Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3701 del 14/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 14/02/2020, (ud. 01/10/2019, dep. 14/02/2020), n.3701

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – rel. Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13696-2018 proposto da:

B.C., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA BELISARIO 7, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO PASCA, che

li rappresenta e difende;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3146/2017 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA,

depositato il 22/11/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata dell’01/10/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONELLO

COSENTINO.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

I ricorrenti nominati in epigrafe hanno impugnato per cassazione il decreto n. 6654/17 del 22/11/17 con cui la corte d’appello di Perugia ha rigettato le domande di equa riparazione da loro proposte alla corte d’appello di Roma il 15 gennaio 2010 e, all’esito della declaratoria di incompetenza della corte adita, riassunte davanti alla corte d’appello di Perugia nel 2013 (procedimento n. 2444/2013 VG), in relazione all’irragionevole durata di un giudizio amministrativo instaurato il 15 maggio 2002, ancora pendente alla data dell’introduzione dell8.domand4 di equa riparazione e, secondo quanto esposto nel ricorso per cassazione, definito in primo grado con sentenza del Tar Lazio depositata il 21 luglio 2015 e ancora pendente davanti al Consiglio di Stato alla data di presentazione del ricorso per cassazione.

Con lo stesso decreto n. 6654/17 la corte d’appello si è pronunciata anche sulla domanda di equa riparazione proposta dal solo ricorrente M.G., in relazione al medesimo giudizio presupposto, oltre che nel suddetto procedimento n. 2444/2013 VG, anche nel procedimento n. 2214/2012 VG, introdotto direttamente davanti alla corte d’appello di Perugia nel 2012, giudicando inammissibile (in quanto duplicazione della domanda già spiegata nel procedimento n. 2444/2013 VG) la richiesta di equa riparazione per la durata del giudizio presupposto maturata sino al 15 gennaio 2010 e infondata, per le medesime ragioni di rigetto della domanda spiegata nel procedimento n. 2444/2013 VG, la richiesta di equa riparazione per la durata del giudizio presupposto maturata dopo il 15 gennaio 2010.

La corte territoriale ha motivato la propria decisione richiamando il disposto del D.L. 25 giugno 2008, n. 112, art. 54, comma 2, convertito, con modificazioni, nella L. 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, e argomentando che nel giudizio presupposto i ricorrenti avevano “dato l’impulso necessario, avanzando domanda di fissazione di udienza solo in data 23/6/2010 e pertanto non può essere riconosciuto loro alcun indennizzo essendo trascorso ragionevolmente un periodo di tre anni a partire a tale data sino al deposito del ricorso (08/08/2013)” (pag. 7, ultimo capoverso, del decreto).

Il ricorso si articola con due motivi riferiti, rispettivamente, al vizio di omesso esame del fatto decisivo che nel giudizio presupposto sarebbe stata presentata un’istanza di prelievo in data 5/3/2003 e al vizio di violazione degli artt. 6 e 13 Carta EDU, in cui la corte territoriale sarebbe incorsa trascurando la giurisprudenza della Corte EDU alla cui stregua il diritto alla ragionevole durata del giudizio non può ritenersi subordinato alla presentazione di istanze di prelievo.

Il Ministero dell’economia e delle Finanze non ha spiegato difese in questa sede.

Nelle more del presente giudizio di legittimità è stata pubblicata la sentenza della Corte Costituzionale n. 34 del 6 marzo 2019, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, e successive modifiche.

Tale norma risulta rilevante in questa causa, la quale, secondo l’interpretazione della domanda operata nel decreto impugnato e non specificamente contestata nel ricorso per cassazione, ha ad oggetto la riparazione per irragionevole durata del giudizio amministrativo instaurato dai ricorrenti il 15 maggio 2002 (e definito in primo grado nel 2015), per il tempo intercorso dall’introduzione di tale giudizio fino alla data del deposito del ricorso per la riassunzione della domanda di equa riparazione davanti alla corte perugina (08/08/2013).

Come la Corte costituzionale ha chiarito nella stessa sentenza n. 34 del 2019, la disciplina intertemporale dettata dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 777, lett. a), b) ed m), non consente di ritenere “sterilizzati” gli effetti (di improponibilità) derivanti dalla normativa vigente prima dell’entrata in vigore della L. n. 208 del 2015, in relazione ai processi presupposti definiti prima del 31 ottobre 2016. Il Giudice delle leggi ha infatti sottolineato come il tenore letterale della disposizione di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 6, comma 2-bis (introdotto, insieme al comma 2-ter stesso art., dalla L. n. 208 del 2015, art. 1, comma 777, lett. m)) ne implichi chiaramente l’applicabilità (solo) pro futuro. Ai sensi di detta norma, l’ammissibilità della domanda di equa riparazione per l’eccessiva durata di processi amministrativi è ora, infatti, condizionata dalla intervenuta proposizione del “rimedio preventivo” dell’istanza di prelievo “almeno sei mesi prima” della scadenza del termine di ragionevole durata del processo. Ed è evidente che una tale condizione – riscritta ora nei più incisivi termini di un onere di diligenza posto a carico della parte chiamata a cooperare con il giudice al fine di evitare il superamento del termine di ragionevole durata del processo – non può che riferirsi a processi ancora pendenti, la cui ragionevole durata si protragga per il tempo necessario a consentire alle parti di proporre l’istanza di prelievo nel termine introdotto dalla L. n. 208 del 2015. Il che, appunto, spiega perchè, ai sensi della L. n. 89 del 2001, stesso art. 6, successivo comma 2-ter, la così riformulata condizione di proponibilità si applichi (solo) nei processi amministrativi che eccedano (nel grado) il rispettivo termine di ragionevole durata al 31 ottobre 2016, in data, quindi, di oltre sei mesi successiva a quella (1 gennaio 2016) di entrata in vigore della L. n. 208 del 2015. In relazione a processi presupposti definiti antecedentemente alla data del 31 ottobre 2016, per contro, non si applica la L. n. 89 del 2001, nuovo art. 1-ter, ma continua a valere la previgente disciplina della improponibilità dettata dal D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, e successive modificazioni, per il caso che nel giudizio presupposto sia mancata la presentazione della istanza di prelievo di cui all’art. 71, codice del processo amministrativo, comma 2. Tale disciplina è stata appunto dichiarata costituzionalmente illegittima.

La Consulta, nel richiamare la costante giurisprudenza della Corte EDU, secondo cui i rimedi preventivi, volti ad evitare che la durata del procedimento diventi eccessivamente lunga, sono ammissibili, o addirittura preferibili, eventualmente in combinazione con quelli indennitari, ma ciò solo se “effettivi” e, cioè, nella misura in cui velocizzino la decisione da parte del giudice competente (così, in particolare, Corte EDU, grande Camera, sentenza 29 marzo 2006, Scordino contro Italia), ha ricordato come già con la sentenza del 2 giugno 2009, Daddi contro Italia, detta Corte, pur dichiarando il ricorso inammissibile per il mancato esperimento del rimedio giurisdizionale interno, aveva preannunciato che una prassi interpretativa ed applicativa del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, nel testo antecedente alla modifica di cui al D.Lgs. n. 104 del 2010 – che avesse avuto come effetto quello di opporsi all’ammissibilità dei ricorsi ex lege “Pinto” (relativi alla durata di un processo amministrativo conclusosi prima del 25 giugno 2008), per il solo fatto della mancata presentazione di un’istanza di prelievo – avrebbe privato sistematicamente alcune categorie di ricorrenti della possibilità di ottenere una riparazione adeguata e sufficiente. Ha altresì rammentato che, più di recente, con la sentenza 22 febbraio 2016, Olivieri e altri contro Italia, la Corte EDU aveva affrontato il problema dell’effettività del rimedio nazionale ex lege n. 89 del 2001, soggetto alla condizione di proponibilità del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, ed esaminando diacronicamente tale disposizione, fino al testo scaturito dalle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 104 del 2010, aveva conclusivamente ritenuto che la procedura nazionale per lamentare la durata eccessiva di un giudizio dinanzi al giudice amministrativo, risultante dal combinato disposto della “legge Pinto” con la disposizione stessa, non potesse essere considerata un rimedio effettivo ai sensi dell’art. 13 CEDU. Ciò soprattutto sul rilievo che il sistema giuridico nazionale non prevedeva alcuna condizione volta a garantire l’esame dell’istanza di prelievo. Per l’effetto, la Corte costituzionale ha ritenuto che la norma in esame si pone in contrasto con la “costante giurisprudenza della Corte EDU”, atteso che l’istanza di prelievo, cui fa riferimento il D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2 (prima della rimodulazione, come rimedio preventivo, operatane dalla L. n. 208 del 2015), non costituisce un adempimento necessario ma una mera facoltà del ricorrente (ex art. 71 codice del processo amministrativo, comma 2, la parte “può” segnalare al “giudice l’urgenza del ricorso), con effetto puramente dichiarativo di un interesse già incardinato nel processo e di mera “prenotazione della decisione” (che può comunque intervenire oltre il termine di ragionevole durata del correlativo grado di giudizio), risolvendosi in un adempimento formale, rispetto alla cui violazione la, non ragionevole e non proporzionata, sanzione di improponibilità della domanda di indennizzo risulta non in sintonia nè con l’obiettivo del contenimento della durata del processo nè con quello indennitario per il caso di sua eccessiva durata.

La sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità della norma che subordinava la proponibilità della domanda di equo indennizzo alla necessaria presentazione dell’istanza di prelievo per contrasto con i parametri convenzionali della CEDU (art. 6 par. 1), la cui violazione comporta, appunto, per interposizione, quella dell’art. 117 Cost., comma 1, impone quindi la cassazione del decreto impugnato, in accoglimento del secondo motivo di ricorso, con assorbimento del primo.

Il giudizio presupposto, infatti, si è definito in primo grado il 21 luglio 2015, cosicchè la domanda di equa riparazione per il segmento di durata di tale giudizio che costituisce oggetto della domanda azionata nella presente causa (15/5/2002 08/08/2013) soggiace(va) al disposto del D.L. n. 112 del 2008, art. 54, comma 2, e successive modifiche, ora dichiarato costituzionalmente illegittimo.

Alla cassazione dell’impugnato decreto consegue il rinvio per nuovo esame ad altra sezione della Corte d’Appello di Perugia. Al giudice del rinvio è demandata anche la liquidazione delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia ad altra sezione della corte di appello di Perugia, che regolerà anche le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 1 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2020

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