Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3702 del 15/02/2011

Cassazione civile sez. II, 15/02/2011, (ud. 16/11/2010, dep. 15/02/2011), n.3702

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROVELLI Luigi Antonio – Presidente –

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 11562/2005 R.G. proposto da:

B.C. e F.C., rappresentati e difesi dagli

avv.ti prof. Pernazza Federico e Celestino Biagini ed elett.te dom.ti

presso lo studio del primo in Roma, Via Piediluco n. 22;

– ricorrenti –

contro

EDILIZIA FRATELLI EROS E AMOS STOPPONI s.n.c.;

– intimata –

e sul ricorso n. 15620/2005 R.G. proposto da:

EDILIZIA FRATELLI EROS E AMOS STOPPONI s.n.c., in persona del legale

rappresentante sig. S.E., rappresentata e difesa dall’avv.

Cristina Maria Cialdini ed elett.te dom.ta presso il suo studio in

Roma, Via G.P. da Palestrina n. 19;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

B.C. e F.C.;

– intimati –

avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 385/2005,

depositata il 27 gennaio 2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16

novembre 2010 dal Consigliere dott. Carlo DE CHIARA;

udito per i ricorrenti principali l’avv. prof. Federico PERNAZZA;

udito per la controricorrente e ricorrente incidentale l’avv. Franco

COCCIA, per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.

SCARDACCIONE Eduardo Vittorio, che ha concluso per il rigetto di

entrambi i ricorsi.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Edilizia Fratelli Eros e Amos Stopponi s.n.c., che aveva eseguito per i coniugi sigg. B.C. e F.C. lavori di completamento di un villino, convenne i committenti davanti al Tribunale di Roma per sentirli condannare al pagamento di L. 27.000.000, pari al decimo del corrispettivo dell’appalto dagli stessi trattenuto in garanzia nonostante la scadenza del termine convenuto di sei mesi dalla consegna dell’opera, avvenuta nel febbraio 1993.

I convenuti resistettero eccependo la sussistenza di gravi vizi, consistenti in difetti dell’impianto di scarico delle acque fino alle fosse di smaltimento, che provocavano riflusso di aria maleodorante dalle tubazioni nei bagni e perdita di liquami dalle fosse, nonchè in fessurazioni degli intonaci e delle pitture su alcune travi e colonne dei balconi e in probabili problemi statici. Proposero quindi anche domanda riconvenzionale di condanna dell’impresa all’eliminazione dei vizi e al risarcimento dei danno per la limitata fruibilità dell’immobile.

Il Tribunale, in parziale accoglimento della domanda riconvenzionale, condannò l’impresa ad eseguire lavori per l’eliminazione di taluni vizi e autorizzò i committenti a trattenere ancora per sei mesi dopo il completamento di essi il decimo di garanzia.

La Corte di appello di Roma, adita con gravame principale dell’impresa appaltatrice e incidentale dei committenti, respinse il secondo e, in parziale accoglimento del primo, condannò i committenti al pagamento del decimo di garanzie, oltre interessi, dedotto – in accoglimento della relativa eccezione – il solo importo di L. 4.538.000 occorrenti per l’eliminazione di vizi riguardanti le pavimentazioni in cotto del terrazzo e la stuccatura tra lastre in peperino. La Corte, in particolare, qualificò come azione di responsabilità per gravi difetti, ai sensi dell’art. 1669 c.c., sia quella, svolta in via riconvenzionale dai committenti, relativa ai vizi dell’impianto fognario, che ritenne prescritta; sia quella relativa a infiltrazioni di umidità, che dichiarò inammissibile perchè introdotta dai convenuti non con la comparsa di risposta, bensì nel successivo corso del giudizio.

Avverso la sentenza di appello i coniugi B. hanno proposto ricorso per cassazione per sei motivi, cui la società appaltatrice ha resistito con controricorso contenente anche ricorso incidentale per due motivi. Entrambe le parti hanno anche depositato memorie.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – I ricorsi principale e incidentale, proposti avverso la medesima sentenza, vanno previamente riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

2. – Con il primo motivo del ricorso principale, denunciando violazione degli artt. 1667 e 1669 c.c., si lamenta che la Corte d’appello, nel qualificare gravi difetti ai sensi dell’art. 1669 c.c. i vizi di cui si è detto in narrativa, non si sia attenuta ai criteri elaborati dalla dottrina e dalla giurisprudenza di legittimità, trascurando di approfondire la natura dei vizi denunciati, riguardanti non l’intero edificio, bensì parti soltanto di esso e dunque non comportanti un’apprezzabile menomazione del godimento dell’immobile nella sua totalità, nè equiparabili, per gravità, alla “rovina” o al “pericolo di rovina” dell’edificio menzionate nell’art. 1669. Conseguentemente sarebbe erronea la declaratoria di prescrizione annuale della garanzia per i difetti del sistema fognario.

2.1. – Il motivo non può trovare accoglimento.

2.1.1. – La violazione di legge non sussiste.

La giurisprudenza di legittimità ormai da molti anni ha superato la tesi dell’equiparabilita alla “rovina” o “pericolo di rovina” dei “gravi difetti” di costruzione che danno luogo alla garanzia prevista dall’art. 1669 c.c., per approdare alla diversa tesi secondo cui quei difetti non si identificano con i fenomeni che influiscono sulla staticità, durata e conservazione dell’edificio, ma possono consistere in qualsiasi alterazione che, pur riguardando direttamente una parte dell’opera, incida sulla struttura e funzionalità globale, menomando in modo apprezzabile il godimento dell’opera medesima (cfr., fra le molte altre, Cass. 19868/2009, 21351/2005, 13106/1995, 10218/1994).

A tale orientamento i giudici di appello si sono espressamente rifatti, statuendo altresì che nella specie i difetti dell’impianto fognario presentavano appunto le caratteristiche volute dalla norma come da essi interpretata.

2.1.2. – Se, poi, è quest’ultima statuizione in fatto che i ricorrenti hanno inteso criticare, occorre dire che a ciò avrebbero dovuto provvedere mediante l’acconcia deduzione di una censura di vizio di motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Una siffatta, idonea denuncia, però, non solo non è formalmente dedotta con il motivo in esame, ma (quel che più conta) non è neppure articolata nella sostanza. Se è vero, infatti, che in ricorso si deduce l’attinenza dei problemi fognari solo a una parte limitata dell’immobile, è pur vero che tale deduzione – che è deduzione in fatto, non in diritto – è del tutto nuova, e dunque inammissibile, a stare allo stesso contenuto del ricorso: nel quale non si fa cenno alla deduzione di tale circostanza davanti ai giudici di appello, che avrebbero dovuto rivedere la qualificazione già data dal giudice di primo grado ai vizi in questione come “gravi difetti” ai sensi dell’art. 1669 c.c. 3. – Con il secondo motivo, denunciando vizio di motivazione, si lamenta che la Corte d’appello, pur avendo ammesso che, invece, quanto ai vizi attinenti allo stato delle murature e relativi isolamenti, condensa, umidità ecc. doveva farsi un “discorso diverso” quanto alla prescrizione – e che dunque la prescrizione stessa non era maturata – non abbia poi accolto la domanda di garanzia ad essi riferita.

3.1. – Il motivo è inammissibile, perchè trascura del tutto la effettiva ratio della decisione riguardante i vizi di cui trattasi, che è decisione di inammissibilità della relativa domanda in quanto formulata tardivamente in giudizio, come si è già riferito sopra in narrativa e come si vedrà anche esaminando il terzo motivo del ricorso principale.

4. – Con il terzo motivo, appunto, i ricorrenti principali, nuovamente denunciando vizio di motivazione, lamentano che i giudici di appello abbiano escluso che nella comparsa di risposta contenente la domanda riconvenzionale si facesse riferimento anche ai vizi di cui si è appena detto ed abbiano, quindi, statuito l’inammissibilità del capo di domanda ad essi relativo.

4.1. – Il motivo è inammissibile. Nel ricorso, infatti, si fa rinvio ad una serie di documenti il cui contenuto, però, non viene riprodotto, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione.

5. – Con il quarto motivo si sostiene, in via principale, che dell’art. 1669 c.c. debba essere data un’interpretazione costituzionalmente orientata, per la quale l’azione del committente sia sottratta al termine di prescrizione allorchè venga esercitata in via riconvenzionale, al pari di quanto disposto dall’art. 1667 c.c., u.c., secondo periodo per la relativa azione; in subordine si eccepisce l’illegittimità costituzionale, per violazione degli artt. 3, 24 e 97 Cost., del medesimo art. 1669 ove interpretato nel senso che la garanzia per i gravi difetti sia, irragionevolmente, soggetta a termini prescrizionali più stringenti di quelli stabiliti per i vizi di cui all’art. 1667.

5.1. – Il motivo è infondato.

A prescindere dalle incertezze relative all’interpretazione dell’art. 1667 c.c., u.c., secondo periodo quanto al punto se l’esclusione della prescrizione sia riferita alla sola eccezione di garanzia (come affermato da Cass. 14284/1999, 7891/1998, 3505/1980), o anche alla relativa azione (come ritenuto, invece, da Cass. 5004/1978, 639/1962), la tesi dei ricorrenti muove – per quanto qui rileva – da un presupposto sicuramente errato: che, cioè, la responsabilità per i gravi difetti di cui all’art. 1669 sia alternativa a quella per i vizi di cui all’art. 1667, nel senso che, ove un vizio di costruzione di un immobile destinato a lunga durata presenti il carattere di gravità voluto dalla prima disposizione normativa, al committente non sia concessa anche l’ordinaria garanzia prevista dall’altra.

Vero è, invece, come questa Corte ha già avuto occasione di chiarire in una risalente pronuncia, che le due norme non sono incompatibili tra loro, sicchè ben potrebbe il committente di un immobile che presenti “gravi difetti” invocare, oltre al rimedio del risarcimento del danno (l’unico contemplato dall’art. 1669), anche quelli previsti dall’art. 1668 c.c. (eliminazione dei vizi, riduzione del prezzo, risoluzione del contratto) con riguardo ai vizi di cui all’art. 1667, purchè non sia incorso nella decadenza prevista dal comma 2 dello stesso (Cass. 1662/1968).

Invero quanto a struttura (altro discorso vale quanto alla natura, affermandosi, com’è noto, nella giurisprudenza di questa Corte che la responsabilità di cui all’art. 1669 è responsabilità aquiliana e che l’art. 1667 prevede invece un’ipotesi di responsabilità contrattuale) le fattispecie contemplate dalle due norme si configurano l’una (art. 1669) come sottospecie dell’altra (art. 1667), perchè i “gravi difetti” dell’opera si traducono fatalmente in “vizi” della medesima, sicchè la presenza degli elementi costitutivi della prima implica necessariamente la presenza di quelli della seconda. E nessun dato testuale, logico o sistematico, induce ad escludere che, per la presenza dei presupposti della norma speciale, cessi di essere applicabile anche la norma più generale:

al contrario, la concorrenza delle due garanzie è conforme alla ratio di rafforzamento della tutela del committente sottesa all’art. 1669 c.c..

Se ciò è esatto, nessun deficit di protezione subisce il committente per il fatto che i difetti dell’opera presentino il carattere di particolare gravità voluto dal l’art. 1669 c.c.; onde nessun sospetto di incostituzionalità può derivare dal confronto con la disciplina di cui all’art. 1667, nè s’impone l’interpretazione costituzionalemente orientata della prima disposizione suggerita dai ricorrenti.

E’ infine il caso di aggiungere che il carattere concorrente delle garanzie previste dalle due norme può (e deve) essere rilevato d’ufficio solo in sede di delibazione della questione di legittimità costituzionale sollevata dai ricorrenti, la quale presuppone l’esatta interpretazione del dettato normativo; non potrebbe esserlo, invece, al fine di cassare la sentenza impugnata (che evidentemente presuppone anch’essa l’irriducibile alternatività, piuttosto che la possibile concorrenza, delle due garanzie) per un errore giuridico non denunciato dai ricorrenti, i quali, come si è visto esaminando il loro primo motivo, hanno preferito porre una questione diversa (ossia la pretesa insussistenza di “gravi difetti”). Il principio dispositivo, infatti, impedisce a questa Corte di darsi carico di censure che la parte ricorrente non abbia chiaramente formulato.

6. – Con il quinto motivo, denunciando vizio di motivazione e violazione di norme di diritto, la statuizione di prescrizione della garanzia viene criticata per la dichiarata decorrenza del relativo termine dall’ultima lettera di denuncia del 6 aprile 1994. Si lamenta che a quella data i committenti non avevano ancora piena consapevolezza della natura e dell’entità dei difetti dell’impianto di smaltimento fognario, avendola conseguita solo successivamente, a seguito della perizia di parte depositata nel costituirsi davanti al Tribunale e della consulenza tecnica di ufficio disposta da quel giudice.

6.1. – Il motivo è inammissibile, in quanto la critica, pur ampia e diffusa, è sviluppata dai ricorrenti sul terreno della pura e semplice censura di merito e mai attinge il livello della effettiva denuncia di uno dei vizi logici voluti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

7. – Con il sesto motivo, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione, si lamenta che la Corte di appello non abbia, dopo aver dichiarato estinta per prescrizione l’azione riconvenzionale relativa ai vizi inquadrati nella previsione dell’art. 1669 c.c., preso comunque in considerazione i medesimi vizi quale base di una mera eccezione di inadempimento, ai sensi dell’art. 1460 c.c., esperibile senza limiti di tempo.

7.1. – Neppure questo motivo può essere accolto.

La regola quae temporalia ad agendum, perpetua ad excipiendum, in definitiva invocata dai ricorrenti, non è regola generale. Come questa Corte ha già avuto occasione di chiarire (cfr. Cass. 6393/1996), essa vale soltanto per i casi in cui la legge la prevede (artt. 1442, 1495, 1667 c.c.), in deroga alla regola generale dell’art. 2934 c.c. secondo cui la prescrizione estingue il diritto, tanto se fatto valere in via di azione quanto se fatto valere in via di eccezione.

L’eccezione di inadempimento – o, più esattamente, di non corretto adempimento del contratto essendo l’opera difettosa – prospettata nella specie dai ricorrenti, si basa sulla garanzia da essi invocata.

Pertanto, una volta inquadrata tale garanzia nell’art. 1669 c.c., è comunque impossibile prescindere dalla sua accertata estinzione per prescrizione, ancorchè la garanzia sia fatta valere in via di eccezione, considerata anche la non estensibilità per analogia della previsione eccezionale di cui all’art. 1667 c.c., u.c., secondo periodo, (Cass. 6393/1996, cit.).

8. – Con il primo motivo del ricorso incidentale, denunciando violazione dell’art. 163 c.p.c. e vizio di motivazione, si ripropone l’eccezione di genericità della domanda riconverizionale contenuta nella comparsa di riposta dei convenuti in primo grado.

8.1. – Il motivo è assorbito (cfr. Cass. Sez. Un. 5456/2009) dal mancato accoglimento dei motivi di ricorso principale proposti avverso i capi di sentenza con cui quella domanda era già stata rigettata dai giudici di merito.

9. – Con il secondo motivo la ricorrente incidentale denuncia, sotto i profili dell’omessa pronunzia e dell’omessa motivazione, il mancato accoglimento (a) della sua domanda di rimborso della somma versata ai committenti in esecuzione della sentenza di primo grado, nonchè (b) della richiesta di liquidazione degli interessi, sulle somme a suo credito, in ragione del “tasso bancario passivo ordinario” considerata la sua qualità di impresa.

9.1. – Il motivo è fondato nei sensi che seguono.

9.1.1. – Sussiste il vizio di omessa pronunzia sulla domanda (a) di rimborso delle somme versate in esecuzione della sentenza di primo grado, come conferma l’esame degli atti processuali da cui risulta effettivamente la formulazione della domanda ai giudici di appello, che però l’hanno del tutto trascurata.

9.1.2. – La domanda (b) relativa agli interessi, invece, ha avuto risposta, nel senso che la Corte d’appello ha maggiorato degli interessi, benchè non al saggio invocato dall’appellante incidentale, la somma per la quale ha pronunciato condanna in suo favore; onde non può parlarsi di omessa pronuncia. Trattandosi, però, di risposta del tutto apodittica, essa è nulla per difetto del requisito di cui all’art. 132 c.p.c., n. 4, giacchè restano del tutto imprecisate le ragioni della mancata parametrazione degli interessi al tasso richiesto dalla società.

10. – In conclusione, il ricorso principale va disatteso, mentre il ricorso incidentale va accolto limitatamente al secondo motivo, con conseguente rinvio al giudice indicato in dispositivo, affinchè provveda sulla domanda della società di rimborso delle somme versate ai committenti in esecuzione della sentenza di primo grado e provveda sulla domanda di liquidazione degli interessi, su tutte le somme dovute, motivando in ordine al tasso da applicare.

Il giudice di rinvio provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale nei sensi di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Corte di appello di Roma.

Così deciso in Roma, il 16 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2011

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