Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3702 del 13/02/2017


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Cassazione civile, sez. un., 13/02/2017, (ud. 20/12/2016, dep.13/02/2017),  n. 3702

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Presidente di Sezione –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sezione –

Dott. DIDONE Antonio – Presidente di Sezione –

Dott. DI IASI Camilla – Presidente di Sezione –

Dott. PETITTI Stefano – Presidente di Sezione –

Dott. RAGONESI Vittorio – Consigliere –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19730/2012 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

BELLE ARTI 7, presso l’avvocato ALESSANDRA FERRANTI (Studio

Ambrosio), rappresentato e difeso dall’avvocato GIACOMO MARIA PERRI,

giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

E.F., E.L.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 255/2012 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 23/04/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/12/2016 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;

udito il P.M. in persona dell’Avvocato Generale Dott. FUZIO Riccardo,

che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con sentenza n. 300 del 2006 depositata l’8.5.06 il Tribunale di Macerata rigettava le domande proposte da E.F. contro B.G. sul presupposto della natura sociale del rapporto fra loro intercorso, che invece il giudice di prime cure qualificava come di associazione in partecipazione.

Il processo si svolgeva anche in contraddittorio di E.L., chiamato in causa dal fratello quale compartecipe dell’associazione in partecipazione.

Con sentenza non definitiva depositata il 23.4.12 la Corte d’appello di Ancona, in totale riforma della pronuncia di primo grado, qualificava come societario il rapporto svoltosi tra E.F. e B.G. e dichiarava il diritto del primo di conseguire dal secondo il pagamento del 50% degli utili arretrati prodotti dalla società e dell’eventuale liquidazione del rapporto di agenzia B.-Lloyd Adriatico, nonchè la liquidazione della quota sociale e il risarcimento del danno per l’anticipata risoluzione del contratto provocata dal B.. Per il prosieguo rimetteva la causa in istruttoria come da coeva ordinanza.

Per la cassazione della sentenza ricorre B.G. affidandosi a cinque motivi, poi ulteriormente illustrati con memoria ex art. 378 c.p.c..

Gli intimati E.F. e L. non hanno svolto attività difensiva.

La prima sezione di questa Corte, alla quale il ricorso era stato inizialmente affidato, riguardo al primo motivo di impugnazione ha rilevato posizioni non coincidenti, in giurisprudenza, circa la sorte della notifica dell’atto d’appello eseguita nei confronti del procuratore dell’appellato che, al momento della notifica medesima, risulti cancellato dall’albo (se da ritenersi giuridicamente inesistente, oppure nulla o, invece, idonea ad instaurare validamente il contraddittorio e ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza impugnata).

Pertanto, con ordinanza interlocutoria n. 1611/2016, il ricorso è stato rimesso al Primo Presidente, il quale lo ha poi assegnato alle sezioni unite.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 330 c.p.c., e nullità dell’impugnata sentenza non definitiva, per nullità della notifica dell’atto di citazione in appello del 24.5.07, eseguita in violazione dell’art. 330 cod. proc. civ. nei confronti dell’avv. Sandro Baraboglia quale procuratore dell’appellato B., sebbene costui si fosse volontariamente cancellato dall’albo degli avvocati a far data dal 20.9.06 (vale a dire nelle more tra il deposito della sentenza di primo grado e la notifica dell’atto di appello di E.F.); per l’effetto – prosegue il motivo – la sentenza del Tribunale deve ormai considerarsi passata in giudicato.

1.2. Con il secondo motivo si deduce nullità della sentenza impugnata per violazione dell’art. 158 c.p.c., vizio concernente la costituzione del giudice che ha emesso la sentenza di secondo grado, avendo fatto parte del Collegio quale relatore ed estensore della sentenza il dott. N.F., all’epoca in servizio presso il Tribunale di Pesaro, che – sostiene il ricorrente era stato applicato alla Corte d’appello di Ancona per l’udienza del 15.12.11 (data in cui la causa era stata trattenuta in decisione previa concessione dei termini di cui all’art. 190 c.p.c.), ma non anche per il giorno 17.2.12, in cui era stata adottata la deliberazione collegiale.

1.3. Il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e segg., sull’interpretazione del contratto, nonchè illogica e contraddittoria motivazione, nella parte in cui la Corte territoriale ha attribuito carattere univoco al tenore letterale della scrittura privata intercorsa fra le parti al fine di qualificarla come costitutiva di una società di fatto: obietta il ricorrente che tale interpretazione viola i canoni ermeneutici, in quanto basata su una lettura meramente formalistica del testo contrattuale.

1.4. Con il quarto motivo ci si duole di violazione e falsa applicazione dell’art. 1362 c.c. e segg., e di omessa, insufficiente e comunque contraddittoria motivazione circa il fatto controverso che attiene alla costituzione di un contratto societario derivante dalla volontà dei contraenti espressa nella summenzionata scrittura privata: lamenta il ricorrente la mancanza di qualsiasi valutazione sulla comune intenzione delle parti, anche alla luce del loro comportamento nel corso del rapporto, nonchè la disattenta valutazione degli elementi di prova, che invece conducono a escludere la costituzione di un fondo comune, l’attribuzione a E.F. d’un rischio di impresa, la cessione di una quota paritaria dell’agenzia, la partecipazione anche limitata alle perdite.

1.5. Con il quinto motivo si deduce omessa motivazione circa il fatto decisivo della controversia concernente l’analisi degli elementi dell’associazione in partecipazione alla luce delle risultanze probatorie acquisite, nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 2247 c.c..

2.1. Preliminarmente va superata l’eccezione di nullità della notifica dell’atto d’appello – sollevata in ricorso nell’ambito del primo motivo – anche per essere stata eseguita non alla parte presso il procuratore costituito, bensì al procuratore costituito: è appena il caso di ribadire che la notifica alla parte effettuata nel domicilio eletto presso il procuratore costituito equivale a quella effettuata nei confronti del procuratore costituito (della parte medesima) di cui siano indicati nome e cognome, poichè entrambe le forme di notificazione soddisfano l’esigenza di assicurare che la sentenza sia portata a conoscenza della parte per il tramite del suo difensore tecnico, come tale qualificato professionalmente a valutare l’opportunità di resistere all’avversa impugnazione e di proporne, se del caso, una incidentale.

2.2. Il primo motivo di ricorso investe la questione sottoposta dalla prima Sezione all’attenzione di queste S.U.: se la notifica dell’atto di impugnazione eseguita nei confronti del procuratore domiciliatario volontariamente cancellatosi dall’albo prima della notifica medesima, ma dopo il deposito della sentenza impugnata, sia o non idonea ad instaurare validamente il contraddittorio e ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza impugnata.

In proposito è opportuno prendere le mosse dall’assetto del previgente codice di rito e dai lavori preparatori di quello del 1940, come già fatto da Cass. S.U. n. 10284/1996 (e, poi, da Cass. n. 12294/01 e da Cass. n. 10301/12).

L’art. 334 c.p.c. del 1865 includeva espressamente la cessazione dalle funzioni del procuratore tra le fattispecie interruttive del processo e l’art. 367, comma 3, corrispondente all’attuale art. 286 c.p.c., disponeva che, in caso di morte del procuratore o di cessazione da tali funzioni, le notificazioni delle sentenze o delle ordinanze che si sarebbero dovute fare ad esso si facessero alla parte personalmente.

Il lemma “cessazione” oggettivamente evocava qualsiasi ipotesi di cessazione volontaria o coatta dall’esercizio della professione e, quindi, qualsiasi caso di cancellazione dall’albo. Anzi, si riteneva da alcuni commentatori di quel codice che vi fosse compresa la rinuncia o la revoca della procura, sempre che, a norma dell’art. 161, essa fosse stata notificata alla controparte.

Ora, sebbene nei vari progetti di riforma il riferimento generico alla cessazione non fosse stato più riprodotto durante i lavori preparatori, la questione degli effetti della cancellazione dall’albo degli avvocati e, segnatamente, della cancellazione volontaria risulta essere stata oggetto di discussione (v. sempre Cass. S.U. n. 10284/1996 e Cass. n. 12294/01).

In particolare, il progetto preliminare Solmi regolava la notificazione della sentenza negli artt. 297 e 298, il secondo dei quali rimandava ai casi preveduti nell’art. 286; detto articolo, a sua volta, sotto l’intitolazione generica di “Cessazione della procura”, disponeva l’interruzione del procedimento se, dopo la costituzione a mezzo di procuratore, questi fosse morto o fosse decaduto dall’ufficio. Il successivo art. 287 escludeva, poi, che costituissero cause di interruzione la revoca della procura o la rinuncia ad essa, benchè ritualmente comunicate.

Il riferimento alla cessazione della procura era sufficientemente generico per comprendere la cancellazione. D’altro canto, nelle discussioni che si ebbero sul testo preliminare e che determinarono la sostituzione del termine “decadenza” alla locuzione “cessazione dalle funzioni”, tale sostituzione non venne intesa come espressione dell’intendimento di escludere la cessazione del procuratore dall’ufficio per causa non volontaria, diversa da quella consistente nell’attuazione di un provvedimento disciplinare, nè venne espressa alcuna esigenza in tal senso; anzi, manifestandosi il dubbio che il termine decadenza potesse comprendere anche la cancellazione volontaria dall’albo, si suggerì una precisazione in proposito.

Tuttavia, l’art. 295, del progetto definitivo Solmi (al quale rimandava l’art. 317, in tema di notificazione delle sentenze) mantenne la, predetta dizione, disponendo l’interruzione del processo “per causa di morte, decadenza o sospensione dall’ufficio del procuratore”.

Solo nel testo definitivo del codice (art. 301), in luogo di “decadenza” si legge “radiazione”, lemma dall’indubbia accezione sanzionatoria, mentre l’esclusione, dal novero delle cause di interruzione, della revoca della procura e della rinuncia ad essa, prima prevista in altro articolo, è stata formulata nello stesso art. 301, comma 3.

Nè i lavori preparatori nè la relazione al codice rivelano le ragioni della sostituzione, che non poteva non essere significativa, atteso che, mentre il termine “decadenza” non corrispondeva ad una figura disciplinata dal R.D. n. 1578 del 1933, e, quindi, poteva prestarsi a comprendere genericamente ogni venir meno dell’iscrizione dall’albo, viceversa, la “radiazione” (come la “sospensione”), nel testo originario dell’art. 40 del cit. R.D. (prima della sostituzione operata dalla L. n. 91 del 1971, art. 1), era una figura espressamente prevista.

Ciò non poteva non implicare, secondo l’argomento c.d. del legislatore consapevole, che la cancellazione volontaria ad istanza del professionista fosse stata intenzionalmente tenuta fuori dalla disciplina dell’art. 301 c.p.c., comma 1.

Ma la non decisività (se non l’intrinseca debolezza) dell’argomento c.d. del legislatore consapevole, traducibile nel brocardo ubi lex tacuit noluit, consiglia di prendere atto che il caso di cui si discute non è espressamente regolato dal vigente codice di rito.

Ne discende l’obbligo, per l’interprete, di ovviare a tale lacuna, cosa che la giurisprudenza di questa S.C. ha fatto dando luogo a tre diversi orientamenti circa la sorte della notifica eseguita al procuratore costituito, nel frattempo volontariamente cancellatosi, dall’albo.

2.3. Il primo indirizzo interpretativo, che propende per l’inesistenza della notifica, muove da Cass. S.U. n. 935/68 (in quello specifico caso pronunciatasi sulla notifica della sentenza), pronuncia poi condivisa da Cass., sez. 2^, 6.6.1969, n. 1986, Cass., sez. 3^, 25.9.1979, n. 4946 e Cass., sez. 3^, 18.9.1986, n. 5676.

Alla prima pronuncia di queste S.U. ha poi fatto seguito altro intervento delle S.U. medesime (seppur nell’ambito d’una assegnazione ad esse del ricorso per motivi di giurisdizione) con la sentenza 21.11.1996, n. 10284, a sua volta seguita da altre pronunce conformi (v. Cass., sez. 3^, 22.4.1997, n. 3468; Cass., sez. 1^, 17.7.1999, n. 7577; Cass., sez. 2^, 5.10.2001, n. 12294; Cass., sez. 2^, 6.3.2003, n. 3299; Cass., sez. 1^, 20.1.2006, n. 1180; Cass., sez. L, 21.9.2011, n. 19225; Cass., sez. 3^, 11.6.2014, n. 13244).

Tale orientamento, sia detto in estrema sintesi, si fonda sui seguenti rilievi:

1) impossibilità di ulteriore esercizio della professione forense da parte del difensore non (più) iscritto all’albo, esercizio sanzionato anche sotto il profilo penale (ex art. 348 c.p.: v. altresì, fra le altre, Cass. pen. n. 646 del 6.11.13, dep. 10.1.14), difetto di iscrizione che importa la perdita dello ius postulandi, come capacità di compiere o ricevere atti processuali, nonchè il venir meno dell’elezione di domicilio;

2) inapplicabilità, per effetto della perdita dello ius postulandi, del principio di ultrattività del mandato, atteso che l’esercizio della professione diviene ex se illegittimo;

3) necessità di garantire il rispetto del diritto di difesa (art. 24 Cost.) e al contraddittorio (art. 111 Cost.) della parte rappresentata dal difensore cancellatosi dall’albo;

4) necessità d’una interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 301 c.p.c., comma 1, in funzione di garanzia del diritto di difesa della parte rappresentata dal difensore cancellatosi dall’albo, tale da ricomprendere tra le cause di interruzione del processo, in via estensiva o analogica, anche l’ipotesi di cancellazione volontaria dall’albo.

La seconda opzione seguita nella giurisprudenza di questa Corte è quella della nullità della notifica dell’atto di impugnazione, in sintesi così argomentata dalle pronunce che l’hanno condivisa (cfr. Cass. n. 12478/13; Cass. n. 9528/09; Cass. n. 27450/05; Cass. n. 11360/99):

1) il procuratore cancellato dall’albo non è ulteriormente legittimato ad esercitare la professione forense (v. R.D. n. 1578 del 1933, art. 1, e, oggi, L. n. 247 del 2012, art. 2, comma 3);

2) le notificazioni eseguite nei suoi confronti sono, pertanto, viziate, siccome non rispondenti alla previsione normativa di cui all’art. 330 cod. proc. civ., in quanto indirizzate ad un soggetto non più abilitato a riceverle;

3) lo scostamento rispetto alle previsioni normative, tuttavia, non è sempre causa di inesistenza dell’atto, dovendosi distinguere tra notificazioni inesistenti e nulle;

4) il domiciliatario cancellatosi volontariamente dall’albo non è un soggetto totalmente estraneo ma, proprio per il ruolo originariamente rivestito, è certamente collegabile al destinatario dell’atto;

5) le notificazioni eseguite nei confronti del domiciliatario cancellatosi dall’albo sono, pertanto, nulle e non inesistenti: ne scaturisce che il vizio della notificazione dell’atto di gravame può essere sanato, con efficacia retroattiva, dalla costituzione volontaria dell’appellato o dando tempestivamente seguito all’ordine di rinnovazione della notifica medesima, ex art. 291 c.p.c..

La terza tesi seguita in giurisprudenza – quella che, invece, considera valida siffatta notifica – presenta, in sintesi, i seguenti snodi argomentativi:

a) non si verte in ipotesi di applicazione dell’art. 301 c.p.c., comma 1, che riguarda ipotesi diverse, tutte accomunate dall’essere la perdita dello ius postulandi effetto non di un’azione volontaria, ma d’un evento esterno alla volontà dell’avvocato e da lui non controllabile; a quest’ultimo riguardo deve puntualizzarsi che il Consiglio dell’Ordine che riceve la richiesta di volontaria cancellazione dall’albo non può autonomamente apprezzarla, dovendosi limitare a prenderne atto puramente e semplicemente, sicchè in tale evenienza si verifica una perdita dello ius postulandi per mero fatto volontario del procuratore costituito, non diversamente da quanto accade in caso di rinuncia al mandato; ulteriore conferma dell’impossibilità di estendere l’art. 301 c.p.c., comma 1, anche alla cancellazione volontaria si ricava dal dato semantico (radiazione non può confondersi con cancellazione volontaria) e – appunto – teleologico, perchè tale norma prevede solo ipotesi di cancellazione per fatto indipendente dalla volontà del procuratore costituito;

b) la cancellazione volontaria dall’albo produce, quale effetto indiretto, la rinuncia da parte dell’avvocato allo ius postulandi di cui dispone, in concreto, per tutti i propri clienti / mandanti e, dunque, in ultima analisi, la rinuncia a tutti i mandati conferitigli;

c) ciò consente l’applicazione, sia pure sotto il solo lato passivo del potere di rappresentanza (vale a dire sotto il profilo della ricezione degli atti indirizzati alla parte rappresentata), del combinato disposto dell’art. 85 c.p.c., e art. 301 c.p.c., comma 3;

d) non si pone una questione di tutela del diritto di difesa del destinatario della notifica o del contraddittorio, considerate le regole che disciplinano, sul piano privatistico, il rapporto di mandato e la possibilità, sempre riconosciuta al cliente, di sostituire il difensore.

A tale opzione ermeneutica vanno sostanzialmente ricondotte le pronunce di Cass. n. 10301/12, Cass. n. 12261/09, Cass. n. 8054/04, Cass. n. 3142/04, Cass. n. 5197/99 e Cass. n. 13282/99.

L’esistenza del sopra descritto contrasto giurisprudenziale che ha importato la rimessione del ricorso a queste S.U. esclude l’applicazione della giurisprudenza in punto di prospective overruling invocata in subordine dal ricorrente nella propria memoria ex art. 378 c.p.c..

2.4. Delineati per sommi capi i termini della questione, si tenga presente che nel caso di specie risulta che la notifica dell’atto d’appello di E.F. è stata eseguita, ad istanza del relativo difensore, all’avv. Sandro Baraboglia, procuratore costituito di B.G., mediante “consegna a mani collega di Studio Avv. Francesca Serafini, che ne curerà la consegna al procuratore costituito”.

Nulla è stato opposto in quell’occasione dalla predetta avv. Serafini.

In ricorso non si allega che la cancellazione dall’albo dell’avv. Sandro Baraboglia sia stata comunicata alla controparte o all’ufficio.

Tali essendo i fatti processuali presupposti, si può subito escludere la tesi dell’inesistenza della notifica, non più suscettibile di essere confermata dopo che recente sentenza di queste S.U. la n. 14916/16, cui va data continuità anche in questa sede – ha fissato i criteri guida affinchè una notifica possa considerarsi inesistente.

Essa è tale o perchè priva degli essenziali elementi costitutivi idonei a rendere un atto riconoscibile come notificazione o perchè meramente tentata e, quindi, omessa.

Tali elementi costitutivi – sicuramente presenti nella vicenda in oggetto – sono: a) un’attività di trasmissione svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilità giuridica di compiere detta attività, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) una fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtù dei quali, cioè, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita).

La notifica è, invece, meramente tentata quando l’atto sia stato restituito, puramente e semplicemente, al mittente: non è questo il caso, giacchè nella vicenda in esame – giova rimarcare – l’atto è stato trattenuto dalla predetta avv. Francesca Serafini quale collega di studio dell’avv. Sandro Baraboglia e incaricata di consegnarglielo, sebbene alla data della notifica (24.5.07) l’avv. Baraboglia si fosse già volontariamente cancellato dall’albo (il che era avvenuto fin dal 20.9.06).

Diversa sarebbe l’ipotesi – che qui non ricorre – d’una notifica in via telematica, poichè con la cancellazione dall’albo cessa anche l’operatività dell’indirizzo di posta elettronica dell’avvocato, sicchè la notifica non potrebbe avere luogo (nel senso che il sistema non produrrebbe la ricevuta telematica) e la notifica, risultando meramente tentata, dovrebbe qualificarsi come inesistente.

Dunque, per restare al caso di specie, delle tre sopra ricordate restano in campo le due opzioni ricostruttive residue: nullità della notifica eseguita al procuratore costituito, poi volontariamente cancellatosi dall’albo, o sua idoneità ad instaurare validamente il contraddittorio e ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza impugnata.

2.5. La tesi della validità della notifica si fonda non solo e non tanto sull’art. 1396 cpv. c.c., secondo il quale le altre cause di estinzione del potere di rappresentanza (diverse da quelle di cui al primo comma) non sono opponibili al terzo che le abbia ignorate senza colpa, quanto sull’art. 85 c.p.c., in combinato disposto con l’art. 301 c.p.c., comma 3, per cui la rinuncia al mandato non ha effetto sino alla sostituzione del difensore.

Quello dell’art. 85 c.p.c., è il pilastro logico-giuridico ineliminabile nella ricostruzione dell’orientamento che ritiene idonea ad instaurare validamente il contraddittorio – e ad impedire il passaggio in giudicato della sentenza impugnata – la notifica dell’impugnazione all’avvocato nelle more volontariamente cancellatosi dall’albo e non ancora sostituito.

Nondimeno, esso preliminarmente suppone due passaggi argomentativi, altrettanto essenziali, non scevri da difficoltà.

Il primo è quello dell’estensione dell’art. 85 cit. ad ogni ipotesi di rinuncia, anche a quella complessivamente e implicitamente attuata riguardo a tutti i mandati in corso da parte dell’avvocato che volontariamente si cancelli dall’albo.

Si tratta, com’è evidente, d’una fictio iuris, poichè simula che scopo della cancellazione sia quello di rinunciare allo ius postulandi riguardo a tutti i mandati in corso, mentre il venir meno dello ius postulandi consegue all’applicazione dell’art. 82 c.p.c., comma 3, il quale prescrive che, salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, le parti devono stare in giudizio con il ministero d’un procuratore legalmente esercente. Pertanto, tale rinuncia è solo l’effetto indiretto della cancellazione di chi non voglia, per propria personale scelta, continuare ad esercitare la professione forense.

Ma porre una fictio iuris spetta al legislatore, non al giudice.

La seconda difficoltà, anch’essa difficilmente sormontabile, risiede in ciò: anche a voler supporre che la cancellazione dall’albo equivalga ad una generale e complessiva rinuncia a tutti i mandati in corso, l’assunto si rivela in contrasto con quella giurisprudenza che identifica la rinuncia al mandato da parte del procuratore – al pari della revoca da parte del conferente – come dichiarazione recettizia (sia pure a forma libera) nei confronti del mandante, mentre nei confronti dell’altra parte ha effetto, ex art. 85 c.p.c., solo quando sia avvenuta la sostituzione del difensore, sicchè il procuratore rinunciatario è privo dello ius postulandi in relazione al processo nel quale ha rinunciato ed è stato sostituito, non avendo più efficacia, in detto processo, l’anteriore procura, seppur rilasciata per atto pubblico (cfr. Cass. n. 23324/12).

Invece, la cancellazione dall’albo produce i propri effetti di perdita dello ius postulandi (quanto meno nel lato attivo) prima e a prescindere dalla relativa comunicazione ai mandanti ad opera del procuratore cancellatosi.

Non meno problematico è il secondo passaggio, quello che ammette una scissione degli effetti della rinuncia ex art. 85 c.p.c., da distinguersi tra effetti che si producono nel lato attivo ed altri che si producono in quello passivo, nel presupposto che la perdita dello ius postulandi per perdita dello status di avvocato esercente la professione non necessariamente debba estendersi anche al suo lato passivo, ove vi sarebbe una perpetuatio della rappresentanza tecnica.

L’art. 85 c.p.c., è a tutela di entrambe le parti: di quella rappresentata (che non corre il rischio di perdere all’improvviso il proprio procuratore e, per l’effetto, di trovarsi esposta ad eventuali decadenze rispetto ad attività processuali il cui termine di compimento sia in corso) e dell’altra parte (oltre che dell’ufficio, per le relative comunicazioni), che può continuare a fare affidamento sul procuratore al quale continuare a notificare gli atti.

Invece, applicare puramente e semplicemente l’art. 85 c.p.c., alla cancellazione volontaria dall’albo tutela soltanto la parte avversa a quella il cui procuratore si sia cancellato dall’albo.

Per fare ciò bisogna scindere – appunto – i poteri e i doveri propri del procuratore, permanendo solo i secondi (concernenti, cioè, il lato passivo) e non anche i primi (relativi al lato attivo), al cui esercizio ostano l’art. 82 c.p.c., e R.D. n. 1578 del 1933, art. 1, (applicabile ratione temporis nel caso di specie: v. ora analogo L. n. 247 del 2012, art. 2, comma 3).

In altre parole, si deve supporre che l’art. 85 c.p.c., funzioni in senso unidirezionale, ossia soltanto nel lato passivo dello ius postulandi e non anche in quello attivo, ovviamente non potendosi ammettere un’ultrattività del mandato e dello ius postulandi in un avvocato ormai cancellato dall’albo e, per ciò solo, non più autorizzato ad esercitare la professione.

Tale scissione potrebbe non sembrare tanto inedita, se pensiamo – quanto al piano del diritto sostanziale – all’art. 1396 cpv. c.c., e al tenore stesso dell’art. 85 c.p.c., che prevede che la rinuncia non abbia effetto nei confronti dell’altra parte fino alla sostituzione del difensore rinunciante.

Così come non è inedita la perpetuatio od ultrattività del mandato, tanto nel lato passivo quanto in quello attivo (v. Cass. S.U. n. 15295/14), sia pure in caso di morte o sopravvenuta incapacità della parte.

Ma queste S.U. (e con esse le conformi sentenze di tutta la Corte) hanno già avuto modo di statuire che la revoca della procura da parte del cliente o la rinuncia alla procura da parte del difensore, a norma dell’art. 85 c.p.c., non fanno perdere al procuratore (rinunciante o revocato) lo ius postulandi e la rappresentanza legale del cliente per tutti gli atti del processo, fino a quando non si sia provveduto alla sua sostituzione con un altro procuratore (cfr., ex al//s, Cass. S.U. n. 11303/95).

E sempre la giurisprudenza di questa S.C. statuisce che le vicende della procura alle liti sono disciplinate dall’art. 85 c.p.c., in modo diverso dalla disciplina della procura al compimento di atti di diritto sostanziale, perchè, mentre nella disciplina sostanziale è previsto che chi ha conferito i poteri può revocarli (o chi li ha ricevuti, dismetterli) con efficacia immediata, seppur senza opponibilità al terzo che senza colpa abbia ignorato la perdita dell’altrui potere di rappresentanza (v. art. 1396 c.c.), sul piano del diritto processuale l’art. 85 cit. fa sì che nè la revoca nè la rinuncia privino di per sè il difensore della capacità di compiere o di ricevere atti, atteso che i poteri attribuiti dalla legge processuale al procuratore non sono (soltanto) quelli che liberamente determina chi conferisce la procura, ma sono (anche quelli) attribuiti dalla legge al procuratore che la parte si limita a designare.

In altre parole, giova ribadire, ciò che priva il procuratore della capacità di compiere o ricevere atti non sono la revoca o la rinuncia di per sè, bensì il fatto che alla revoca o alla rinuncia si accompagni la sostituzione del difensore (cfr. Cass. n. 17649/10).

Dunque, i rilievi che precedono fanno sì che la scissione degli effetti della rinuncia ex art. 85 c.p.c., tra effetti che si producono nel lato passivo ed altri che si producono in quello attivo (come si suppone in Cass. n. 10301/12) inserisca nella giurisprudenza di questa Corte una possibile aporia.

Nè varrebbe rispondere che se non v’è scissione di effetti, a maggior ragione il procuratore cancellatosi dall’albo può, fino a quando non venga sostituito, ricevere atti e compierne in nome e per conto del proprio assistito: vi osta il rilievo che ciò che è consentito al mero procuratore rinunciante non è consentito a quello che addirittura si cancella dall’albo, poichè il primo non perde la propria capacità come soggetto professionalmente abilitato, il secondo sì. E non si può trascurare che l’esercizio della professione da parte dell’avvocato non iscritto all’albo è comunque vietato dalla legge professionale, oltre ad integrare il delitto di cui all’art. 348 c.p..

Le considerazioni a favore della tesi della validità della notifica non risultano coerenti, poi, con la giurisprudenza consolidata di questa S.C. in tema di mutamento del domicilio professionale dell’avvocato non comunicato all’altra parte nè all’ufficio, che onera il notificante di verificare l’attualità del domicilio medesimo (cfr., per tutte, Cass. S.U. n. 38128/09).

Si tratta di giurisprudenza che fa prevalere il dato reale ed effettivo del nuovo domicilio professionale dell’avvocato sull’affidamento dell’altra parte che sia rimasta all’oscuro del cambio di domicilio e ciò perchè si ritiene che tale affidamento non sia incolpevole, avendo il notificante sempre l’onere di verificare l’attualità del domicilio del soggetto al quale o presso il quale è indirizzata la notifica.

Quanto all’asserita inapplicabilità dell’art. 301 c.p.c., comma 1, si può obiettare che la norma può essere intesa come disposizione che distingue le ipotesi non già in relazione alle cause del venir meno dello ius postulandi (se connesse o non al loro verificarsi entro la sfera di dominio del difensore), ma alla perdita dello status di avvocato e procuratore legalmente esercente, non importa per quale causa (che sia volontaria o non lo sia).

2.6. Le considerazioni che precedono fanno dunque propendere il Collegio per l’opzione ermeneutica della nullità della notifica, ancorchè sanabile.

Essa tutela pienamente la parte appellata rappresentata dal procuratore poi cancellatosi dall’albo ed è coerente con il disposto dell’art. 330 c.p.c., comma 1, poichè indubbiamente la notifica viene ricevuta da soggetto non più abilitato a riceverla, senza dover ipotizzare una (per certi problematica, per le ragioni innanzi esposte) riconduzione all’art. 85 c.p.c., dell’ipotesi della cancellazione volontaria dall’albo e, a sua volta e all’interno di tale norma, senza dover distinguere gli effetti della rinuncia tra quelli (in)operanti nel lato attivo o passivo.

La tesi della nullità è altresì coerente con l’art. 11 legge n. 53/94 (“Le notificazioni di cui alla presente legge sono nulle e la nullità è rilevabile d’ufficio, se mancano i requisiti soggettivi ed oggettivi ivi previsti, se non sono osservate le disposizioni di cui agli; articoli precedenti e, comunque, se vi è incertezza sulla persona cui è stata consegnata la copia dell’atto o sulla data della notifica”): sicuramente in caso di notifica al procuratore volontariamente cancellatosi dall’albo mancano i requisiti soggettivi di cui all’art. 330 c.p.c., comma 1, così come mancano i requisiti soggettivi dell’avvocato destinatario di cui alla stessa L. n. 53 del 1994, art. 4, comma 2, là dove si prevede che “La notifica può essere eseguita mediante consegna di copia dell’atto nel domicilio del destinatario se questi e il notificante sono iscritti nello stesso albo”. Il riferimento all’iscrizione nello stesso albo suppone, appunto, che essa sia attuale: in caso contrario la notifica ex L. n. 53 del 1994, non può avere luogo.

Si tratta d’una nullità sanabile ex tunc grazie alla spontanea costituzione, nel giudizio d’appello, dell’altra parte, o sanabile mediante rinnovazione della notifica ex art. 291 c.p.c., ma non anche suscettibile di applicazione dell’art. 157 c.p.c., u.c., secondo il quale la nullità non può essere opposta dalla parte che vi ha dato causa.

Ad esso sembra indirettamente fare riferimento anche Cass. n. 10301/12 cit., che sottolinea il rischio di abusi nella cancellazione volontaria ove esclusivamente finalizzata a danneggiare l’altra parte che abbia ignorato l’altrui cancellazione dall’albo.

Quest’ultima esegesi, nella parte in cui implicitamente esclude un onere del notificante di verificare la permanente iscrizione all’albo del notificando, collide però con la summenzionata giurisprudenza in tema di mutamento del domicilio professionale dell’avvocato non comunicato all’altra parte nè all’ufficio, che onera il notificante di verificare l’attualità del domicilio medesimo (cfr., per tutte, Cass. S.U. n. 38128/09, cit.).

In altre parole il notificante, come ha l’onere di verificare, l’attuale domicilio professionale dell’avvocato cui è indirizzata la notifica, così ha l’onere di verificare l’attualità della sua iscrizione all’albo.

Inoltre, pur a voler ammettere che l’art. 157 c.p.c., comma 3, si riferisca anche all’ipotesi in cui abbiano dato causa alla nullità sia il notificante che il notificando (il primo per non aver verificato l’attualità dell’iscrizione all’albo del procuratore costituito per la parte avversa, il secondo per aver taciuto alla controparte la propria volontaria cancellazione dall’albo), resta l’obiezione che in realtà la parte assistita dall’avvocato cancellatosi dall’albo non ha concorso a dare causa alla nullità, che si verifica nel momento in cui il suo difensore ha ricevuto l’atto pur essendosi già cancellato dall’albo. Dunque, si realizza in un momento in cui il professionista già non rappresenta più la parte precedentemente assistita, alla quale non può – quindi – addebitarsi (con)causa alcuna della nullità.

2.7. Pertanto, in accoglimento (nei sensi sopra chiariti) del primo motivo di ricorso, va dichiarata la nullità della notifica dell’appello proposto da E.F., nullità cui avrebbe dovuto seguire la concessione da parte della Corte territoriale d’un nuovo termine per la notifica ex art. 291 c.p.c., comma 1.

Alla dichiarazione di tale nullità consegue quella del procedimento e della sentenza d’appello, ma non anche – contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente – il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado.

Infatti, seppur non anche riguardo al tipo di vizio ravvisabile (che, come s’è detto, in ipotesi di notifica materialmente eseguita al difensore volontariamente cancellatosi dall’albo è del tipo della nullità e non dell’inesistenza), deve darsi continuità alla giurisprudenza di queste S.U. nella parte in cui si afferma la necessità d’una interpretazione costituzionalmente conforme dell’art. 301 c.p.c., comma 1, in funzione di garanzia del diritto di difesa, tale da ricomprendere tra le cause di interruzione del processo anche l’ipotesi di cancellazione volontaria dall’albo.

Per estendere l’art. 301 c.p.c., comma 1, anche al caso della cancellazione volontaria dall’albo in via di interpretazione costituzionalmente conforme deve valorizzarsi l’eadem ratio sotto il profilo degli effetti della perdita dello status di avvocato legalmente esercente, non importa per quale causa (volontaria od a utoritativa).

In sintesi, ciò che conta nell’ottica dell’art. 301 c.p.c., comma 1, non è la causa della perdita dello ius postulandi (volontaria o non), ma il fatto che si tratti di causa che importi la perdita dello status di avvocato.

Pertanto, come la morte, la sospensione o la radiazione dall’albo dell’avvocato implicano, ai sensi del combinato disposto degli artt. 301 c.p.c., comma 1, e art. 328c.p.c., (quest’ultimo nel testo risultante dalla sentenza additiva n. 41/86 della Corte cost.), l’interruzione del termine breve per l’impugnazione (ma, soccorrendo la medesima ratio, anche di quello ex art. 327 c.p.c., comma 1), lo stesso deve avvenire in ipotesi di cancellazione volontaria dall’albo.

Ulteriore corollario è che la notifica nulla non pregiudica il notificante, perchè fino al venir meno della causa di interruzione o fino alla sostituzione del procuratore cancellatosi dall’albo il termine di impugnazione non riprende a decorrere.

3.1. Questi, dunque, i principi di diritto da enunciare:

“La notifica dell’atto d’appello eseguita al difensore dell’appellato che, nelle more del decorso del termine di impugnazione, si sia volontariamente cancellato dall’albo professionale, non è inesistente – ove il procedimento notificatorio, avviato ad istanza di soggetto qualificato e dotato della possibilità giuridica di compiere detta attività, si sia comunque concluso con la consegna dell’atto – ma nulla per violazione dell’art. 330 c.p.c., comma 1, in quanto indirizzata ad un soggetto non più abilitato a riceverla, atteso che la volontaria cancellazione dall’albo degli avvocati importa per il professionista la simultanea perdita dello ius postulandi tanto nel lato attivo quanto in quello passivo.

Tale nullità della notifica – ove non sia stata sanata, con efficacia retroattiva, mediante sua rinnovazione dando tempestivamente seguito all’ordine ex art. 291 c.p.c., comma 1, o grazie alla volontaria costituzione dell’appellato – importa nullità del procedimento e della sentenza d’appello, ma non anche il passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, giacchè l’art. 301 c.p.c., comma 1, deve ricomprendere tra le cause di interruzione del processo, secondo interpretazione costituzionalmente conforme in funzione di garanzia del diritto di difesa, anche l’ipotesi dell’avvocato che si sia volontariamente cancellato dall’albo, con l’ulteriore conseguenza che il termine di impugnazione non riprende a decorrere fino al venir meno della causa di interruzione o fino alla sostituzione del difensore volontariamente cancellatosi”.

4.1. In conclusione, va accolto il primo motivo di ricorso, con assorbimento di quelli residui e cassazione della sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, con rinvio, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione.

PQM

accoglie il primo motivo, dichiara assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 20 dicembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2017

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