Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3696 del 13/02/2020

Cassazione civile sez. III, 13/02/2020, (ud. 28/11/2019, dep. 13/02/2020), n.3696

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. TATANGELO Augusto – rel. Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 16089 del ruolo generale dell’anno

2015 proposto da:

G.A.F., (C.F.: (OMISSIS)) rappresentato e difeso,

giusta procura a margine del ricorso, dagli avvocati Gerhard

Brandsdtter (C.F.: BRNGHR53A22I431R), Karl Pfeifer (C.F.:

PFFKRL64L03A952H) e Marco Mancini (C.F.: MNCMRC56M03H501S);

– ricorrente –

nei confronti di:

GA.So., (C.F.: (OMISSIS)), rappresentata e difesa, giusta

procura in calce al controricorso, dagli avvocati Reinhart Volgger

(C.F.: VLGRHR52T12C625Y) e Luigi Manzi (C.F.: MNZLGU34E15H501Y);

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Trento –

Sezione distaccata di Bolzano n. 28/2015, depositata in data 21

gennaio 2015 (e che si dichiara notificata in data 16 aprile 2015);

udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data

28 novembre dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo.

uditi:

il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale

Dott. FRESA Mario, che ha concluso per la dichiarazione di

inammissibilità o, in subordine, per il rigetto del ricorso;

l’avvocato Marco Mancini, per il ricorrente;

l’avvocato Luigi Manzi, per la controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Ga.So. ha ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti di G.A.F., per l’importo di Euro 360.000,00, oltre accessori.

L’opposizione del G. è stata rigettata dal Tribunale di Bolzano – Sezione distaccata di Merano.

La Corte di Appello di Trento – Sezione distaccata di Bolzano ha confermato la decisione di primo grado.

Ricorre il G., sulla base di due motivi.

Resiste con controricorso la Ga..

Le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 1272 e 1988 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3); omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5)”.

Il motivo è infondato.

Il decreto ingiuntivo per cui è causa risulta emesso sulla base di una scrittura privata di “ricognizione di debito”, sottoscritta sia dal G. che dalla Ga., nella quale il G. si dichiara debitore della Ga. per l’importo di Euro 360.000,00, “…… per diversi pagamenti e prestazioni eseguiti nell’interesse della famiglia G…….”.

Il G., pur non negando che la Ga. fosse creditrice in virtù dei suddetti titoli, con il motivo di ricorso in esame sostiene:

– che i debitori sarebbero stati esclusivamente suo figlio M. (già coniuge della Ga. e destinatario delle relative attribuzioni patrimoniali) e/o sua moglie W.M. (proprietaria degli immobili oggetto dei miglioramenti effettuati in virtù delle predette attribuzioni patrimoniali);

– che la ricognizione di debito, in quanto atto unilaterale, può essere formulata esclusivamente con riguardo ad obbligazioni “proprie” del soggetto che la effettua e poichè, nel caso di specie, queste obbligazioni proprie del dichiarante erano inesistenti (essendo gli effettivi debitori altri soggetti), la stessa sarebbe stata priva di una valida causa e, come tale, dovrebbe ritenersi del tutto inefficace.

In realtà i giudici di merito hanno interpretato la dichiarazione contenuta nella scrittura privata sottoscritta dal G. e dalla Ga., giungendo alla conclusione che, nella sostanza, il primo aveva inteso impegnarsi con la seconda al pagamento di un debito altrui, cioè al pagamento dei debiti del figlio e della moglie, quantificati in Euro 360.000,00 (importo ricollegabile alle attribuzioni patrimoniali poste in essere dalla Ga. in favore di questi ultimi).

Sulla base della suddetta ricostruzione della volontà negoziale delle parti, e tenuto conto del fatto che la scrittura era stata sottoscritta anche dalla Ga., la hanno qualificata come negozio bilaterale, precisamente come espromissione.

Orbene, l’interpretazione della volontà negoziale delle parti emergente dagli atti risulta oggetto di un accertamento di fatto sostenuto da adeguata motivazione.

La corte di appello ha infatti chiarito che, in base al testo della scrittura, ma anche in considerazione delle ulteriori prove acquisite agli atti e delle difese dello stesso G., emergeva con chiarezza che a quest’ultimo era ben presente che le somme reclamate dalla Ga. costituivano obbligazioni del figlio e della moglie; egli, dunque, impegnandosi a pagare questi debiti in prima persona aveva in realtà inteso, come capofamiglia (e pur senza essere a tanto obbligato), assumere in proprio il relativo debito nei confronti della Ga., la quale aveva anche sottoscritto l’atto, che assumeva pertanto la sostanza di un contratto di espromissione.

Secondo il costante indirizzo di questa Corte, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 c.c. e segg. (cfr., ex plurimis: Cass., Sez. 5, Sentenza n. 873 del 16/01/2019, Rv. 652192 – 01; Sez. 1, Ordinanza n. 27136 del 15/11/2017, Rv. 646063 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 14355 del 14/07/2016, Rv. 640551 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 10891 del 26/05/2016, Rv. 640122 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2465 del 10/02/2015, Rv. 634161 – 01; Sez. L, Sentenza n. 17168 del 09/10/2012, Rv. 624346 – 01; Sez. L, Sentenza n. 10554 del 30/04/2010, Rv. 613562 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 8372 del 21/04/2005, Rv. 581693 – 01 ; Sez. 3, Sentenza n. 13344 del 19/07/2004, Rv. 577572 – 01; Sez. L, Sentenza n. 12258 del 20/08/2003, Rv. 566079 – 01; Sez. 3, Sentenza n. 2074 del 13/02/2002, Rv. 552238 – 01).

Le censure in esame finiscono per risolversi dunque, sotto questo profilo, in una sostanziale richiesta di sostituire il risultato dell’interpretazione e della valutazione delle prove operate dai giudici di merito con un risultato interpretativo diverso e più gradito, il che non è consentito in sede di legittimità, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte appena richiamata.

Sulla base dell’interpretazione della volontà emergente dalla dichiarazione negoziale operata dalla corte territoriale, del resto, la conseguente qualificazione giuridica dell’atto in termini di espromissione deve ritenersi del tutto corretta, in diritto.

Le censure in esame finiscono per risolversi dunque, sotto questo profilo, in una sostanziale richiesta di sostituire il risultato dell’interpretazione e della valutazione delle prove operate dai giudici di merito con un risultato interpretativo diverso e più gradito, il che non è consentito in sede di legittimità, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte appena richiamata.

Sulla base dell’interpretazione della volontà emergente dalla dichiarazione negoziale operata dalla corte territoriale, del resto, la conseguente qualificazione giuridica dell’atto in termini di espromissione deve ritenersi del tutto corretta, in diritto.

Le argomentazioni poste alla base del motivo di ricorso in esame, in definitiva, si risolvono in una petizione di principio e non colgono adeguatamente l’effettiva ratio decidendi della sentenza impugnata.

Il ricorrente nega infatti che la sua dichiarazione possa comportare il proprio impegno a pagare le obbligazioni dei suoi familiari semplicemente sulla base della qualificazione di essa in termini di ricognizione di debito. Ma tale qualificazione costituisce in realtà l’assunto da dimostrare, dal momento che i giudici di merito, sulla base della ricostruzione dell’effettiva intenzione desumibile dalla dichiarazione negoziale, l’hanno diversamente qualificata, in termini di espromissione, attribuendo (del tutto correttamente) rilievo alla sostanza di essa e non alla sua mera intitolazione.

2. Con il secondo motivo si denunzia “Violazione e falsa applicazione dell’art. 61 c.p.c., conseguente violazione e falsa applicazione dell’art. 428 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3)”.

Anche questo motivo è infondato.

Il ricorrente aveva sostenuto, nel corso del giudizio di merito, che la sua dichiarazione di impegno a pagare i debiti dei suoi familiari sarebbe stata frutto di dolo o violenza morale e/o sarebbe comunque stata resa quando egli si trovava in stato di incapacità naturale. Tali assunti sono stati ritenuti non sufficientemente provati.

Con il motivo di ricorso in esame il G. sostiene che avrebbe dovuto essere ammessa una consulenza tecnica di ufficio finalizzata ad acquisire la prova che egli era incapace di intendere e di volere quando aveva sottoscritto la dichiarazione “espromissoria/ricognitiva/accertativa”.

In proposito la corte di appello ha peraltro confermato il diniego di ammissione del mezzo istruttorio già operato dal tribunale, il quale aveva ritenuto che la richiesta di consulenza aveva carattere “esplorativo”, precisando che la essa non era “basata su una concreta esposizione dei fatti”.

In sostanza, il G. si era limitato a produrre un referto della commissione medica pubblica che lo aveva riconosciuto invalido civile all’80% a seguito di un ictus, nel quale vi era un riferimento (oltre alla sordità, alla sostituzione della valvola mitralica ed all’impianto di un pace maker) a “lievi deficit cognitivi”.

La corte di appello, rilevato che il suddetto referto era del tutto generico in relazione al deficit di facoltà cognitive e, non essendovi ulteriori elementi di prova o più specifiche allegazioni in ordine alle ragioni della pretesa incapacità, ha ritenuto che non emergesse una effettiva potenziale situazione di incapacità di intendere e di volere incidente sulla validità dell’atto negoziale, tale da giustificare lo svolgimento di una consulenza tecnica di ufficio per approfondire la valutazione sul punto. Secondo il costante indirizzo di questa Corte, lo svolgimento di una consulenza tecnica di ufficio rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità se non nei limiti in cui la mancata ammissione della consulenza si risolva in un vizio della motivazione sul merito della controversia ovvero nell’omesso esame di un fatto decisivo (cfr., ex multis: Cass., Sez. 5, Sentenza n. 25253 del 09/10/2019, Rv. 655530 – 01; Sez. 1, Sentenza n. 7472 del 23/03/2017, Rv. 644826 – 02; Sez. 1, Sentenza n. 17399 del 01/09/2015, Rv. 636775; Sez. 2, Sentenza n. 72 del 03/01/2011, Rv. 615839; Sez. 1, Sentenza n. 15219 del 05/07/2007, Rv. 598314; Sez. 3, Sentenza n. 20814 del 27/10/2004, Rv. 577851).

Poichè la valutazione operata in proposito dalla corte di appello è sostenuta da adeguata motivazione e tenuto conto, del resto, che effettivamente – come precisato dalla stessa corte territoriale – spettava al ricorrente fornire la prova della propria pretesa incapacità (il che sarebbe stato possibile anche eventualmente a mezzo di una consulenza di parte) e, quanto meno, indicare in modo preciso e specifico le ragioni per cui la stessa avrebbe potuto ritenersi sussistente, le censure svolte nel motivo di ricorso in esame risultano per un verso inammissibili, in quanto dirette a sindacare l’esercizio di un potere discrezionale dei giudici di merito e, per altro verso, infondate, non potendosi ritenere sussistente alcuna effettiva violazione delle disposizioni di legge richiamate.

3. Il ricorso è rigettato.

Per le spese del giudizio di cassazione si provvede, sulla base del principio della soccombenza, come in dispositivo.

Deve darsi atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.

PQM

La Corte:

– rigetta il ricorso;

– condanna il ricorrente a pagare le spese del giudizio di legittimità in favore della controricorrente, liquidandole in complessivi Euro 10.200,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali ed accessori di legge.

Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali (rigetto, ovvero dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità dell’impugnazione) di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso (se dovuto e nei limiti in cui lo stesso sia dovuto), a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 28 novembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2020

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