Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3703 del 15/02/2018


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 3703 Anno 2018
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: PELLECCHIA ANTONELLA

SENTENZA

sul ricorso 11174-2015 proposto da:
DE MUSIS ROSARIO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA BUCCARI 11, presso lo studio dell’avvocato
SEBASTIANO RUSSO, che lo rappresenta e difende giusta
procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente contro

AIG EUROPE LTD (già CHARTIS EUROPE SA), in persona
del procuratore speciale Dott.ssa CLARA MALVEZZI,
elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZA UNITA’ 13,
presso lo studio dell’avvocato LUISA RANUCCI, che la

Data pubblicazione: 15/02/2018

rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO
FERRATI giusta procura speciale a margine del
controricorso;
GENERALI ITALIA SPA , in persona del suo legale
rappresentante pro tempore Avv. MATTEO MANDO’,

BELLE ARTI 6, presso lo studio dell’avvocato CARLO
GANINI, che la rappresenta e difende giusta procura
speciale in calce al controricorso;
– controricorrenti nonchè contro

RAINONE ENRICO, RAGONE MATTEO, NADDEO LUIGI;
– intimati –

avverso la sentenza n. 7169/2014 della CORTE
D’APPELLO di ROMA, depositata il 21/11/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 20/12/2017 dal Consigliere Dott.
ANTONELLA PELLECCHIA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ALBERTO CARDINO che ha concluso per il
rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato ALESSANDRO DE STEFANO per delega;
udito l’Avvocato LUISA RANUCCI;
udito l’Avvocato GABRIELE A. VELTRI per delega;

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elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZALE DELLE

FATTI DI CAUSA.
1. Nel 2004, Rosario De Musis convenne in giudizio l’INA Vita S.p.a. e
Enrico Rainone, quale Agente Generale INA di Salerno, esponendo di
aver stipulato presso l’Agenzia Generale ma di Salerno tra il 1985 e il
2001 numerose polizze a contenuto finanziario, che la stipula e la
gestione di tali contratti era sempre avvenuta per il tramite dell’agente

corrispondenti premi; che nel 2001 gli veniva comunicato che per ogni
incombente attinente le polizze avrebbe dovuto interloquire
esclusivamente con l’Agenzia Generale; che a quel punto si avvedeva
che due polizze vita, per le quali aveva a suo tempo versato i premi a
mani del Ragone, ancorché scadute, non erano state liquidate dalla
Compagnia; che non aveva ancora ricevuto materialmente una ulteriore
polizza, per la quale aveva corrisposto sempre al Ragone un premio di
lire 20.000.000; che, ad esito di reiterati solleciti e di un reclamo
all’ISVAP, la compagnia assicuratrice negava il perfezionamento dei tre
contratti per omessa percezione, da parte di essa compagnia, dei relativi
premi; che pertanto doveva ritenersi che il Ragone avesse
indebitamente trattenuto i premi corrispostigli e che di tanto doveva
rispondere sia l’INA, sia l’Agente Generale Rainone.
Chiese quindi il riconoscimento dell’efficacia dei pagamenti effettuati a
mani del Ragone e la condanna dei convenuti al pagamento del capitale
garantito e dell’adeguamento promesso per le prime due polizze, alla
restituzione dell’importo versato con riferimento alla terza polizza,
nonché al risarcimento del danno biologico patito, il tutto oltre
interessi, rivalutazione e rimborso delle spese processuali.
Si costituì in giudizio Enrico Rainone, contestando le avverse domande
e chiedendone il rigetto. Chiese inoltre di chiamare in causa Matteo
Ragone e Luigi Naddeo (l’agente che aveva sostituito il Ragone una

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Matteo Ragone, a mani del quale egli aveva sempre versato i

volta che questo era cessato), nonché la compagnia assicuratrice per la
responsabilità civile AIG Europe, per essere da questi manlevato.
Si costituirono, contestando la fondatezza delle domande attoree, pure
l’INA S.p.a., Matteo Ragone e la AIG Europe, quest’ultima eccependo
anche l’inoperatività della garanzia richiesta dal Rainone, contestando
nel quantum le pretese del De Musis e chiedendo di esperire azione di

contumace.
Alla prima udienza, l’attore estese le sue domande nei confronti del
Ragone e del Naddeo.
Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 20241/2007, escluse sia la
responsabilità contrattuale dei convenuti, non essendosi mai
perfezionate le citate polizze, sia quella precontrattuale; condannò il
Ragone alla restituzione degli importi che aveva ricevuto dall’attore, per
complessivi lire 89.000.000 e, in solido con il predetto, il Rainone e l’Ina
Assitalia, ai sensi dell’art. 2049 c.c.
2. La decisione è stata riformata dalla Corte d’Appello di Roma, con la
sentenza n. 7169 del 21 novembre 2014.
La Corte di Appello, da un lato, ha escluso la responsabilità ex art. 2049
c.c. nei confronti dell’Ina, ritenendo che l’istituto assicuratore non era
responsabile né della nomina né degli atti posti in essere dal subagente,
il quale apparteneva alla rete organizzativa e distributiva dell’Agente
Generale ed operante sotto il controllo e la vigilanza di quest’ultimo.
Dall’altro lato, la Corte territoriale ha pure escluso la responsabilità
dell’Agente ma di Salerno, evidenziando la presenza di alcune anomalie
nei comportamenti del De Musis. Secondo la Corte, l’attore, accettando
di fare versamenti senza pretendere il rilascio contestuale di una polizza
regolarmente sottoscritta dall’Agente Generale – come era in grado di
rendersi conto avendo stipulato in precedenza analoghe polizze —, si era
assunto il rischio dell’inefficacia delle predette operazioni, non
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rivalsa nei confronti del Ragone e del Naddeo. Luigi Naddeo rimase

giustificandosi il suo affidamento per la palese mancanza di alcuna
cautela e la violazione plateale delle regole di comportamento
dell’intermediario.
La Corte ha invece riconosciuto la responsabilità ex art. 2043 c.c. del
Ragone, condannandolo però alla restituzione dei soli importi ricevuti,
aumentati della rivalutazione monetaria, e non anche al risarcimento del

sulla validità dell’operazione.
3. Avverso tale sentenza propone ricorso in Cassazione Rosario De
Musis, sulla base di diciannove motivi illustrati da memoria.

3.1. Resiste con controricorso illustrato da memoria Generali S.p.a. (già
ma Assitalia S.p.a.), nonché la AIG Europe LTD (la quale si limita a
riproporre la questione relativa alla inoperatività della garanzia in favore
del Rainone, dichiarata assorbita dalla Corte di Appello di Roma). Gli
intimati Enrico Rainone, Matteo Ragone e Luigi Naddeo non hanno
svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE
4. I primi cinque motivi attengono al capo della sentenza che ha escluso
la responsabilità dell’Ina Assitalia.

4.1. Con il primo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi degli artt. 360,
nn. 3 e 4 c.p.c., la “omessa pronunzia su eccezioni di inammissibilità
dell’appello incidentale; violazione dell’art. 112 c.p.c.”.
La Corte di Appello non si sarebbe pronunciata sulle eccezioni di
inammissibilità formulate dal medesimo ricorrente con riferimento
all’appello dell’Ina Assitalia.
Quest’ultima, infatti, avrebbe censurato solo una delle due autonome
rationes decidendi del giudice di primo grado in ordine al riconoscimento
in capo al Ragone della qualità di subagente della compagnia, nulla
dicendo in ordine all’altra (ovvero il fatto che l’attività del Ragone sia

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mancato rendimento, non giustificandosi l’affidamento del De Musis

stata svolta a beneficio della compagnia assicuratrice) e la censura
sarebbe stata comunque priva del carattere della specificità.
Il motivo è infondato.
Occorre in argomento dare continuità all’orientamento di questa Corte
secondo cui il vizio di omessa pronuncia da parte del giudice d’appello è
configurabile allorché manchi completamente l’esame di una censura

cui il giudice d’appello fondi la decisione su un argomento che
totalmente prescinda dalla censura o necessariamente ne presupponga
l’accoglimento o il rigetto: infatti nel primo caso l’esame della censura è
inutile, mentre nel secondo essa è stata implicitamente considerata (cfr.,
da ultimo, Cass. civ. Sez. II, Sent., 21-08-2017, n. 20218).
Nel caso di specie, la costruzione logico-giuridica seguita dal giudice
d’appello, che ha analizzato le ragioni – indicate nell’appello dell’Ina per le quali il fatto che “il preposto abbia commesso l’illecito
nell’esercizio dell’attività finalizzata a garantire il risultato aziendale”,
diversamente da quanto ritenuto dal Tribunale, non è sufficiente a
concludere per la sussistenza della responsabilità del preponente ex art.
2049 c.c., è del tutto incompatibile con quanto dedotto nell’eccezione
asseritamente pretermessa, che deve quindi ritenersi implicitamente
rigettata.

4.2. Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360,
n. 3 c.p.c., la “violazione delle norme sull’interpretazione e degli artt.
1362 e segg. c.c.”.
Contrariamente a quanto affermato dalla Corte di Appello, il Capitolato
per la concessione delle Agenzie Generali, se interpretato secondo la
sua formulazione letterale, non stabilirebbe la responsabilità dell’Agente
Generale per tutto l’operato del collaboratore, ma solo su alcune
attività.

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mossa al giudice di primo grado. La violazione non ricorre nel caso in

La responsabilità relativa all’attività tipica e finale del promotore,
costituita dal rapporto con il consumatore, sarebbe invece disciplinata
dalla normativa sulla intermediazione mobiliare.
Il motivo è infondato.
La statuizione impugnata, secondo cui la clausola in questione — che
attribuisce all’Agente generale la responsabilità dell’operato dei suoi

collaboratori, senza distinzione in ordine alle funzioni o alle attività da
essi esercitate, appare corretta ed in linea con i criteri ermeneutici
invocati dal ricorrente.
Infatti, la formulazione letterale della medesima clausola appare idonea
ad esaurire tutte le possibili funzioni ed attività svolte dai collaboratori,
compresa quella di vendita dei prodotti al consumatore, che rientra
nell’attività di “produzione”.

4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, n. 3
c.p.c., la “violazione delle norme sull’interpretazione (artt. 1362 e segg.
c.c.), di principi generali, della disciplina del rapporto di agenzia (art.
1742 e segg. c.c.), degli artt. 2049, 2697, 2727 c.c. e della legge n.
1/1991, ora d. lgs. n. 58/1998”.
Il Capitolato per la concessione delle Agenzie Generali non avrebbe
alcuna rilevanza nei confronti del cliente, in quanto atto interno della
compagnia assicuratrice, la quale non potrebbe esonerarsi
unilateralmente dalla sua responsabilità solidale.
Parte contraente delle polizze è l’Ina e non i suoi agenti generali o i
subagenti. Dovrebbe quindi escludersi che l’Ina non abbia il controllo o
la vigilanza sulla gestione delle polizze delle quali essa è parte
contraente e beneficiaria. E che Fina abbia il potere di vigilanza sulla
propria rete agenziale è stato affermato anche dall’AGCM che ha
sanzionato l’Ina per condotte scorrette tenute dagli agenti.

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collaboratori – si applica con riferimento all’intero operato dei medesimi

Del resto, avendo i contratti di agenzia e di subagenzia identico
contenuto, varrebbe anche per i primi il principio affermato dalla
giurisprudenza secondo cui il preponente del subagente risponde
dell’operato di quest’ultimo.
Inoltre, la giurisprudenza di legittimità avrebbe affermato che la
responsabilità della società assicuratrice non sarebbe esclusa quando,

da autonomia istituzionale rispetto alla medesima società. Le Agenzie
Generali infatti, costituirebbero mere articolazioni interne dell’Ina, e la
loro attività costituirebbe attività della stessa ma.
L’Ina, pertanto, risponderebbe anche ex art. 2049 c.c. dei fatti illeciti
posti in essere sia dal proprio agente che dal proprio subagente.
Il motivo è in parte inammissibile, in parte infondato.
In primo luogo, non viene fatto alcun riferimento agli atti dei giudizi di
merito in cui sarebbero state sottoposte ai giudici di primo e secondo
grado le questioni (peraltro, di fatto) circa la struttura della rete
agenziale dell’Ina, la natura di mere articolazione interne delle Agenzie
Generali, nonché l’esistenza di un potere di vigilanza dell’Ina sui
collaboratori degli Agenti Generali.
D’altra parte, i principi invocati dal ricorrente non risultano affatto
desumibili dai precedenti giurisprudenziali indicati.
Al contrario, sia Cass. 23488/2014 che Cass. 7634/2012 hanno escluso
che di quanto posto in essere dai subagenti possa essere chiamata a
rispondere l’impresa di assicurazione, rimanendo questa estranea
all’operato dei primi.
Sussiste infatti un’autonomia organizzativa e giuridica del lavoro da
parte dell’agente, che quindi assume su di sé l’onere e le spese di
organizzazione della attività ed il correlativo rischio della collaborazione
professionale svolta al fine di promuovere la conclusione di contratti.

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come nel caso di specie, l’agenzia e la subagenzia non sono connotate

L’operato dell’Agente si svolge in piena indipendenza e senza vincoli di
subordinazione rispetto al proponente ed a sua volta il subagente riceve
direttive solo dall’agente, in assenza di un rapporto contrattuale diretto
con la Compagnia.
I contratti di agenzia e subagenzia, pur avendo identico contenuto, si
differenziano in quanto la persona del proponente nel secondo caso, è

Quindi se nel contratto di agenzia l’assicuratore risponde, in quanto
preponente, ai sensi dell’articolo 2049 c.c., dei fatti illeciti posti in essere
dal proprio agente, nel caso dei subagenti, scelti direttamente dall’agente
quale propri collaboratori, a rispondere, ai sensi della norma richiamata,
per le condotte illecite poste in essere dal subagente, dovrebbe essere
eventualmente il solo agente che diviene in questo caso il proponente,
mentre il collaboratore è da individuare nel subagente (in questo senso
Cass. 7634/2012).
Nel caso di specie poi la statuizione del giudice di merito fonda
sull’accertamento di fatto in forza del quale l’Ina non poteva controllare
il subagente dell’agente che operava in piena autonomia.

4.4. Con il quarto motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360, n.
3 c.p.c., la “violazione o falsa applicazione degli artt. 5, comma 4 della
legge n. 1/1991 e 107 del d.lgs. n. 385/1993”.
La società assicuratrice (e non i suoi Agenti Generali, non costituiti
nella forma di società per azioni) soggiacerebbe alla disciplina dettata
per le società di intermediazione mobiliare, con conseguente
responsabilità solidale per le violazioni commesse dal promotore.
Il motivo è inammissibile.
Il ricorrente infatti non indica gli atti dei giudizi di merito in cui sarebbe
stata precedentemente dedotta l’applicabilità della disciplina relativa alle
società di intermediazione immobiliare.

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l’agente stesso.

Peraltro, dalla sentenza impugnata risulta che la responsabilità della
compagnia assicuratrice è stata presa in considerazione solamente sotto
il profilo contrattuale (sostenendo il De Musis l’avvenuto
perfezionamento delle polizze) ovvero in base all’art. 2049 c.c.
4.5. Con il quinto motivo, il ricorrente si duole, ai sensi dell’art. 360, nn.
3 e 4 c.p.c. della “violazione e falsa applicazione dell’art. 2049 c.c. e del

La Corte avrebbe omesso di esaminare la ricorrenza della responsabilità
ex art. 2049 c.c. in base al principio dell’apparenza del diritto.
Infatti, il De Musis aveva riposto fiducia nel Ragone perché questi, nel
quindicennio di rapporti precedenti aveva sempre gestito da solo le
operazioni, con le medesime modalità, e queste erano sempre andate a
buon fine.
Vi sarebbe stata quindi una condotta quantomeno colposa dell’Ina, tale
da ingenerare nell’attore la ragionevole convinzione che il potere di
rappresentare o impegnare la medesima compagnia fosse stato
effettivamente e validamente conferito al Ragone.
Il motivo è infondato.
La Corte di Appello, al riguardo, ha escluso i presupposti di una
responsabilità dell’Ina per via di una rappresentanza tollerata o
apparente, evidenziando che la compagnia assicuratrice, per la
peculiarità dell’organizzazione con riguardo alla vendita delle polizze
vita, non era in condizione di operare alcun controllo e vigilanza
sull’operato del Ragone, né era responsabile della sua nomina.
Alla luce di quanto sopra, non sussistono elementi tali dai quali dedurre
un caso di applicazione dell’apparenza del diritto, in quanto non risulta,
come vorrebbe parte il De Musis, che l’Ina, che non aveva nominato il
Ragone, né poteva controllarne l’operato, abbia tenuto un
comportamento colposo tale da ingenerare il ragionevole

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principio dell’apparenza del diritto” nonché di “omessa pronunzia”.

convincimento che al rappresentante apparente fosse stato
effettivamente conferito il relativo potere.
La sentenza quindi ha fatto corretta applicazione delle norme invocate.

5. I motivi dal sesto al sedicesimo sono diretti a censurare il capo della
sentenza che ha escluso la responsabilità dell’Agente generale.

5.1. In particolare, con il nono ed il decimo motivo (“extrapetizione”,

dell’effetto devolutivo dell’impugnazione, dell’onere della prova e degli
artt. 297 c.c. e 112 e 339 c.p.c.”), lamenta che il giudice dell’appello
avrebbe pronunciato oltre i limiti di quanto devoluto.
Infatti, il Rainone, con l’atto di appello, aveva negato la propria
responsabilità solidale unicamente deducendo che il Ragone non aveva
avuto con lui un rapporto di dipendenza.
La Corte d’appello ha invece escluso la responsabilità del Rainone
affermando il concorso del consumatore ex art. 1227 c.c.
Inoltre, la deduzione del Rainone aveva ad oggetto non il concorso
esclusivo del danneggiato ma il concorso parziale.
Le censure sono infondate.
È noto infatti come l’ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia
concorso al verificarsi dell’evento dannoso (di cui al primo comma
dell’art. 1227 cod. civ.) vada distinta da quella (disciplinata dal secondo
comma della medesima norma) riferibile ad un contegno dello stesso
danneggiato che abbia prodotto il solo aggravamento del danno senza
contribuire alla sua causazione.
Secondo quanto costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa
Corte, solo quest’ultima situazione deve formare oggetto di
un’eccezione in senso stretto, in quanto il dedotto comportamento del
creditore costituisce un autonomo dovere giuridico, posto a suo carico
dalla legge quale espressione dell’obbligo di comportarsi secondo buona
fede.
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“violazione dei principi della corrispondenza tra chiesto e pronunciato,

Al contrario, nella prima situazione, che è quella che rileva nella
fattispecie in esame, il giudice procede d’ufficio all’indagine in ordine al
concorso di colpa del danneggiato, sempre che risultino prospettati gli
elementi di fatto dai quali sia ricavabile la colpa concorrente, sul piano
causale, dello stesso (cfr. ex multis, Cass. civ. Sez. III, 25/05/2010, n.
12714).

‘principio” e “violazione e falsa applicazione della disciplina del
concorso e degli artt. 5, comma 4 della legge n. 1/1991, 1227 2697,
2729 c.c. 3 e 112 c.p.c.”-, ottavo – (C enata interpretazione del
‘principio”, “violazione e falsa applicazione dello stesso, dell’art. 1227
c.c. e dei principi generali su concorso e sul rapporto di causalità”-,),
censura la ritenuta applicabilità astratta dell’art. 1227 c.c. alla fattispecie
in esame.
Secondo il ricorrente, infatti, l’art. 1227 c.c. non potrebbe essere
applicato alla responsabilità solidale dell’impresa di intermediazione
mobiliare:
– in base alla portata della stessa norma, che non troverebbe spazio
laddove l’impresa non abbia commesso il fatto dannoso;
– in base al fatto che, per escludere la responsabilità dell’impresa, non
sarebbe sufficiente una condotta qualsiasi concretamente idonea al fine,
ma sarebbe necessaria una condotta specifica di “collusione” o “fattiva
partecipazione” che esplicitano inequivocabilmente una partecipazione
congiunta del promotore e del consumatore.
Inoltre, l’applicabilità nella fattispecie dell’art. 1227 c.c. sarebbe esclusa
anche dalla normativa sull’intermediazione finanziaria, la quale
fisserebbe a favore del consumatore una presunzione iuris et de iure di
responsabilità solidale dell’impresa.
La giurisprudenza avrebbe sostanzialmente escluso l’applicabilità
dell’art. 1227 c.c. alla responsabilità solidale dell’impresa, affermando
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5.2. Con un ulteriore gruppo di motivi (sesto e settimo – “erroneità del

che il concorso del consumatore rileverebbe solo se determina
l’interruzione del nesso di causalità tra lo svolgimento dell’attività del
promotore finanziario e la consumazione dell’illecito.
Anche tali censure sono infondate.
La giurisprudenza di legittimità ha già in precedenza ammesso che la
responsabilità solidale dell’intermediario per i danni arrecati a terzi nello

finanziari — tra i quali rientrano pacificamente le polizze assicurative del
ramo vita — possa essere esclusa, o che la condotta del risparmiatore
possa rilevare, ai fini del concorso di colpa, laddove presenti connotati
di “anomalia” (cfr., da ultimo, Cass. civ. Sez. I, 13/05/2016, n. 9892 e
Cass. civ. Sez. III, Sent., 22-09-2015, n. 18613).
E ancora, che l’intermediario finanziario non può invocare, quale causa
di esclusione della responsabilità per i danni arrecati a terzi ex art. 23 del
d.lgs. n. 415 del 1996 (applicabile ratione temporis) nello svolgimento delle
incombenze affidate ai promotori finanziari, la semplice allegazione del
fatto che il cliente abbia consegnato al promotore le somme di denaro
di cui quest’ultimo si e illecitamente appropriato con modalità difformi
da quelle con cui lo stesso sarebbe legittimato a riceverle ai sensi dei
vigenti regolamenti Consob (nella specie, versate con assegno bancario
recante, in bianco, il nome del prenditore invece che con assegni non
trasferibili intestati al soggetto abilitato per conto del quale il promotore
operava), né un tal fatto può essere addotto dall’intermediario come
concausa del danno subito dall’investitore al fine di ridurre l’ammontare
del risarcimento dovuto, atteso che le disposizioni regolamentari
emanate dalla Consob, anche se inserite nel documento contrattuale
sottoscritto dal cliente, sono dirette unicamente a porre a carico del
promotore finanziario un obbligo di comportamento a tutela
dell’interesse del risparmiatore, sicché non possono tradursi in un onere
di diligenza a carico di quest’ultimo, tale da risolversi in un addebito di
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svolgimento delle incombenze affidate ai promotori di prodotti

colpa nei confronti del danneggiato dall’altrui atto illecito, salvo che la
condotta dell’investitore presenti connotati, se non di collusione,
quanto meno di consapevole e fattiva acquiescenza alla violazione delle
regole gravanti sul promotore (diventando, così, rilevante ai fini dell’art.
1227 c.c.) (Cass. n. 4037/2016)..

principi, ha svolto il proprio accertamento di fatto (cfr. pagg. 6 e 7) per
concludere che il De Musis era consapevole ed acquiesciente alla
violazione di regole che gravano sul mediatore.
5.2. Un terzo gruppo di motivi (undicesimo – “erronea individuazione
della fattispecie”, “violazione e falsa applicazione del diritto, del
‘principio’, dell’onere della prova, della corrispondenza tra chiesto e
pronunciato, dell’effetto devolutivo dell’appello, nonché degli artt.
1227, 2049, 2697, 2729 c.c., 112, 115 e 342 c.p.c., 5, comma 4 della
legge n. 1/1991”-, dodicesimo – “erronea individuazione e violazione e
falsa applicazione del ‘principio’, della disciplina del concorso e degli
artt. 1227, 2697, 2729 c.c. e 112 c.p.c.”-, tredicesimo — “violazione e
falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 c.c. e 112 c.p.c.”-,
quattordicesimo – “erronea interpretazione e falsa applicazione del
‘principio’ e violazione e falsa applicazione della legge n. 1/1991”-,
quindicesimo – “violazione e falsa applicazione degli artt. 1227 e 2049
c.c., della legge n. 1/1991 e dell’art. 112 c.p.c.”-, sedicesimo — “omesso
esame di un fatto decisivo per il giudizio”) censura infine la statuizione
nella parte in cui ha ritenuto che la condotta del De Musis fosse
connotata da anomalie tali da escludere il giustificato affidamento dello
stesso sulla validità dell’operazione e costituire quindi concausa del
danno.
Al fine di evitare che sia vanificata la tutela del consumatore, il principio
del concorso ex art. 1227 c.c., nel caso di responsabilità solidale
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Quindi correttamente la Corte territoriale, con riferimento ai predetti

dell’impresa assicuratrice, andrebbe applicato solo se il consumatore
abbia partecipato fattivamente alla violazione.
Nella specie, le irregolarità riscontrate dalla Corte d’appello – consegna
delle polizze non contestualmente al pagamento, consegna di polizze
formalmente irregolari, mancata consegna delle polizze dopo l’avvenuto
pagamento — concreterebbero l’omissione di adempimenti gravanti sul

premi.
Secondo la giurisprudenza, la sola circostanza che il cliente abbia
consegnato il promotore somme di denaro con modalità difformi da
quelle con cui quest’ultimo sarebbe stato legittimato a riceverle non
esclude, in caso di indebita appropriazione di tali somme da parte del
promotore, la responsabilità solidale dell’intermediario preponente per
il fatto illecito commesso dal promotore né può costituire da sola
concausa del danno subito dall’investitore.
Né potrebbe valere la mera consapevolezza da parte del cliente della
violazione delle regole di comportamento da parte del promotore,
poiché la ‘partecipazione fattiva’ dovrebbe consistere o in
un’autorizzazione preventiva o nel successivo avallo.
Inoltre, La Corte di appello, rilevate le condotte anomale del cliente, le
avrebbe considerate causa automatica di esclusione della responsabilità
dell’impresa, mentre sarebbe necessaria una comparazione dei
comportamenti dei due soggetti, al fine di individuarne la rispettiva
incidenza causale.
D’altra parte, il fatto che la condotta di un soggetto abbia creato
condizioni che consentano di un altro soggetto di commettere un fatto
illecito non importerebbe di per sé che quella condotta abbia costituito
concorso nel fatto illecito medesimo.
La Corte d’appello avrebbe poi violato il divieto di presunzione fondata
su altre presunzioni desumendo dall’unico fatto noto (che il De Musis
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promotore, mentre il consumatore si sarebbe limitato ad anticipare i

aveva stipulato in precedenza polizze analoghe a quella per quella
causa), una pluralità di fatti ignoti (ovvero che tale fatto lo rendeva
consapevole che le polizze dovevano contenere la sottoscrizione
dell’Agente Generale; che una simile consapevolezza importava in capo
all’attore l’obbligo di pretendere, contestualmente al versamento, la
consegna di polizze formalmente regolari; che il mancato adempimento

conseguenza l’attore aveva accettato il rischio di operazioni inefficaci).
La sentenza sarebbe infine contraddittoria perché, da un lato, con
riferimento alla responsabilità dell’Agente Generale, avrebbe ritenuto
che la condotta del consumatore rendeva lo stesso responsabile
esclusivo della violazione, mentre dall’altro lato, con riferimento alla
responsabilità del promotore, avrebbe ritenuto in maniera del tutto
inconciliabile che la medesima condotta rendeva lo stesso consumatore
solo parzialmente responsabile della stessa violazione, escludendo dal
risarcimento del danno il rendimento delle polizze.
Le suddette censure sono infondate.
In riferimento alla responsabilità dell’intermediario finanziario, ed al
concorso di colpa del risparmiatore, questa Corte ha affermato i
seguenti principi:
– i comportamenti imprudenti del cliente possono rilevare, qualora
presentino delle anomalie significative, ovvero, oltre che come indice di
collusione con il promotore infedele, anche come consapevole
acquiescenza della violazione delle regole o comunque come indice di
inequivoca consapevolezza delle anomalie del proprio comportamento,
rispetto a quello preteso dall’intermediario o seguito in precedenza;
– l’esistenza di regole di particolare protezione in favore del cliente, in
ragione delle esigenze di garantire la fiducia degli investitori nel sistema
di investimento che si svolga fuori sede non esime il soggetto tutelato

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di tale obbligo concretava un affidamento non giustificato; che di

dal rispetto quanto meno delle più elementari regole di prudenza nei
rapporti commerciali;
– l’affidamento nei confronti del promotore finanziario in quanto
inserito in una struttura affidabile e che risponde per il suo operato non
può essere incondizionato nè può giustificare l’adozione di
comportamenti imprudenti che non consentano neppure

controllo che le sono propri;
– quello tra investitore ed intermediario costituisce pur sempre un
rapporto professionale con la conseguenza che il risparmiatore compie
a proprio rischio comportamenti che siano totalmente inappropriati
nell’ambito di un simile rapporto e giustificabili solo nell’ambito di
rapporti di parentela o amicizia personale
– spetta al giudice di merito verificare, con analisi che tenga conto delle
circostanze del caso concreto, se il cliente danneggiato abbia, con il suo
comportamento in violazione delle regole della più elementare
prudenza, dato causa e in che misura al verificarsi del danno (Cass. civ.
Sez. III, Sent., 22-09-2015, n. 18613; Cass. civ. Sez. III, 11/06/2009, n.
13529).
Nel caso di specie la Corte di Appello, all’esito della valutazione dei fatti
ad essa esclusivamente demandata e che non può essere rinnovata in
questa sede, ha evidenziato che il De Musis aveva già stipulato in
precedenza analoghe polizze, che in tali occasioni la modalità di
pagamento era stata diversa, e che il ricorrente non aveva nemmeno
preteso il rilascio di idonea documentazione scritta.
Alla luce di ciò, con un ragionamento conforme ai principi sopra
enunciati ed immune da vizi logico-giuridici, la Corte ha ritenuto che la
grave imprudenza del De Musis escluda la responsabilità oggettiva
dell’intermediario per fatto illecito del promotore, senza peraltro che

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all’intermediario di esercitare agevolmente i compiti di vigilanza e

ciò impedisca la configurabilità di una responsabilità del promotore
stesso per fatto proprio.
6. I restanti tre motivi di ricorso sono diretti a censurare la sentenza
della Corte romana relativamente alla liquidazione del risarcimento del
danno a carico del Ragone.
6.1. Con il diciassettesimo motivo, il ricorrente si duole della mancata

commissione di un reato, avrebbe potuto essere provato in via
presuntiva e liquidato in via equitativa.
Il motivo, oltre che inammissibile perché privo di indicazione dello
specifico vizio fatto valere, è infondato.
La sussistenza del danno non patrimoniale non può mai essere ritenuta
in re ipsa, nemmeno quando il fatto illecito integra gli estremi del reato,
ma va sempre debitamente allegata e provata da chi lo invoca (Cass. n.
20143 del 2009; Cass. n. 7695 del 2008).
6.2. Con il diciottesimo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art.
360, n. 3 c.p.c., la “violazione dei principi di corrispondenza tra il
chiesto e il pronunziato, dell’effetto devolutivo dell’impugnazione e
dell’onere della prova”, “extrapetizione”, nonché “violazione degli artt.
2697 c.c. e 112 e 339 e segg. c.p.c.”.
La Corte di appello avrebbe escluso il risarcimento integrale del danno,
per via del concorso del creditore, senza che il Ragone avesse
validamente formulato domande o eccezioni al riguardo.
Il motivo è infondato.
Come ammette lo stesso ricorrente, la riduzione del risarcimento del
danno per effetto della colpa del danneggiato era stata invocata con
l’appello proposto dal Rainone e rientrava quindi nel thema decidendion
devoluto al giudice di secondo grado.
6.3. Con il diciannovesimo motivo, il ricorrente lamenta, ai sensi
dell’art. 360, nn. 3 e 4 c.p.c., la “violazione dei principi in tema di
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liquidazione del danno non patrimoniale, che, essendo stata accertata la

risarcimento del danno e del principio di corrispondenza tra il chiesto e
il pronunziato”, “omessa pronuncia”, nonché “violazione e falsa
applicazione degli artt. 2043 e segg. c.c. e 112 c.p.c.”.
La sentenza impugnata, ove interpretata letteralmente, si sarebbe
limitata a riconoscere il danno da svalutazione monetaria, senza
attribuire il danno da mancato guadagno.

guadagno, senza liquidare la rivalutazione.
Il motivo è infondato.
La Corte di Appello, contrariamente a quanto lamenta il ricorrente, ha
riconosciuto sia il danno da svalutazione monetaria sia quello per la
temporanea indisponibilità delle somme liquidate (assumendo a base di
calcolo la semisomma tra gli importi ricevuti dal Ragone e quelli
rivalutati alla data della sentenza ed applicandovi, a partire dalla data
dell’illecito, un saggio di rendimento ricavato equitativamente dalla
media ponderata del rendimento dei titoli di stato e dal tasso degli
interessi legali).

7.

Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la

soccombenza.

P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in
favore della controricorrente Generali S.p.a., delle spese del presente
giudizio di legittimità, che si liquidano in Euro 3.200,00 per compensi,
oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi
liquidati in curo 200, ed agli accessori di legge.
Nulla per la controricorrente AIG S.p.a., nei cui confronti il ricorso era
stato notificato solo per l’integrità del contraddittorio.

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In alternativa, avrebbe riconosciuto il solo danno da mancato

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito
dall’art. 1, comma 17 della 1. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza
dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello
dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato art.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza
Civile della Corte Suprema di Cassazione in data 20 dicembre 2017.
Il consigr,

st sore

13.

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