Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3706 del 17/02/2010

Cassazione civile sez. trib., 17/02/2010, (ud. 13/10/2009, dep. 17/02/2010), n.3706

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Consigliere –

Dott. MARIGLIANO Eugenia – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro in

carica, e AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore in carica,

rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO e

domiciliati presso la sua sede in Roma, in via dei Portoghesi n. 12;

– ricorrenti –

contro

ORTOFRESCO srl, rappresentata e difesa dall’avv. NUSSI MARIO ed

elettivamente domiciliata in Roma presso l’avv. Vincenzo Sinopoli,

in viale Angelico n. 38;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del Friuli

Venezia Giulia n. 123/12/02, depositata il 3 marzo 2005;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13

ottobre 2009 dal Relatore Cons. Dott. Antonio Greco;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso

principale e il rigetto del ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Ortofresco srl, esercente il commercio all’ingrosso di frutta e verdura, inpugnò l’avviso di rettifica dell’IVA per l’anno 1994 emesso, oltre che per l’irregolare tenuta dei registri IVA e per la tardiva registrazione di alcune fatture, per il mancato riconoscimento della detrazione dell’imposta su canoni corrisposti per la locazione finanziaria di un immobile che la contribuente aveva locato a terzi – e quindi aveva riscattato e poi alienato -, non essendo stato ravvisati nella specie i requisiti di inerenza e strumentante rispetto all’oggetto sociale, non potendo detti canoni essere considerati costi inerenti all’attività di impresa della contribuente.

La Commissione tributaria provinciale di Udine, mentre rigettava la doglianza concernente la mancanza di motivazione dell’avviso e quella relativa alla irregolare tenuta dei registri IVA, accoglieva la domanda riguardante il mancato riconoscimento della detrazione dell’imposta sui canoni corrisposti per la locazione finanziaria dell’immobile, ritenendo la fattispecie “accessoria” all’oggetto sociale principale, il commercio all’ingrosso di frutta e verdura, “e quindi rientrante comunque (per effetto della discussa “presunzione di inerenza” nei confronti delle società commerciali) nell’esercizio dell’impresa (ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4)”. La mancata detrazione dell’IVA da parte della contribuente (effettivamente versata in sede di acquisto dell’immobile) avrebbe determinato un’illegittima duplicazione d’imposta.

L’appello dell’Ufficio finanziario, che insisteva sulla necessità di una specifica e comprovata relazione tra l’attività esercitata e il bene acquistato, ovvero sulla dimostrazione in concreto, il cui onere gravava sulla contribuente, della destinazione ed utilizzazione dell’immobile in esame alle finalità dell’impresa, veniva rigettato; veniva del pari rigettato l’appello incidentale della contribuente sui capi ad essa sfavorevoli della decisione di primo grado.

La Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia riteneva infatti che ai fini la valutazione della detraibilità dell’IVA si doveva avere riguardo, per le società di capitali, alle previsioni degli artt. 2135 e 2195 c.c., e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 4, comma 2, n. 1, che fanno riferimento solo al concetto di “esercizio d’impresa”, senza indicazioni o rinvii alle attività previste nell’oggetto sociale, per cui l’inerenza va “rapportata non tanto alla strumentalità dell’immobile, quanto al carattere di funzionalità che lega quel determinato bene (il supermercato) non solo all’esercizio dell’attività effettivamente svolta dalla società (il commercio all’ingrosso ortofrutticolo), ma anche secondo una visione prospettica di utilizzo e/o impiego del bene in leasing (la successiva concessione in locazione dell’immobile proprio come supermercato): l’inerenza, infatti, intesa come astratta e potenziale possibilità del costo di produrre ricavi non presuppone necessariamente una sua correlazione con l’attualità del ricavo, ma è sufficiente la sua potenzialità alla produzione di ricavi anche futuri”. Allo stesso modo, non può escludersi la correlazione tra i costi sostenuti per il contratto di leasing ed i ricavi ottenuti dal canone di locazione ordinaria dell’immobile, soltanto per la diversa fonte contrattuale, in quanto risulta essenziale – ai fini dell’inerenza – l’effettiva sussistenza in concreto di tali costi e ricavi, come nel caso in esame.

Nei confronti della decisione il Ministero dell’economia e delle finanze propongono ricorso per cassazione sulla base di un motivo.

La società contribuente resiste con controricorso, illustrato con due successive memorie, proponendo due motivi di ricorso incidentale.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

I ricorsi, in quanto proposti nei confronti della medesima sentenza, vanno riuniti per essere definiti con un’unica decisione.

Con l’unico motivo l’amministrazione ricorrente, denunciando “violazione o falsa applicazione del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, artt. 19 e 4. Omessa o carente motivazione su punti decisivi della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5”, censura la sentenza per aver rapportato l’inerenza delle operazioni non alla strumentalità dell’immobile, ma al carattere di “funzionalità” che lega quel bene non soltanto “all’esercizio dell’attività effettivamente svolta, ma anche secondo una visione prospettica di utilizzo e/o impiego del bene”, dovendosi considerare l’inerenza come “astratta e potenziale possibilità del costo di produrre ricavi”. Assume infatti che se è vero che la disciplina dell’IVA. consente al compratore di portare in detrazione l’imposta addebitatagli a titolo di rivalsa dal compratore, quando l’acquisto sia da questo effettuato nell’esercizio dell’impresa, essa tuttavia richiede un quid pluris rispetto alla mera qualità di imprenditore, e cioè l’inerenza e strumentante del bene comprato rispetto all’attività svolta dall’impresa, lasciando la dimostrazione di detta inerenza o strumentante a carico dell’interessato. E ciò senza eccezione per il caso d’acquisto effettuato dalle società commerciali, atteso che la presunzione assoluta posta in proposito dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 4, – secondo cui si considerano in ogni caso effettuate nell’esercizio dell’impresa le cessioni di beni e le prestazioni di servizi poste in essere -, opera solo per le operazioni attive, essendo invece per le operazioni passive condizione indispensabile per la deducibilità, a norma dell’art. 19, che i beni e i servizi acquistati siano effettivamente inerenti all’esercizio dell’impresa, cioè in stretta connessione con la finalità imprenditoriale, richiedendosi l’accertamento in concreto dell’inerenza dei beni acquistati con lo specifico settore di attività esercitata. Per la corretta applicazione della norma, dunque, il requisito dell’inerenza andrebbe accertato verificando se l’acquisto possa considerarsi necessario o inerente al tipo ed alle modalità dell’attività economica effettivamente svolta, alla luce dell’oggetto indicato nello statuto. Nella specie, nel periodo che va dal 31 dicembre 1992 al 30 aprile 1994, periodo in cui viene sostenuta l’indebita detrazione, l’oggetto indicato nello statuto della società Ortofresco è l’attività di commercio all’ingrosso di frutta e verdura, e non l’indicata attività di acquisto e vendita di immobili, previsione che è stata invece specificamente inserita, previa modifica statutaria,col verbale di assemblea straordinaria del 10 maggio 1994. Sarebbe pertanto documentalmente provata l’assoluta estraneità nonchè la mancanza di correlazione tra detta operazione e l’attività di commercio all’ingrosso di frutta e verdura.

Col primo motivo del ricorso incidentale la resistente, in relazione alla irregolare tenuta dei registri, denunciando “violazione dell’art. 24 Cost., D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 16 e 17; L. n. 212 del 2000, art. 7, e L. n. 241 del 1990, art. 3, nonchè insufficiente e contraddittoria motivazione”, lamenta che “le violazioni contestate in ricorso fossero assolutamente non specificate e in alcun modo motivate” (nell’atto di irrogazione delle relative sanzioni).

Il motivo è infondato, in quanto il giudice d’appello ha accertato come “l’esame congiunto dell’avviso di rettifica con il p.v.c. ivi richiamato e regolarmente notificato ben consentiva alla società di conoscere adeguatamente le motivazioni poste a base delle contestazioni, e tale chiarezza dei rilievi non risulta quindi… inficiata dall’uso delle congiunzioni e/o”. A fronte di una siffatta affermazione, corretta in diritto e congruamente motivata, la contribuente non svolge adeguate censure.

Col secondo motivo, denunciando “violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 23, D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 16, D.L. n. 357 del 1994, art. 7, comma 4 bis, conv. in L. n. 489 del 1994, D.Lgs. n. 472 del 1997, artt. 3 e 25, nonchè omessa/insufficiente e contraddittoria motivazione”, deduce, in ordine alla contestata omessa registrazione di fatture sul registro, per un verso che tanto la disposizione che prevede l’illecito che quella relativa alla sanzione sarebbero state abrogate, e per altro verso che “le fatture contestate risultavano pacificamente memorizzate su supporti magnetici”.

La censure sono infondate.

Quanto alla prima, il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 471, art. 6, nel punire con sanzione amministrativa la violazione degli obblighi inerenti la registrazione delle operazioni imponibili ai fini dell’IVA, anche quando non abbiano dato luogo in concreto ad evasione fiscale, non ha fatto altro che riprodurre la fattispecie sanzionatola già in precedenza prevista dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 42, contestualmente abrogato; pertanto, il contribuente sanzionato in base alla seconda delle norme suddette non può invocare il principio del favor rei, per difetto assoluto dei relativi presupposti, e l’abrogazione del citato art. 42, può eventualmente incidere solo sulla misura della sanzione irrogata (Cass. n. 434 del 2008).

Quanto alla seconda censura, concernente l’asserita regolarità della tenuta del “registro contabile con i sistemi meccanografici in difetto di trascrizione sui supporti cartacei, nei termini di legge… allorquando… essi risultino aggiornati sugli appositi supporti magnetici”, secondo la previsione del D.L. 10 giugno 1994, n. 357, art. 7, comma 4 ter, la portata della disposizione è circoscritta ai “dati relativi all’esercizio corrente”, laddove nella specie si controverte del periodo d’imposta 1994 e la verifica, le cui risultanze sono raccolte nel p.v.c. notificato il 13 aprile 1995, è dell’anno successivo.

L’eccezione di giudicato esterno sollevata dalla resistente con la memoria del 2 ottobre 2009, giudicato che si assume essere costituito da sentenza di merito divenuta definitiva resa tra le stesse parti ed avente ad oggetto un accertamento ai fini dell’IRPEG e dell’ILOR, è inopponibile nel presente giudizio, avente ad oggetto un accertamento ai fini dell’IVA, in quanto, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, “in materia tributaria, la sentenza pronunciata in riferimento ad una determinata imposta, ancorchè fondata sui medesimi fatti rilevanti ai fini dell’applicazione di un’imposta diversa, non spiega efficacia preclusiva nel giudizio avente ad oggetto quest’ultima imposta, essendosi formata mediante l’applicazione di norme giuridiche diverse da quelle sotto le quali deve aver luogo la sussunzione della fattispecie controversa” (Cass. n. 8773 del 2008), e, segnatamente, “il giudicato, formatosi in materia di tributi diretti, non è preclusivo delle questioni concernenti il diverso rapporto giuridico d’imposta in tema di IVA, anche se relativo alla stessa annualità e scaturente dalla medesima indagine di fatto” (Cass. n. 25000 del 2009).

Il ricorso dell’amministrazione è invece fondato.

Questa Corte, anche alla luce della sesta direttiva del Consiglio del 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, come interpretata dalla giurisprudenza della Corte di giustizia CE, ha già affermato il principio secondo cui “in tema di I.V.A., il D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art.19, comma 1, consentendo al compratore di portare in detrazione l’imposta addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore quando si tratti di acquisto effettuato nell’esercizio dell’impresa, richiede, oltre alla qualità d’imprenditore dell’acquirente, l’inerenza del bene acquistato all’attività imprenditoriale, intesa come strumentalità del bene stesso rispetto a detta specifica attività, ed inoltre, non introducendo una deroga ai comuni criteri in tema di onere della prova, lascia la dimostrazione di detta inerenza o strumentalità a carico dell’interessato” (Cass. n. 16730 del 2008, n. 11765 del 2008, n. 3022 del 2007).

La norma citata, infatti – come la Corte ha avuto occasione di precisare nella sentenza n. 1421 del 2008 che definiva una controversia analoga alla presente con le medesima parti – “consentendo al compratore di portare in detrazione l’IVA addebitatagli a titolo di rivalsa dal venditore quando si tratti di acquisto effettuato nell’esercizio di impresa, richiede un quid pluris rispetto alla qualità di imprenditore dell’acquirente, cioè l’inerenza o strumentalità del bene comprato rispetto all’attività imprenditoriale”. Il diniego della detrazione dell’IVA “a monte”, quando il bene comprato non sia strumentale all’esercizio dell’impresa, non determina un’illegittima duplicità d’imposizione. Nè può presumersi la sussistenza dei requisiti dell’inerenza e della srumentalità in ragione della qualità di società commerciale dell’acquirente. In base alla disciplina dettata dall’art. 4, comma 2, n. 1, e art. 19, comma 1, infatti, mentre le cessioni di beni da parte di società commerciali sono da considerare in ogni caso, cioè senza eccezioni, effettuate nell’esercizio di impresa, in ordine agli acquisti di beni da parte delle stesse società, l’inerenza all’esercizio dell’impresa di tali operazioni passive, ai fini della detraibilità dell’imposta, non può essere ritenuta in virtù della semplice qualità di imprenditore societario dell’acquirente, ma occorre accertare che le operazioni medesime siano effettivamente compiute nell’esercizio d’impresa, cioè in stretta connessione con le finalità imprenditoriali, con onere della prova a carico di chi invochi la detrazione (Cass. n. 5599 del 2003).

Pertanto, un tale accertamento deve essere compiuto in concreto e non già, come nella specie, in astratto, e va rapportato all’oggetto sociale quale risulta dai documenti che la contribuente deve aver cura di allegare e provare.

In conclusione, il ricorso incidentale va rigettato, mentre va accolto il motivo del ricorso principale, la sentenza impugnata, in quanto pronunciata sulla base di una erronea regula iuris, va cassata e la causa rinviata ad altra sezione della stessa CTR per un nuovo esame, condotto sulla base dei principi sopra enunciati, oltre che per il governo delle spese di questa fase.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale e rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Friuli Venezia Giulia.

Così deciso in Roma, il 13 ottobre 2009.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2010

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