Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3719 del 15/02/2011

Cassazione civile sez. II, 15/02/2011, (ud. 19/01/2011, dep. 15/02/2011), n.3719

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. BUCCIANTE Ettore – Consigliere –

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

D.G.V., residente in (OMISSIS), rappresentato e

difeso per procura a margine del ricorso dall’Avvocato Tournier

Giorgio, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avvocato

Daniela Jouvenal Long in Roma, piazza di Pietra n. 26;

– ricorrente –

contro

Vetreria Sblano di G. e C. Siano s.n.c.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 776 del Tribunale di Bari, depositata il 20

aprile 2004;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19

gennaio 2011 dal consigliere relatore dott. Mario Bertuzzi;

udite le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore

Generale dott. SGROI Carmelo, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.G.V. propose opposizione al decreto ingiuntivo che gli intimava di pagare la somma di L. 4.418.447 alla s.n.c. Vetreria Sblano di G. e C. Siano per la fornitura di alcuni vetri, eccependo che non tutta la merce era stata consegnata e che parte della stessa era diversa da quella ordinata ed offrendo di versare, cosa che effettivamente faceva nel corso del giudizio, la minor somma di L. 2.248.613, che riconosceva come dovuta. Il giudice di pace di Modugno rigettò l’opposizione e, tenuto conto del pagamento parziale effettuato in corso di causa, confermò il decreto ingiuntivo limitatamente alla minor somma di L. 2.248.613, pari alla differenza tra l’importo originario e quanto versato dall’opponente, con condanna di quest’ultimo anche al pagamento delle spese di lite.

Interposto gravame da entrambe le parti, con sentenza n. 776 del 20 aprile 2004 il Tribunale di Bari riformò la sentenza impugnata per la parte in cui aveva disposto la conferma parziale del decreto ingiuntivo, che revocò disponendo la condanna dell’opponente al pagamento della somma di L. 2.248.613, oltre interessi e spese di giudizio, in accogliendo dell’appello incidentale della società Sblano, dichiarando invece inammissibile, per difetto di interesse, le censure rivolte sul medesimo punto dall’opponente – appellante principale. Con riferimento alle contestazioni svolte dal D. G. in merito al credito vantato dalla controparte, il giudice di secondo grado, premesso che esso nasceva da due diverse e successive consegne di merce, dichiarò l’infondatezza delle eccezioni sollevate al riguardo dall’opponente, osservando che le prove testimoniali escusse avevano dimostrato che tutta la merce era stata effettivamente consegnata al committente, mentre l’eccezione relativa all’esistenza di vizi dei beni era risultata smentita dalla dichiarazione della teste D.M., da reputarsi più attendibile rispetto agli altri testimoni per l’assenza di legame con le parti in causa, secondo cui la merce era stata nuovamente ordinata dal D.G. non perchè fosse difettosa, ma in quanto il cliente al quale doveva essere fornita aveva cambiato idea, con l’ulteriore precisazione del committente medesimo che egli l’avrebbe comunque utilizzata diversamente.

Per la cassazione di questa decisione, con atto notificato il 4 giugno 2005, propone ricorso D.G.V., affidato a quattro motivi, illustrati anche con memoria. La società Vetreria Sblano di G. e C. Siano non si e costituita.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo di ricorso, che denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 276, 333, 339 e 343 cod. proc. civ., ed omessa, insufficiente, erronea, illogica e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, lamenta che il giudice di appello, senza seguire l’ordine logico delle questioni rilevanti ai fini della decisione, ha erroneamente, cadendo oltretutto nel vizio di ultrapetizione, dichiarato inammissibile l’appello dell’opponente sulla pronuncia di primo grado che aveva confermato solo in parte il decreto ingiuntivo ed accolto quello incidentale sul medesimo punto, qualificato, in modo del tutto irritale, adesivo. Ad avviso del ricorso, la pronuncia di inammissibilità dell’appello incidentale è vieppiù errata, considerato che solo l’opponente era rimasto soccombente e che egli aveva comunque interesse alla rimozione del decreto ingiuntivo quanto meno in relazione alle spese giudiziali con esso liquidate.

Il motivo e inammissibile per difetto di interesse.

A tale conclusione si perviene agevolmente osservando che la pronuncia di inammissibilità del motivo di appello avanzato dall’attuale ricorrente avverso la sentenza di primo grado, nella parte in cui essa, dando atto del pagamento parziale avvenuto in corso di causa, in luogo di revocare il decreto ingiuntivo, lo ha confermato per la parte del credito non corrisposta, non ha recato alcun svantaggio alla parte. La medesima sentenza, sia pure in accoglimento dell’appello incidentale della società opposta, ha infatti modificato la decisione di primo grado nel senso richiesto dallo stesso opponente, revocando il decreto ingiuntivo e travolgendo, per l’effetto, anche il provvedimento in esso contenuto di liquidazione delle spese della fase monitoria, alla cui revoca era sostanzialmente legato il suo interesse alla proposizione dell’appello sul punto. A nulla rileva, peraltro, l’eventuale riconoscimento, in questa sede, dell’interesse della parte alla proposizione del gravame, dovendosi comunque dare atto che il giudice di appello ha adottato sul punto una statuizione conforme alla richiesta della parte, sicchè il mezzo proposto appare, in definitiva, diretto a modificare la sola motivazione della sentenza, lasciandone intatto il dispositivo. Difetta, pertanto, un effettivo interesse in capo al ricorrente alla cassazione della statuizione impugnata, che appare altresì conforme, in punto di diritto, all’orientamento espresso da questa Corte circa l’inammissibilità di una conferma parziale del decreto ingiuntivo.

Il secondo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 1476, 1470 cod. civ. e all’art. 115 e 116 cod. proc. civ., ed omessa, insufficiente, erronea, illogica e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, censurando al sentenza impugnata per avere disatteso le ragioni di opposizione sollevate dall’ingiunto nonostante che il creditore intimante non avesse mai fornito la prova dell’avvenuta consegna della merce, omettendo così di pronunciarsi sullo specifico motivo di appello del ricorrente. Per tali ragioni si assume che l’affermazione della sentenza, secondo cui “non è in contestazione che la somma ingiunta si riferisca a merce commissionata dall’appellante” non corrisponde alla realtà processuale. Il ricorso contesta, inoltre, la decisione de qua nella parte in cui ha riferito che la consegna di tutta la merce indicata nelle fatture risulta confermata da tutti i testi escussi, risultando per contro che i testimoni T.P., D.G.G., R.A. e De.Gi.Gi. non abbiano fatto alcuna affermazione in tal senso. Il Tribunale non ha pertanto esaminato e tenuto conto delle testimonianze rese nel corso del giudizio ed ha altresì omesso di considerare che l’opponente, con deduzioni depositate in primo grado in data 11 aprile 1994, aveva espressamente contestato e disconosciuto la documentazione allegata dal ricorrente ai fini del l’ottenimento del decreto ingiuntivo. Il terzo motivo di ricorso denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 1476, 1490 e 1494 cod. civ. e 116 cod. proc. civ., ed omessa, insufficiente, erronea, illogica e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, censurando la sentenza impugnata per avere affermato l’inesistenza dei vizi denunziati dall’opponente, fondando tale accertamento sulle dichiarazioni rese dal teste D., che invece non era credibile ed aveva reso una testimonianza contraddittoria, e sul disconoscimento, senza peraltro idonea motivazione, di altre testimonianze, favorevoli all’opponente. Il secondo ed il terzo motivo, da esaminarsi congiuntamente in ragione della loro connessione obiettiva, sono inammissibili.

La sentenza impugnata ha motivato la propria statuizione di rigetto dell’opposizione osservando che numerosi testi, specificatamente indicati, avevano confermato che tutta la merce commissionata era stata consegnata al committente e, sulla base della testimonianza resa da D.M., ritenuto, per la sua terzietà, teste più attendibile di altri, che la seconda commissione era stata determinata non già da difetti dei beni, ma da un ripensamento del cliente del D.G., che comunque aveva dichiarato di non voler modificare il primo ordinativo.

Tanto precisato, parte ricorrente fonda le sue critiche alla sentenza impugnata sull’assunto che il giudice territoriale ha mal valutato le prove raccolte in giudizio, sia con riferimento alla ritenuta integrale consegna della merce, che all’inesistenza dei difetti lamentati, tralasciando anche di considerare che la documentazione allegata dall’opposto a sostegno della richiesta di decreto ingiuntivo era stata espressamente disconosciuta.

Le censure così sollevate sono però inammissibili nella misura in cui tendono ad accreditare una ricostruzione dei fatti, attraverso una valutazione diretta da parte di questa Corte delle prove raccolte in giudizio, divergente da quello compiuta dal giudice di merito. E’ noto, per contro, che nel giudizio di legittimità, non essendo questa Corte giudice del fatto, non sono proponibili censure dirette a provocare un nuovo apprezzamento delle risultanze processuali rispetto a quello espresso dal giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove o risultanze che ritenga più attendibili ed idonee nella formazione dello stesso, potendo il ricorrente sindacare tale valutazione solo sotto il profilo della congruità e sufficienza della motivazione, che, se dedotto, conferisce alla Corte di legittimità il potere di controllare, sotto il profilo logico – formale, l’esame e la valutazione dei fatti compiuta dal giudice del merito posti a base del proprio convincimento, non già quello di effettuare un nuovo esame ed una nuova valutazione degli stessi (Cass. n. 14972 del 2006;

Cass. n. 4770 del 2006; Cass. n. 16034 del 2002).

A tale considerazione merita aggiungere che le censure sollevate dal ricorso non appaiono sostenute dal requisito di autosufficienza, il quale impone al ricorrente per cassazione che deduca l’omessa considerazione o erronea valutazione da parte del giudice di merito di risultanze istruttorie di riprodurre esattamente il contenuto dei documenti e delle prove che si assumono non esaminate, al fine di consentire alla Corte di valutare la sussistenza e decisività delle stesse (Cass. n. 1791:5 del 2010; Cass. n. 18506 del 2006; Cass. n. 3004 del 2004). Costituisce diritto vivente di questa Corte infatti il principio che il ricorso per cassazione deve contenere in sè tutti gli elementi necessari a costituire le ragioni per cui si chiede la cassazione della sentenza di merito e, altresì, a permettere la valutazione della fondatezza di tali ragioni, senza la necessità di far rinvio ed accedere a fonti esterne allo stesso ricorso e, quindi, ad elementi o atti attinenti al pregresso giudizio di merito (Cass. n. 15952 del 1997; Cass. n. 14767 del 2007; Cass. n. 12362 del 2006). Nel caso di specie, in particolare, il ricorso non rispetta il suddetto principio di autosufficienza in quanto omette completamente di riprodurre il testo dei documenti e delle prove orali su cui ritiene di poter fondare le proprie censure, mancanza che impedisce a Collegio qualsiasi valutazione sul punto. Tale difetto investe anche la censura che contesta l’utilizzazione da parte del giudice di merito dei documenti che si assumono essere stati disconosciuti dall’opponente, dal momento che anche qui il ricorso non indica il tenore di tali atti nè la loro provenienza, considerato che il disconoscimento in senso tecnico, ai sensi dell’art. 214 cod. proc. civ., può manifestarsi, con gli effetti suoi propri, solo per i documenti che provengono dalla parte stessa, mentre, in caso contrario, vale come mera contestazione della loro attendibilità, che non impedisce il loro ingresso tra il materiale probatorio utilizzabile per la decisione della causa.

Il quarto motivo di ricorso denunzia violazione degli artt. 92, 112 e 116 cod. proc. civ. e omessa, insufficiente, erronea, illogica e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia, lamentando che il giudice di secondo grado abbia condannato l’opponente al pagamento delle spese di lite e confermato altresì la pronuncia di primo grado sul punto, reputandolo erroneamente soccombente anche in relazione al motivo di appello che aveva investito la pronuncia di primo grado che aveva confermato solo in parte il decreto ingiuntivo. Il mezzo è infondato.

La statuizione che ha condannato la parte opponente al pagamento delle spese trova infatti ragione e fondamento del tutto idonei e sufficienti, come emerge chiaramente dalla lettura della decisione, che si sottrae anche per tale via al denunziato vizio di motivazione, nel criterio legale di soccombenza della parte in giudizio stabilito dall’art. 91 cod. proc. civ., ravvisabile nel caso concreto per essere state rigettate tutte le contestazioni di merito sollevate dall’appellante avverso il credito azionato dalla controparte in giudizio.

Il ricorso va pertanto respinto.

Nulla si dispone sulle spese del giudizio di legittimità, non avendo parte intimata svolto attività difensiva.

P.Q.M.

rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 19 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2011

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