Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 371 del 10/01/2018

Cassazione civile, sez. I, 10/01/2018, (ud. 30/05/2017, dep.10/01/2018),  n. 371

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – Con citazioni notificate il 3 febbraio 1994 A.G. e S.P. proponevano due distinte opposizioni avverso il decreto ingiuntivo pronunciato nei loro confronti, oltre che della società Rider’s s.r.l., su ricorso del Credito Italiano. Ai predetti A. e S. era stato intimato il pagamento della somma di L. 96.742.369, pari a Euro 49.963,26, oltre interessi e spese, avendo riguardo alla garanzia dagli stessi prestata in favore della società Rider’s, debitrice principale. Gli opponenti eccepivano la nullità delle garanzie fideiussorie, asseritamente prestate senza la previsione dell’importo massimo garantito, e l’addebito di interessi superiori a quello contrattualmente convenuto e, comunque, a quello legale.

I due giudizi venivano riuniti e, a seguito dell’esperimento di consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale di Napoli revocava il decreto ingiuntivo opposto e condannava gli opponenti al pagamento della somma di Euro 45.545,41, oltre interessi legali. Riteneva il giudice di prime cure che non era stata formulata alcuna circostanziata contestazione con riferimento alle movimentazioni documentate dagli estratti conto acquisiti e che il saldo debitore della Rider’s alla data del 15 novembre 1992, una volta operato lo scomputo degli interessi anatocistici e applicato agli interessi il tasso nominale massimo dei buoni ordinari del Tesoro, ammontava alla somma sopra indicata.

2. – A. e S. proponevano gravame che la Corte di appello di Napoli, con sentenza depositata il 17 maggio 2011, nella resistenza della banca, respingeva.

3. – Quest’ultima sentenza è oggetto del ricorso per cassazione proposto dai soccombenti appellanti: ricorso fondato su quattro motivi. Resiste con controricorso Eris Finance s.r.l., nella qualità di procuratrice di Unicredit Management Bank s.p.a., che è subentrata nella posizione del Credito Italiano.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo è lamentata omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, “eccesso di pronuncia e violazione di norme di diritto”. Rilevano i ricorrenti che la banca aveva richiesto, in fase di gravame, la conferma della sentenza di primo grado: circostanza che impediva al giudice di appello di esaminare le questioni da essa proposte in prime cure. In particolare, non avrebbero potuto essere prese in considerazione le eccezioni relative alla qualificazione della garanzia come autonoma e la conseguente inopponibilità, da parte dei garanti, delle eccezioni che avrebbe potuto sollevare il debitore principale, con particolare riferimento alla capitalizzazione trimestrale degli interessi.

1.1. – La censura va disattesa.

La sentenza impugnata ha dato atto che la banca non aveva spiegato appello incidentale, ma che la stessa aveva comunque riproposto a norma dell’art. 346 c.p.c.la questione relativa alla natura autonoma della garanzia prestata e quella – ad essa correlata – degli effetti derivanti dalla clausola contrattuale che imponeva al garante di pagare “a semplice richiesta”.

I ricorrenti non deducono che su tale questione il giudice di prime cure si sia pronunciato e, del resto, la pronuncia della Corte di Napoli esclude che sul punto vi sia stata alcuna statuizione.

Ciò posto, non occorre che la parte spieghi appello incidentale per ottenere dal giudice di secondo grado l’esame di questioni che quello di primo grado non ha esaminato perchè le ha ritenute assorbite, essendo a questo fine sufficiente che la parte riproponga le questioni in qualsiasi modo nel corso del giudizio di secondo grado per evitare che si presumano abbandonate (principio assolutamente pacifico: per tutte, Cass. 31 gennaio 2006, n. 2146): l’insussistenza dell’onere di proporre uno specifico motivo di gravame concernente le questioni assorbite si spiega col rilievo per cui il gravame risulterebbe, in questa ipotesi, privo di oggetto, proprio perchè fa difetto una statuizione contro cui appuntare specifiche doglianze (Cass. 8 novembre 2005, n. 21641).

2. – Possono ora esaminarsi congiuntamente, in quanto connessi, il secondo e il quarto motivo.

2.1 – Il secondo motivo denuncia la nullità, erroneità, indeterminatezza e illogicità della sentenza impugnata laddove ha mancato di motivare sui criteri di determinazione del saldo iniziale, nonchè omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione. Ricordano i ricorrenti che la Corte di merito aveva osservato che la consulenza tecnica esperita in primo grado, e recepita dal Tribunale, non consentiva di stabilire se il saldo finale fosse o meno il frutto dell’incidenza di una illegittima capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi intervenuta nel periodo intercorrente tra l’accensione del conto corrente e l’ultimo trimestre del 1992; ricordano, inoltre, che lo stesso giudice del gravame aveva dato atto di un saldo iniziale di L. 63.922.316 e che non era dato sapere se tale importo costituisse il risultato di operazioni poste in essere dall’apertura del conto o se, sul conto stesso, fossero refluite precedenti passività. In tal modo, secondo gli istanti, la Corte di Napoli aveva ignorato la copiosa giurisprudenza, di legittimità e di merito, secondo cui, in caso di mancata prova del primo saldo, esso non potesse essere che pari a zero.

2.2 – Con il quarto motivo gli istanti si dolgono della violazione e falsa applicazione dell’art. 1938 c.c.. Censurano, in buona sostanza, la decisione impugnata laddove ha ritenuto che il garante non potesse opporre al beneficiario l’illegittimità della attuata capitalizzazione degli interessi passivi. Rilevano, in proposito, che le clausole che prevedono una capitalizzazione degli interessi sono affette da nullità per contrasto con norma imperativa e che tale nullità è rilevabile d’ufficio, a norma dell’art. 1421 c.c..

2.3. – Si desume dalla sentenza impugnata che i ricorrenti avessero formulato in appello una questione vertente sull’onere probatorio del credito vantato dalla banca. Risulta nondimeno dalla menzionata pronuncia che la Corte distrettuale abbia inteso superare detta questione sulla scorta della natura autonoma della garanzia prestata (e quindi sulla base del rilievo per cui tale garanzia precluderebbe al garante la facoltà di opporre al creditore le eccezioni relative al rapporto fondamentale).

Ora, la necessità di una ricostruzione delle movimentazioni del conto corrente dal momento della sua apertura assume certamente rilevanza avendo riguardo alla proposta eccezione relativa all’attuata capitalizzazione degli interessi debitori: ma la predetta necessità può ovviamente configurarsi solamente se una tale eccezione sia opponibile dal garante.

Al riguardo, deve ribadirsi che secondo la Corte territoriale la garanzia prestata da A. e S. aveva natura autonoma: tale accertamento non è stato censurato.

Come è stato osservato dalle Sezioni Unite, le quali, sul punto, hanno recepito un orientamento ampiamente consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, l’impermeabilità del contratto autonomo di garanzia alle eccezioni di merito del garante trova un limite, oltre che nel caso in cui sia proponibile la cd. exceptio doli generalis seu presentis, basata sull’evidenza certa del venir meno del debito garantito per pregressa estinzione dell’obbligazione principale per adempimento o per altra causale, in queste altre ipotesi: quando le eccezioni attengano alla validità dello stesso contratto di garanzia; quando esse ineriscano al rapporto tra garante e beneficiario; quando il garante faccia valere l’inesistenza del rapporto garantito; quando, infine, la nullità del contratto-base dipenda da contrarietà a norme imperative o illiceità della causa ed attraverso il contratto di garanzia si tenda ad assicurare il risultato che l’ordinamento vieta (Cass. Sez. U. 18 febbraio 2010, n. 3947, in motivazione, ove i richiami a Cass. 7 marzo 2002, n. 3326, Cass. 14 dicembre 2007, n. 26262 e Cass. 3 marzo 2009, n. 5044). Infatti, come sottolineato dalla cit. Cass. Sez. U. 18 febbraio 2010, n. 3947, l’accessorietà dell’obbligazione autonoma di garanzia rispetto al rapporto debitorio principale assume un carattere elastico, di semplice collegamento e coordinamento tra obbligazioni, ma non viene del tutto a mancare: e ciò sarebbe dimostrato, oltre che dal meccanismo di riequilibrio delle diverse posizioni contrattuali attraverso il sistema delle rivalse, proprio dalla rilevanza delle ipotesi in cui il garante è esonerato dal pagamento per ragioni che riguardano comunque il rapporto sottostante.

Va detto, a questo punto, che le clausole che prevedono una capitalizzazione degli interessi sono affette proprio da nullità per contrasto con norme imperative (Cass. 22 marzo 2011, n. 6518): ovviamente rileva, in questa sede, il regime anteriore alla delib. CICR 9 febbraio 2000, che in conformità dell’art. 120 t.u.b. (nel testo novellato dal D.Lgs. n. 342 del 1999, art. 25), ha ammesso l’anatocismo allorquando sia assicurata nei confronti della clientela la stessa periodicità nel conteggio degli interessi sia debitori che creditori.

Nè, con riferimento alla fattispecie che qui viene in esame, potrebbe utilmente invocarsi Cass. 3 marzo 2009, n. 5044, secondo cui nel nostro ordinamento non sarebbe configurabile un divieto assoluto di anatocismo, essendo anzi quest’ultimo permesso alle particolari condizioni previste dall’art. 1283 c.c., e, per gli esercenti l’attività bancaria, dall’art. 120 t.u.b.. Una tale affermazione, sicuramente condivisibile su di un piano astratto, non appare difatti spendibile laddove venga concretamente in questione la proibita contabilizzazione di interessi anatocistici. Si rileva che, in assenza delle condizioni che la legittimano, la capitalizzazione è vietata, sicchè la disposizione che la programma deve considerarsi affetta da nullità per violazione di una norma cogente. In particolare, l’art. 1283 c.c. esclude l’anatocismo quando questo non sia previsto da un uso normativo (salvo che non vengano in questione interessi maturati dal giorno della domanda, o in forza di convenzione posteriore alla loro scadenza): ma la clausola contrattuale con cui, prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 342 del 1999, sia pattuita la capitalizzazione degli interessi debitori è basata su un uso negoziale, anzichè su di un uso normativo (Cass. Sez. U. 4 novembre 2004, n. 21095): e ciò implica che la clausola stessa violi il precetto contenuto nella citata norma di legge.

Ne consegue che – non essendovi ragione di discostarsi dall’insegnamento che ammette la proponibilità, da parte del garante, delle eccezioni fondate sulla nullità del contratto-base per violazione di norme imperative – il garante autonomo debba ritenersi pienamente legittimato a sollevare, nei confronti della banca, l’eccezione di nullità della clausola anatocistica, allorquando essa non si fondi, come nella specie, su di un uso normativo (e non ricorrano, ovviamente, le altre condizioni legittimanti di cui all’art. 1283). Va evidenziato, del resto, che, se si ammettesse la soluzione contraria, si finirebbe per consentire al creditore di ottenere, per il tramite del garante, un risultato che l’ordinamento vieta.

Ne consegue, altresì, che il problema della possibile confluenza, nel saldo iniziale di L. 63.922.316, di interessi anatocistici (sentenza impugnata, pagg. 14 e 15), non può che risolversi in senso sfavorevole alla banca. Infatti, per giurisprudenza costante di questa S.C., nei rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità, per mancanza dei requisiti di legge, della pattuizione di interessi ultralegali a carico del correntista, la banca ha l’onere di produrre gli estratti a partire dall’apertura del conto; nè essa banca può sottrarsi all’assolvimento di tale onere invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni, perchè non si può confondere l’onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito (Cass. 25 novembre 2010, n. 23974; in senso conforme: Cass. 20 aprile 2016, n. 7972; Cass. 18 settembre 2014, n. 19696; Cass. 26 gennaio 2011, n. 1842; Cass. 10 maggio 2007, n. 10692). Tale principio vale, ovviamente, anche ove si faccia questione dell’addebito di interessi anatocistici non dovuti.

I due motivi in esame vanno quindi accolti.

3. – E’ oggetto del terzo motivo la censura di violazione e falsa applicazione degli artt. 1283 e 1421 c.c.. Osservano i ricorrenti che in presenza di un anatocismo vietato gli interessi a debito del correntista debbano essere calcolati senza operare alcuna capitalizzazione; rilevano, altresì, che in tema di capitalizzazione trimestrale la nullità della clausola è rilevabile, anche d’ufficio, in fase di gravame, a norma dell’art. 1421 c.c..

3.1. – Anche tale motivo è fondato.

La Corte partenopea ha in sintesi rilevato che la questione relativa alle conseguenze della nullità della clausola anatocistica (se, cioè, gli interessi andassero capitalizzati annualmente o non capitalizzati affatto) era stata proposta dagli appellanti solo in comparsa conclusionale; ha osservato, in particolare, che tale questione doveva costituire oggetto di tempestivo motivo di gravame.

Ora, questa S.C. si è più volte espressa nel senso che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo la nullità delle clausole anatocistiche possa essere rilevata d’ufficio anche in fase di gravame (Cass. 25 novembre 2010, n. 23974; Cass. 10 ottobre 2007, n. 21141; Cass. 1 marzo 2007, n. 4853; non contrasta – a ben vedere – con detto indirizzo Cass. 11 novembre 2011, n. 23656, che ha escluso la rilevabilità d’ufficio della nullità in una ipotesi in cui era mancata la tempestiva specifica allegazione della clausola anatocistica); proprio in quanto si verte in tema di eccezioni rilevabili d’ufficio la nullità può essere poi dedotta anche nella comparsa conclusionale d’appello (Cass. 28 ottobre 2005, n. 21080). Superfluo aggiungere, poi, che l’attuabilità del rilievo officioso, in appello, delle nullità contrattuali risulta oggi più ampio rispetto a quanto non lo fosse in passato, e ciò in ragione dell’importante arresto di Cass. Sez. U. 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243.

Se, quindi, il giudice è tenuto a rilevare d’ufficio la nullità della clausola che programma la non consentita capitalizzazione, a maggior ragione potrà trarre le conseguenze di legge dall’accertata invalidità di quella disposizione negoziale. In altra prospettiva, è innegabile che la questione in parola sia rilevabile d’ufficio, in quanto essa si risolve, puramente e semplicemente, nell’individuazione della disciplina normativa applicabile al contratto deprivato della clausola dichiarata nulla.

Quale sia tale disciplina è stato poi chiarito dalle Sezioni Unite della Corte: una volta dichiarata la nullità della previsione negoziale relativa alla capitalizzazione, per contrasto con il divieto di anatocismo stabilito dall’art. 1283 c.c. – il quale osterebbe anche ad un’eventuale previsione negoziale di capitalizzazione annuale – gli interessi a debito del correntista devono essere infatti calcolati senza operare alcuna capitalizzazione (Cass. Sez. U. 2 dicembre 2010, n. 24418).

4. – In conclusione, vanno accolti il secondo, il terzo e il quarto motivo, mentre deve essere respinto il primo. La sentenza va cassata con riferimento ai motivi accolti e la causa va rinviata ad altra sezione della Corte di appello di Napoli, che dovrà fare applicazione dei suesposti principi di diritto.

Al giudice del rinvio è devoluta la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

PQM

La Corte accoglie il secondo, il terzo e il quarto motivo di ricorso e rigetta il primo; cassa la sentenza impugnata con riferimento ai motivi accolti e rinvia la causa alla Corte di appello di Napoli, in altra composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 1 Sezione Civile, il 30 maggio 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2018

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