe erroneamente negato l’obbligo della società debitrice esecutata di rimborsargli l’importo pagato per la registrazione dell’ordinanza di assegnazione, anche per avere erroneamente ritenuto che detto importo rientra tra le spese del processo esecutivo ai sensi dell’art. 95 c.p.c..

Orbene, in primo luogo va rilevato che l’esposizione sommaria dei fatti di causa risulta carente e quindi non può ritenersi soddisfatto il requisito di ammissibilità del ricorso di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, anche perchè non vengono chiaramente e specificamente richiamati il contenuto dell’ordinanza di assegnazione oggetto di causa, quello della domanda proposta, quello della sentenza di primo grado, quello del gravame avanzato avverso quest’ultima (lo stesso contenuto della decisione impugnata non risulta in effetti correttamente riportato nel ricorso).

In ogni caso, si tratta di una controversia che ha, nella sostanza, oggetto identico ad altre – riguardanti il medesimo ricorrente – in ordine alle quali questa Corte si è già pronunciata, con sentenza di espresso valore nomofilattico, emessa all’esito della pubblica udienza della Terza Sezione Civile, nell’ambito della particolare metodologia organizzativa adottata dalla suddetta sezione per la trattazione dei ricorsi su questioni di diritto di particolare rilevanza in materia di esecuzione forzata (cd. “progetto esecuzioni”, sul quale v. già Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 26049 del 26/10/2018), poi confermata da successive ordinanze di questa Sesta Sezione.

Come già statuito nei precedenti richiamati (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 29855 del 20/11/2018; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4964 del 20/02/2019, che non risultano massimate), ai quali si intende dare pieno seguito (anche perchè il ricorso non contiene argomentazioni idonee ad indurre alcuna rimeditazione sul punto), ed ai quali la decisione impugnata risulta in diritto sostanzialmente conforme, le censure avanzate dal ricorrente risultano in parte manifestamente infondate ed in parte inammissibili, anche con le eventuali precisazioni ed integrazioni che seguono.

E’ invero pacifico (la circostanza emerge, quanto meno implicitamente, dalla sentenza impugnata, non è smentita nel ricorso ed è espressamente confermata anche nel controricorso) che il giudice dell’esecuzione, all’esito di un procedimento esecutivo di espropriazione di crediti presso terzi promosso dal D.M. nei confronti di un suo debitore (nella specie, Unicredit S.p.A., per quanto è dato comprendere dagli atti) abbia pronunciato ordinanza di assegnazione contenente l’espresso addebito al suddetto debitore esecutato (oltre che dei crediti posti in esecuzione nonchè delle spese di precetto ed esecuzione, e in aggiunta a queste ultime) delle spese di registrazione dell’ordinanza stessa e che il relativo importo fosse quindi compreso in quello oggetto della complessiva assegnazione dei crediti pignorati in favore del creditore procedente (in quanto, evidentemente, appunto ricompreso nelle spese di esecuzione liquidate in favore del creditore stesso ai sensi dell’art. 95 c.p.c.), onde tale importo poteva essere preteso dal suddetto creditore in sede di escussione del terzo (nella specie, Banca d’Italia, per quanto è dato comprendere dagli atti).

In questa situazione, sussiste effettivamente difetto di interesse del creditore procedente ad ottenere un ulteriore titolo esecutivo da far valere contro il suo originario debitore, avendo egli già conseguito la piena soddisfazione nei confronti di quest’ultimo, direttamente in sede esecutiva, (anche) del proprio credito per la spesa di registrazione dell’ordinanza di assegnazione (in quanto compreso nell’importo liquidato a titolo di spese del processo esecutivo ai sensi dell’art. 95 c.p.c., ed oggetto dell’assegnazione a valere sui crediti pignorati).

E’ poi del tutto irrilevante la circostanza che, al momento della richiesta di pagamento degli importi assegnati rivolta al terzo debitor debitoris la somma in questione non fosse stata (e/o non potesse ancora essere) pretesa e riscossa, in quanto non era stata ancora effettuata la registrazione dell’ordinanza (e non era stata quindi ancora anticipata dal creditore la relativa imposta): trattandosi di importo compreso in quello oggetto di assegnazione ai sensi dell’art. 553 c.p.c., infatti, la relativa pretesa poteva essere avanzata anche successivamente e addirittura in via esecutiva direttamente nei confronti del terzo, sulla base della stessa ordinanza di assegnazione (previa, ovviamente, documentazione del relativo esborso), come del resto in qualche modo riconosce lo stesso ricorrente.

Nè nel ricorso (che sotto questo aspetto difetta della necessaria specificità, manifestando un profilo di inammissibilità anche ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6), viene chiarito (e tanto meno viene documentato) se in concreto vi sia stata vana escussione del terzo, per l’importo in questione, ovvero se le somme complessivamente riconosciute nell’ordinanza di assegnazione (il cui contenuto, in parte qua, non è specificamente riprodotto nel ricorso e la cui esatta allocazione tra gli atti del fascicolo di merito non è neanche indicata, come già sottolineato), ivi inclusa quella relativa all’imposta di registrazione della stessa, fossero state contenute o meno nei limiti di capienza dei crediti pignorati e/o avessero in qualche modo ecceduto tali limiti, onde non potessero essere effettivamente ed in concreto oggetto di integrale recupero nei confronti del terzo debitor debitoris (per quanto sia opportuno precisare che, anche in tale ultima ipotesi, andrebbe comunque applicato il principio di diritto, di recente ribadito da questa Corte, anche in questo caso con pronuncia di espresso valore nomofilattico emessa nell’ambito del già citato cd. “progetto esecuzioni” della Terza Sezione Civile, secondo il quale le spese del processo esecutivo, in caso di incapienza, restano a carico del creditore: cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 24571 del 05/10/2018, Rv. 651157 – 01).

Possono quindi essere in proposito formulati i seguenti principi di diritto: “laddove il giudice dell’esecuzione, all’esito di un procedimento esecutivo di espropriazione di crediti presso terzi, pronunci ordinanza di assegnazione contenente l’espresso addebito al debitore esecutato (oltre che dei crediti posti in esecuzione nonchè delle spese di precetto ed esecuzione, e in aggiunta a queste ultime) delle spese di registrazione dell’ordinanza stessa, il relativo importo deve ritenersi ricompreso nelle spese di esecuzione liquidate in favore del creditore stesso ai sensi dell’art. 95 c.p.c., onde esso può essere preteso dal creditore in sede di escussione del terzo (nei limiti della capienza del credito assegnato); di conseguenza, sussiste difetto di interesse del creditore procedente ad ottenere un ulteriore titolo esecutivo da far valere contro il suo originario debitore per le indicate spese di registrazione, avendo egli già conseguito la piena soddisfazione nei confronti di quest’ultimo, direttamente in sede esecutiva”;

“il provvedimento di liquidazione delle spese dell’esecuzione implica un accertamento meramente strumentale alla distribuzione o assegnazione, privo di forza esecutiva e di giudicato al di fuori del processo in cui è stato adottato, sicchè le suddette spese, quando e nella misura in cui restino insoddisfatte, sono irripetibili dal creditore”.

2. Il ricorso è dichiarato inammissibile.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo (con distrazione in favore del legale della società controricorrente, che ha reso la prescritta dichiarazione ai sensi dell’art. 93 c.p.c.).

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– dichiara inammissibile il ricorso;

– condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della società controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge, con distrazione in favore dell’avvocato Achille Buonafede.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2020

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