Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3694 del 07/02/2022

Cassazione civile sez. II, 07/02/2022, (ud. 08/07/2021, dep. 07/02/2022), n.3694

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 12689/2016 R.G. proposto da:

C.V., rappresentata e difesa dall’Avv. Fabrizio Zarone, del

foro di Santa Maria Capua Vetere, elettivamente domiciliata

all’indirizzo PEC del difensore iscritto nel REGINDE;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PIEDIMONTE MATESE;

– intimato –

avverso la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere Sezione

distaccata di Caserta n. 3843 depositata il 17 novembre 2015.

Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio dell’8 luglio

2021 dal Consigliere Dott. Milena Falaschi.

 

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere – Sezione distaccata di Caserta, con sentenza n. 3843 del 2015, ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da C.V. nei confronti del Comune di Piedimonte Matese avverso la pronuncia n. 777 del 2014 del Giudice di pace di Piedimonte Matese che rigettava l’opposizione della medesima relativa a verbale di accertamento n. 4602/2014 emesso dalla Polizia Municipale dello stesso Comune, rilevando che parte appellante – sebbene correttamente avesse instaurato il procedimento con iniziale ricorso, depositato nel primo grado il 2 maggio 2014, facendo applicazione del c.d. rito del lavoro, come sancito dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, comma 1 e art. 7, comma 1 – aveva però introdotto il gravame con atto di citazione e ciò pur non producendo l’invalidità dell’appello, per il principio di cui all’art. 156 c.p.c., tuttavia aveva depositato l’atto di citazione in appello presso il ruolo generale della Cancelleria del Tribunale solo il 2 luglio 2015, depositata la sentenza appellata il 23 dicembre 2014, e quindi tardivamente rispetto al termine lungo semestrale ex art. 327 c.p.c., comma 2, ratione temporis applicabile, attribuite le spese processuali secondo la soccombenza;

– avverso la sentenza del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere Sezione distaccata di Caserta la C. propone ricorso per cassazione, fondato su due motivi, con i quali denuncia – ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e la falsa applicazione degli artt. 413 c.p.c. e segg., D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, comma 1 e art. 7, comma 1, quanto alla prima censura, nonché dell’art. 91 c.p.c. e art. 92 c.p.c., comma 2, quanto alla seconda, per non avere compensato le spese di lite nonostante la materia del giudizio fosse effetto di recente modifica legislativa;

– il Comune di Piedimonte Matese è rimasto intimato;

– in prossimità dell’adunanza camerale è stata depositata dal sostituto procuratore Generale, Dott. Alessandro Pepe, memoria con la quale ha rassegnato le conclusioni nel senso di rinviare a nuovo ruolo in attesa della decisione delle Sezioni Unite sollecitata con ordinanza interlocutoria n. 12233 del 2021.

Atteso che:

– con il primo motivo la C. denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 413 c.p.c. e segg., per essere stato dichiarato inammissibile l’appello dal giudice del gravame nonostante l’atto fosse stato notificato prima che trascorresse il termine semestrale per l’impugnazione. Aggiunge la ricorrente che l’appello avverso sentenza del giudice di pace relativa a procedimento di opposizione a sanzione amministrative deve seguire il regime di cui agli artt. 339 c.p.c. e segg., stante la natura di rito generale ordinario della disciplina dell’appello, per cui il tribunale avrebbe dovuto applicare il rito ordinario e non quello del lavoro.

Il motivo è privo di pregio per essere la statuizione del Tribunale conforme alla costante giurisprudenza di questa Corte.

Infatti è stato affermato il principio secondo cui il giudizio di opposizione a verbale di accertamento di violazione di norme del codice della strada, instaurato successivamente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 150 del 2011, è soggetto al rito del lavoro, sicché l’appello avverso la sentenza di primo grado, da proporsi con ricorso, è inammissibile ove l’atto sia stato depositato in cancelleria (oltre il termine di decadenza di trenta giorni dalla notifica della sentenza o, in caso di mancata notifica) oltre il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., senza che incida a tal fine che l’appello sia stato irritualmente proposto con citazione, assumendo comunque rilievo solo la data di deposito di quest’ultima (Cass. 11 dicembre 2015 n. 25061).

Pertanto, è irrilevante la data in cui l’atto di citazione in appello è stato avviato alla notifica, occorrendo avere riguardo, esclusivamente, alla data di deposito di tale atto, nella specie pacificamente avvenuto il 2 luglio 2015, una volta scaduto il termine lungo di sei mesi decorrente dal 23 dicembre 2014.

Si tratta di un orientamento costante nella giurisprudenza di questa Corte, essendosi affermato: (a) per un verso, che nelle controversie soggette al rito del lavoro, l’inammissibilità dell’impugnazione, perché depositata in cancelleria oltre il termine di decadenza, non trova deroga nell’ipotesi in cui l’appello sia stato irritualmente proposto con citazione anziché con ricorso, laddove l’atto, pur suscettibile di sanatoria ai sensi dell’art. 156 c.p.c., u.c., non venga depositato entro il termine per proporre impugnazione (Cass. 10 luglio 2015 n. 14401); (b) per l’altro verso, che, in forza del D.Lgs. n. 150 del 2011, ai giudizi di opposizione ad ordinanza-ingiunzione e a quelli di opposizione a verbali di accertamento di violazioni del Codice della Strada, introdotti dopo il 6 ottobre 2011, si applica il rito del lavoro, e in particolare l’art. 434 c.p.c., sicché, in detti giudizi, l’appello deve essere proposto in forma di ricorso, con le modalità e nei termini ivi previsti, e ai fini della tempestività del gravame vale la data di deposito dell’atto introduttivo (Cass. 7 novembre 2016 n. 22564). D’altra parte, come già affermato da Cass. n. 19298 del 2017, la decadenza maturata a carico dell’appellante non può essere superata disponendo la conversione del rito, introdotto con citazione invece che con ricorso, e facendo conseguentemente applicazione, in grado di appello, del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4, comma 5, che per il caso di mutamento del rito prevede che “gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme del rito seguito prima del mutamento”.

Tale norma non può trovare qui applicazione, essendo riferita -secondo la costante giurisprudenza di questa Corte (Cass. 6 luglio 2016 n. 13815; Cass. 16 febbraio 2017 n. 4103; Cass. 12 maggio 2017 n. 11937; Cass. 16 maggio 2017 n. 12133) – al solo mutamento del rito disposto in primo grado, non già in grado di appello.

Invero – come già è stato chiarito da Cass. n. 17192 del 2016 – l’art. 4 dispone la salvezza degli effetti processuali della domanda secondo le norme del rito seguito prima del mutamento nel contesto di una disposizione che prevede, al comma 2, che la conversione del rito venga pronunciata “non oltre la prima udienza di comparizione delle parti”: la norma in esame riguarda il solo caso in cui il giudizio sia stato erroneamente instaurato in primo grado secondo un rito difforme da quello previsto dalla legge, e non può quindi essere estesa all’ipotesi in cui l’errore sia caduto sulle modalità di proposizione dell’appello, essendosi correttamente svolto il primo grado nelle forme prescritte.

In altri termini, l’art. 4, consente il mutamento ove sia correlato ad operazione del giudice, ma certo non equivale ad individuare il rito scelto, che fa capo alla parte, come nella specie in cui è stata la stessa parte ad avere introdotto correttamente il giudizio di primo grado con il rito lavoristico, salvo poi proporre appello con atto di citazione e chiedere di operare in sede di gravame un mutamento non consentito al rito scelto.

Ne’ può trovare applicazione l’art. 339 c.p.c. – come richiesto dalla ricorrente – trattandosi di rito speciale con contestuale abrogazione del rito ordinario.

Neanche rileva la fattispecie di cui all’ordinanza interlocutoria n. 12233 del 2021, come prospettato dall’Ufficio di Procura, attenendo anche in siffatta ipotesi il mutamento del rito a controversia per la quale la questione si era posta in primo grado, che per quanto sopra esposto, non trova pacificamente applicazione nel caso all’esame del presente giudizio;

– con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e art. 92 c.p.c., comma 2, per avere il giudice del gravame rilevato d’ufficio l’inammissibilità dell’appello, per ricorrevano entrambe le ipotesi previste dalla norma invocata per disporre la compensazione delle spese di lite.

Anche il secondo motivo è manifestamente infondato, visto che la soccombenza, ai fini della regolazione delle spese, si rapporta all’esito concreto della lite e non a quello sperato o ritenuto più corretto da chi vi appare univocamente ed incontestabilmente soccombente; e, ad ogni buon conto, in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass., Sez. Un., 15 luglio 2005 n. 14989; Cass. 31 marzo 2006 n. 7607; più di recente Cass. 26 aprile 2019 n. 11329).

Conclusivamente il ricorso va rigettato.

Nessuna pronuncia sulle spese in mancanza di svolgimento da parte dell’intimato Comune di difese.

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del Testo Unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 8 luglio 2021.

Depositato in Cancelleria il 7 febbraio 2022

 

 

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