Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3706 del 15/02/2018


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Cassazione civile, sez. III, 15/02/2018, (ud. 22/01/2018, dep.15/02/2018),  n. 3706

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Regione Calabria ha agito in giudizio nei confronti di P.V. e V.G. per ottenere la restituzione delle somme loro versate in esecuzione di una sentenza di condanna del Pretore di Reggio Calabria in seguito definitivamente annullata per difetto di giurisdizione.

I convenuti hanno chiesto in via riconvenzionale la condanna della Regione al pagamento delle prestazioni rese in suo favore, per cui era stata originariamente condannata.

La domanda della Regione è stata accolta dal Tribunale di Catanzaro, che ha dichiarato inammissibili quelle proposte dai convenuti in via riconvenzionale.

La Corte di Appello di Catanzaro ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorrono il P. ed il V., sulla base di sedici motivi.

Resiste con controricorso la Regione Calabria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Premessa.

Il ricorso è formulato in modo poco chiaro ed è di difficile lettura, in quanto contiene l’esposizione di una serie di distinte censure aventi in molti casi il medesimo oggetto, spesso formulate in modo prolisso e ripetitivo, e di cui non sempre risulta agevolmente comprensibile il senso.

Si impone quindi, onde consentire un adeguato sviluppo logico della decisione, in primo luogo la trattazione congiunta dei motivi che riguardano la questione (pregiudiziale) della giurisdizione sull’azione proposta dalla Regione, per poi procedere all’esame di quelli relativi all’eccezione di prescrizione di detta azione e di quelli attinenti alle domande riconvenzionali proposte dai convenuti, riservando infine un esame distinto alle ulteriori censure non riguardanti le predette questioni.

2. Motivi attinenti alla giurisdizione sull’azione principale della Regione Calabria.

Hanno ad oggetto la questione pregiudiziale della giurisdizione sull’azione restitutoria proposta della Regione, il secondo ed il nono motivo del ricorso.

Con il secondo motivo si denunzia “Violazione dell’art. 37 c.p.c., art. 382 c.p.c. e ss., art. 389 c.p.c. attinenti alla giurisdizione in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1”.

Con il nono motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione della L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 59 nonchè L. n. 1034 del 1971, art., commi 3 e 4 e succ. mod.”.

Tali motivi sono infondati.

Secondo i ricorrenti, la giurisdizione sull’azione di ripetizione proposta dalla Regione Calabria spetterebbe al giudice amministrativo, in coerenza con quanto definitivamente accertato in relazione alla loro originaria domanda di merito accolta con la sentenza pretorile riformata dopo essere stata portata ad esecuzione.

In realtà, come correttamente rilevato dalla corte di appello, l’azione di ripetizione delle somme pagate in esecuzione della sentenza di primo grado successivamente riformata costituisce una ordinaria azione restitutoria di diritto privato, e la giurisdizione su di essa prescinde dalla natura e dal titolo del credito oggetto del pagamento. Non si pone nella specie, quindi, alcun problema di giurisdizione: trattandosi di diritti soggettivi, essa spetta al giudice ordinario (cfr. in proposito Cass., Sez. U, Ordinanza n. 7949 del 20/04/2016, Rv. 639283 – 01: “l’azione di restituzione della somma pagata in esecuzione di un lodo arbitrale dichiarato nullo – con sentenza confermata in cassazione – per sussistenza della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo non rientra in questa giurisdizione, ma può essere esercitata davanti al giudice ordinario, in modo autonomo, dovendosi assicurare l’effettività della tutela del “solvens”, a prescindere dalle vicende dell’eventuale giudizio di rinvio, nella specie non disposto”; cfr. anche Sez. U, Ordinanza n. 12190 del 02/07/2004, Rv. 574077 – 01, che in motivazione chiarisce espressamente che la tutela del diritto soggettivo alla restituzione di quanto pagato in base a sentenza poi cassata appartiene alla giurisdizione del giudice ordinario, in un caso in cui, come nella specie, la sentenza di condanna posta in esecuzione era stata cassata senza rinvio per la sussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo).

Poichè d’altra parte la vicenda processuale ha avuto luogo quando non era ancora possibile la translatio iudicii in conseguenza della dichiarazione di difetto di giurisdizione del giudice ordinario, del tutto inconferente si rivela il richiamo all’art. 389 c.p.c., disposizione che attribuisce proprio al giudice che ha pronunciato la sentenza cassata senza rinvio la competenza sulle azioni restitutorie.

3. Motivi attinenti alla prescrizione dell’azione di ripetizione proposta dalla Regione.

Hanno ad oggetto la prescrizione dell’azione della Regione, il primo motivo, quelli dal terzo al sesto, nonchè l’ottavo ed il sedicesimo.

Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 37 c.p.c. in riferimento agli artt. 2909 e 2935 c.c. e art. 324 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 1”.

Con il terzo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione di legge, in relazione all’art. 336 c.p.c., comma, n. 2 (ante riforma del 1990) e art. 431 c.p.c., nonchè all’art. 293 c.c. e ss. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Con il quarto motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione di legge, in relazione all’art. 336 c.p.c., comma , n. 2 (ante riforma del 1990), art. 324 c.p.c., nonchè dell’art. 2934 c.c., art. 2935 c.c. e ss. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Con il quinto motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione, artt. 2934 (Estinzione del diritto) – 2935 (Decorrenza della prescrizione) c.c. art. 2984 c.c., n. 4 (Prescrizione di cinque anni) con riferimento all’art. 360 c.p.c., nn. 1 e 3”.

Con il sesto motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione, artt. 324 c.p.c. – rif. art. 360 c.p.c., n. 3 (ad integrazione del precedente motivo)”.

Con l’ottavo motivo si denunzia “Violazione e/o falsa applicazione art. 99 c.p.c. rif. Art. 360 c.p.c., n. 3”.

Con il sedicesimo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. ius superveniens, violazione di diritto, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Anche i motivi in esame sono infondati.

Va in primo luogo osservato che, trattandosi di azione di ripetizione di un pagamento effettuato (come è pacifico) all’esito di esecuzione forzata di un titolo giudiziario provvisoriamente esecutivo, ai fini del definitivo consolidamento del relativo diritto della Regione non occorreva alcun giudicato sostanziale sui diritti fatti valere in giudizio, ma esclusivamente il giudicato formale sulla decisione di secondo grado che, riformandola, aveva determinato l’inefficacia della sentenza di primo grado (e cioè del titolo posto in esecuzione), e con questa, in virtù dell’effetto espansivo esterno di cui all’art. 336 c.p.c., comma 2, di tutti gli atti del relativo processo esecutivo.

E il predetto giudicato nella specie si è certamente formato al momento della pubblicazione (e non della semplice decisione, che non ha alcun rilievo esterno) della sentenza di legittimità di conferma di quella di secondo grado.

Per quanto riguarda la decorrenza e la durata della prescrizione, la decisione impugnata è del tutto conforme ai principi di diritto affermati in materia da questa Corte, anche in relazione alla formulazione temporalmente vigente dell’art. 336 c.p.c., sia in tema di decorrenza che di durata della prescrizione. In base a tali principi “il diritto alla restituzione delle somme pagate in esecuzione di una sentenza di condanna, successivamente (impugnata e) riformata, soggiace, ai sensi degli artt. 2033 e 2946 c.c., al termine di prescrizione decennale, che inizia a decorrere dal giorno in cui è divenuto definitivo – con la riforma della sentenza predetta – l’accertamento dell’indebito” (Cass., Sez. L, Sentenza n. 3269 del 11/07/1989, Rv. 463345 – 01; nel medesimo senso, con riguardo alla possibilità di agire in ripetizione solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza di riforma di quella eseguita: Sez. U, Sentenza n. 5186 del 09/05/1991, Rv. 472080 01; Sez. 2, Sentenza n. 3023 del 28/03/1994, Rv. 485963 01; Sez. 3, Sentenza n. 13635 del 05/11/2001, Rv. 549997 01; del tutto irrilevante in proposito è la questione della provvisoria esecutività della sentenza di primo grado, in quanto emessa all’esito di un giudizio soggetto al rito del lavoro, in quanto l’art. 336 c.p.c., nel testo anteriore alle riforme del 1990, era applicabile anche con riguardo a dette sentenze: cfr. ad es. Cass., Sez. L, Sentenza n. 2348 del 12/04/1980, Rv. 406040 – 01: “anche nel rito del lavoro, la sentenza di appello che riforma quella di primo grado provvisoriamente esecutiva non fa venir meno gli atti di esecuzione già posti in essere che restano in vita fino al passaggio in giudicato della sentenza di riforma”; Sez. L, Sentenza n. 4563 del 15/07/1980, Rv. 408398 – 01; Sez. L, Sentenza n. 1721 del 17/02/1988, Rv. 457727 – 01).

La decisione impugnata, in applicazione degli enunciati principi, ha individuato correttamente la data di decorrenza e la durata della prescrizione dell’azione di ripetizione proposta dalla Regione, ed ha escluso che la suddetta prescrizione fosse maturata.

Le censure dei ricorrenti si rivelano pertanto prive di fondamento.

4. Motivi attinenti alle domande riconvenzionali dei ricorrenti.

Hanno ad oggetto le domande riconvenzionali dei ricorrenti, volte ad ottenere il pagamento dei compensi loro spettanti in virtù delle prestazioni rese in favore della Regione e già loro riconosciuti con la originaria sentenza pretorile poi riformata per difetto di giurisdizione, i motivi dal decimo al tredicesimo. Con il decimo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione di legge, in relazione all’art. 2233 c.c., all’art. 2702 c.c. e ss. in materia di prova documentale, art. 191 c.p.c. e ss, art. 210 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Con l’undicesimo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione di legge, in relazione all’art. 2233 c.c., all’art. 432 c.p.c., art. 1226 c.c., omessa pronuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Con il dodicesimo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 2233 c.c.art. 2934 c.c. e ss., art. 167 c.p.c., art. 343 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Con il tredicesimo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4”. Tali motivi sono inammissibili.

Come emerge dalla sentenza impugnata, l’appello proposto dai convenuti con riguardo alla dichiarazione di inammissibilità delle loro domande riconvenzionali da parte del tribunale è stato dichiarato a sua volta inammissibile dalla corte di appello, in quanto la censura è stata ritenuta “del tutto avulsa dalla motivazione della sentenza di primo grado”.

L’indicata ragione, di carattere processuale, della decisione di secondo grado, non risulta specificamente censurata, il che determina il giudicato interno su di essa, con assorbimento di ogni altra questione relativa alle suddette domande riconvenzionali.

Nel ricorso, del resto, non viene adeguatamente chiarito il contenuto esatto della decisione di primo grado relativa alle domande riconvenzionali in questione, e non è specificamente richiamato il contenuto del gravame avanzato dai ricorrenti sul punto, di modo che non sarebbe comunque possibile verificare nè la correttezza della decisione di secondo grado in ordine all’inammissibilità dell’appello, nè comunque il fondamento nel merito delle censure esposte.

5. Gli ulteriori motivi di ricorso.

Con il settimo motivo si denunzia “Violazione dell’art. 112 c.c. nullità della sentenza per omessa pronuncia in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Con il quattordicesimo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia su Iva e interessi, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Con il quindicesimo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. sull’eccezione di compensazione, violazione di diritto, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Neanche questi ulteriori motivi possono trovare accoglimento.

5.1 I settimo motivo è assolutamente incomprensibile: non è chiarito in modo intellegibile l’oggetto dell’omessa pronuncia denunziato dai ricorrenti. In ogni caso, per quanto emerge dagli atti, la decisione impugnata si è pronunciata su tutte le domande proposte.

5.2 Con il quattordicesimo motivo si deduce omissione di pronuncia in ordine all’ottavo motivo di appello, riguardante IVA e interessi sulle somme chieste in restituzione.

Ma, diversamente da quanto sostenuto dai ricorrenti, la corte di appello si è espressamente pronunciata su tali questioni, rigettandole nel merito, precisamente al capitolo 7 (a pag. 14, con particolare riguardo all’importo da restituire ed ai relativi accessori tributari, e con esplicito richiamo all’ottavo motivo di gravame) ed al capitolo 3 (a pag. 10, con riguardo agli interessi, ed anche qui con l’esplicito richiamo all’ottavo motivo di gravame) della sentenza impugnata.

Il motivo è quindi infondato.

5.3 Il quindicesimo motivo, relativo alla proposizione dell’eccezione di compensazione nella comparsa di risposta in primo grado, infine, prospetta un errore percettivo di tipo revocatorio, non ammissibile nella presente sede.

6. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dala L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna i ricorrenti a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore dell’ente controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 11.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonchè spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 22 gennaio 2018.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2018

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