Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3717 del 14/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 14/02/2020, (ud. 24/10/2019, dep. 14/02/2020), n.3717

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al numero 19096 del ruolo generale dell’anno

2018, proposto da:

C.R., (C.F.: (OMISSIS)) avvocato difensore di sè

stesso;

– ricorrente –

nei confronti di:

A.A., (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso

dall’avvocato Luigi Abbatecola (C.F.: BBT LGU 37D26 I234U);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua

Vetere n. 215/2018, pubblicata in data 15 gennaio 2018;

udita la relazione sulla causa svolta nella camera di consiglio in

data 24 ottobre 2019 dal consigliere Augusto Tatangelo.

Fatto

RILEVATO

che:

C.R. ha proposto opposizione all’esecuzione, ai sensi dell’art. 615 c.p.c., avverso un atto di precetto di pagamento notificatogli da A.A..

L’opposizione è stata integralmente accolta dal Giudice di Pace di Santa Maria Capua Vetere.

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, in parziale riforma della decisione di primo grado, la ha invece accolta solo parzialmente.

Ricorre il C., sulla base di cinque motivi.

Resiste con controricorso l’ A..

E’ stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375,376 e 380 bis c.p.c., in quanto il relatore ha ritenuto che il ricorso fosse destinato ad essere dichiarato manifestamente infondato.

E’ stata quindi fissata con decreto l’adunanza della Corte, e il decreto è stato notificato alle parti con l’indicazione della proposta.

Il controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., comma 2.

Il collegio ha disposto che sia redatta motivazione in forma semplificata.

Diritto

RITENUTO

che:

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione dell’art. 347 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con conseguente inammissibilità dell’appello per il mancato deposito della sentenza impugnata”.

Secondo il ricorrente, l’appellante non avrebbe depositato, nel corso del giudizio di secondo grado, la copia della sentenza impugnata e ciò avrebbe dovuto comportare la dichiarazione di inammissibilità del gravame.

Il motivo è manifestamente infondato.

A prescindere da ogni considerazione in ordine alla fondatezza in fatto delle affermazioni del ricorrente (che sono contestate dal controricorrente e non appaiono invero adeguatamente documentate), è sufficiente in proposito rilevare che, secondo l’indirizzo di questa Corte, “l’art. 347 c.p.c., comma 2, stabilisce che l’appellante deve inserire nel proprio fascicolo copia della sentenza impugnata, ma, in caso di omissione, non commina la sanzione dell’improcedibilità come previsto, invece, dall’art. 348 c.p.c., per la mancata costituzione nei termini o per l’omessa comparizione dell’appellante alla prima udienza ed a quella successiva all’uopo fissata, sicchè la mancanza in atti della sentenza impugnata non preclude al giudice la possibilità di decidere nel merito qualora, sulla base degli atti, egli disponga di elementi sufficienti” (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 23713 del 22/11/2016, Rv. 642989 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 27536 del 10/12/2013, Rv. 629736 – 01; Sez. 2, Sentenza n. 238 del 11/01/2010, Rv. 610961 – 01; Sez. L, Sentenza n. 2171 del 28/01/2009, Rv. 606869 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 10404 del 02/07/2003, Rv. 564713 – 01), ciò che risulta avvenuto nel caso di specie.

D’altre parte il ricorrente non precisa se ed eventualmente in quali atti processuali aveva sollevato la questione oggetto del motivo di ricorso in esame, nel corso del giudizio di merito. In mancanza, la conseguente dedotta (ma in realtà insussistente, come si è visto) nullità sarebbe pertanto stata determinata anche dalla sua inerzia ed egli di conseguenza non se ne potrebbe dolere, ai sensi dell’art. 157 c.p.c., comma 3, (cfr., in proposito, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 21381 del 30/08/2018, Rv. 650325 – 01).

2. Con il secondo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 615 c.p.c., in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, poichè il Giudice di Appello avrebbe dovuto dichiarare che in primo grado era stata proposta anche opposizione ex art. 617 c.p.c., e dichiarare in conseguenza l’appello inammissibile per non essere stato proposto ricorso per Cassazione ai sensi dell’art. 111 Cost.”.

Il ricorrente deduce che nell’opposizione originariamente da lui avanzata era ravvisabile (anche) un profilo di opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c., in relazione al quale l’appello dell’opposto avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile.

Il motivo è per un verso inammissibile e, per altro verso, manifestamente infondato.

In primo luogo, sussiste difetto di specificità della censura, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in quanto non viene richiamato in dettaglio, nel ricorso, il contenuto dell’originario atto di opposizione, onde consentire alla Corte di verificare la fondatezza dell’assunto posto a base della stessa.

In ogni caso, per quanto si evince dal ricorso stesso, il C. avrebbe dedotto in sede di opposizione la mancata notificazione del titolo esecutivo posto a base del precetto opposto, individuando tale titolo esclusivamente nella sentenza n. 1882/2010 del Giudice di Pace di Santa Maria Capua Vetere.

Orbene, il tribunale, nella decisione impugnata, ha ritenuto in realtà che l’intimazione fosse fondata solo in parte su tale sentenza e, per altra parte, sulla sentenza n. 1688/2009 del medesimo Giudice di Pace di Santa Maria Capua Vetere, che peraltro era stata regolarmente notificata al debitore (come lo stesso tribunale afferma essere pacifico tra le parti, affermazione che non risulta oggetto di censura).

Per quanto riguarda la sentenza n. 1882/2010 del Giudice di Pace di Santa Maria Capua Vetere, il Tribunale ha in effetti confermato l’accoglimento (già statuito dal giudice di pace) dell’opposizione del C., ritenendo che detta sentenza non costituisse affatto titolo esecutivo, il che assorbe ogni altra questione in relazione ad essa, ivi incluse quelle relative alla sua regolare notificazione.

Di conseguenza, la censura di cui al motivo di ricorso in esame, con riguardo alla mancata qualificazione come opposizione agli atti esecutivi della contestazione relativa alla mancata notificazione della suddetta sentenza n. 1882/2010 (l’unica che potrebbe ritenersi proposta, secondo la stessa prospettazione del ricorrente, essendo del resto pacifica l’avvenuta notificazione dell’altra sentenza n. 1688/2009) non ha alcun rilievo concreto ai fini della decisione.

La questione dell’esatta individuazione del titolo posto a base dell’intimazione finisce, in altri termini, per potere assumere rilievo esclusivamente in relazione alla sussistenza del diritto di procedere ad esecuzione forzata, mentre non ha alcun concreto rilievo ai fini della pretesa opposizione agli atti esecutivi, come correttamente ritenuto dal giudice di secondo grado (più precisamente: nella misura in cui l’intimazione possa ritenersi fondata sulla sentenza n. 1882/2010, che non costituisce titolo esecutivo, resta assorbita ogni questione sulla sua notifica, essendo l’opposizione stata accolta per l’indicato difetto di titolo esecutivo; in relazione alla notificazione della sentenza n. 1688/2009 non risulta invece avanzata alcuna contestazione e, del resto, tale notificazione è pacificamente avvenuta, onde, nella misura in cui l’intimazione è fondata su tale ultima sentenza non è ravvisabile alcuna opposizione agli atti esecutivi).

3. Con il terzo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c., per aver richiesto l’appellante una somma già dichiarata non dovuta e coperta da giudicato del Tribunale di S. Maria C.V. n. 1343/13 del 25/6/2013 (sentenza depositata nel fascicolo di primo grado dell’appellante innanzi al Giudice di Pace e indicata nell’indice al numero 5 e depositata anche nel fascicolo di primo grado dell’appellato-ricorrente innanzi al Giudice di Pace all’atto della costituzione e indicata nell’indice al numero 3)”.

Il motivo non risulta formulato in modo chiaro e quindi difficilmente è comprensibile il senso della censura, che addirittura non appare rivolta nei confronti della decisione impugnata, ma diretta a contestare il contenuto del precetto intimato dall’ A.. E’ dedotta la violazione dell’art. 342 c.p.c., ma in realtà nell’illustrazione della censura e nella relativa esposizione l’oggetto delle difese del ricorrente non risulta affatto coerente con tale deduzione.

Ciò è di per sè sufficiente a determinarne l’inammissibilità.

In ogni caso, sembrerebbe potersi supporre che il ricorrente intenda sostenere che la sentenza n. 1343/2013 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere aveva definitivamente accertato la natura parziaria dell’obbligazione del condominio, mentre l’intimazione non era avvenuta nei limiti della quota da lui dovuta quale condomino.

Anche se potesse intendersi in questo senso, la censura non coglierebbe peraltro nel segno. Nella decisione impugnata non è affermata la natura solidale della responsabilità dei singoli condomini per le obbligazioni del condominio, ma esclusivamente che è il condomino opponente ad essere gravato dell’onere di dimostrare la misura della sua quota di partecipazione al condominio onde poter efficacemente contestare l’intimazione eventualmente operata dal creditore in misura superiore a detta quota; e tale ultima affermazione è conforme in diritto all’indirizzo di questa Corte (cfr. Cass., Sez. 3, Sentenza n. 22856 del 29/09/2017, Rv. 645511 – 01).

4. Con il quarto motivo si denunzia “Violazione e falsa dell’art. 342 codice di rito civile, (nel testo formulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, in L. 7 agosto 2012, n. 134), in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3”.

Secondo il ricorrente, poichè l’opposto, nell’atto di appello, aveva chiesto che fosse rigettata integralmente l’opposizione, dichiarandosi dovute le somme di cui era stato intimato il pagamento sia in base alla sentenza n. 1882/2010 che in base alla sentenza n. 1688/2009 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, il giudice di secondo grado non avrebbe potuto, come ha fatto, accogliere il gravame esclusivamente in relazione alle somme dovute sulla base della sentenza n. 1688/2009 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere.

La censura è manifestamente infondata.

In primo luogo si deve rilevare che anche in questo caso viene dedotta la violazione dell’art. 342 c.p.c., ma in realtà nell’illustrazione della censura e nella relativa esposizione l’oggetto delle difese del ricorrente non risulta coerente con tale deduzione.

Comunque, il tribunale ha ritenuto fondato il gravame dell’ A. in relazione alle somme dovute in base della sentenza n. 1688/2009 e lo ha ritenuto infondato in relazione alle somme pretese in base della sentenza n. 1882/2010; di conseguenza, ha accolto parzialmente l’appello, senza che in ciò sia ravvisabile alcuna violazione della disposizione (in tema di requisiti di forma contenuto dell’atto di impugnazione) richiamata dal ricorrente.

5. Con il quinto motivo si denunzia “Violazione dell’art. 615 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con errata interpretazione del titolo esecutivo effettuata dal Giudice di Appello con violazione del giudicato costituito dalla sentenza n. 1343/13 del 25/6/2013 del Tribunale di S. Maria C.V. e del principio “ne bis in idem” con conseguente inammissibilità dell’appello ex art. 342 c.p.c.”.

Secondo il ricorrente, l’importo che il tribunale ha ritenuto da lui dovuto, quale condomino, sarebbe addirittura superiore all’intero debito complessivo del condominio, come accertato in una precedente decisione passata in giudicato (richiama in proposito la sentenza n. 1343/2013 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere).

Il motivo è inammissibile per difetto di specificità, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Il tribunale ha espressamente affermato che il diritto dell’ A. di procedere ad esecuzione forzata sussisteva per gli importi dovuti in base alla sentenza n. 1688/2009 del Giudice di Pace di Santa Maria Capua Vetere, nei limiti dell’accertamento compiuto dal medesimo ufficio giudiziario con la sentenza n. 1882/2010 (cioè la sentenza avente ad oggetto la prima opposizione a precetto avanzata dal C., confermata in grado di appello proprio dalla sentenza n. 1343/2013 del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere). Il ricorrente non richiama in maniera sufficientemente specifica l’oggetto di quel giudizio ed il contenuto delle sentenze di primo e secondo grado, anche in relazione ai motivi di opposizione, il che impedisce alla Corte di verificare la fondatezza della contestazione operata in relazione all’interpretazione datane nella decisione impugnata.

6. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 2.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 201, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.

Motivazione semplificata.

Così deciso in Roma, il 24 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2020

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