Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 369 del 10/01/2011

Cassazione civile sez. I, 10/01/2011, (ud. 17/11/2010, dep. 10/01/2011), n.369

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. CECCHERINI Aldo – Consigliere –

Dott. DOGLIOTTI Massimo – Consigliere –

Dott. RAGONESI Vittorio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14369/2008 proposto da:

TOR DI VALLE COSTRUZIONE S.P.A. (C.F. (OMISSIS)), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA,

VIA G. MERCALLI 15, presso l’avvocato PISELLI Pierluigi, che la

rappresenta e difende, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA;

– intimato –

sul ricorso 18182/2008 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore,

domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA

GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

TOR DI VALLE COSTRUZIONI S.P.A.;

– intimata –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositato il

21/11/2007, n. 839/06 C.C.;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

17/11/2010 dal Consigliere Dott. VITTORIO RAGONESI;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato GHERA FEDERICO, per delega, che

ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale, rigetto del ricorso

incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso per

quanto di ragione, rigetto del ricorso incidentale.

La Corte:

Fatto

RILEVATO IN FATTO

che la Tor di Valle Costruzioni spa ha proposto ricorso per cassazione sulla base di nove motivi, illustrati con memoria, avverso il provvedimento emesso dalla Corte d’appello di Perugia, depositato in data 21.11.07, con cui il Ministero della Giustizia veniva condannato al pagamento in suo favore della somma di Euro 6000,00 a titolo di equo indennizzo ex lege n. 89 del 2001, per l’eccessiva durata di un procedimento svoltosi nell’arco di un grado di giudizio;

che il Ministero della Giustizia ha resistito con controricorso ed ha altresì proposto ricorso incidentale.

Diritto

OSSERVA IN DIRITTO

I ricorsi vanno preliminarmente riuniti.

Il decreto impugnato, rilevato che il giudizio presupposto era iniziato in primo grado il 8.5.92 e definito con sentenza del 28.1.03 mentre il giudizio di secondo grado, iniziato il 21.11.03 era terminato con sentenza passata in giudicato il 6.2.06, ha riconosciuto una eccessiva durata di anni cinque e mesi undici e liquidato a titolo di equo indennizzo la somma di Euro sei mila.

Il primo ed il secondo motivo di ricorso, censurano sotto il profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale l’erronea determinazione del periodo di eccessiva durata del processo.

Con i motivi dal terzo al quinto il ricorrente censura il mancato riconoscimento del danno patrimoniale.

Con il sesto motivo si duole della erronea liquidazione del danno non patrimoniale;

Con i motivi settimo ed ottavo censura la liquidazione delle spese e l’avvenuta parziale compensazione delle stesse.

Con il nono motivo si duole della determinazione in tema di interessi.

Con l’unico motivo di ricorso incidentale l’Amministrazione deduce che nel caso di società non è ipotizzabile il riconoscimento del danno non patrimoniale.

I ricorsi vanno preliminarmente riuniti.

1 primi due motivi del ricorso principale sono manifestamente fondato nei limiti di seguito indicati.

E’ noto che i parametri stabiliti dalla CEDU prevedono una durata normale di tre anni per il giudizio di primo grado, due per quello di secondo e un anno – un anno e mezzo per quello di terzo. E’ altresì noto che trattasi di parametri indicativi che sono suscettibili degli opportuni adattamenti al caso concreto, in ragione della particolare complessità della causa ovvero sommando ad essi i ritardi imputabili al comportamento delle parti.

Nel caso di specie, a fronte di una durata complessiva del processo accertata in anni dodici e mesi nove, la Corte d’appello ha determinato l’eccessiva durata in anni cinque e mesi undici discostandosi immotivatamente dai sopraccitati parametri CEDU. Nel caso specie non si rinviene infatti nel decreto impugnato alcuna adeguata motivazione nel senso indicato di una particolare complessità della causa o di un comportamento dilatorio delle parti.

In particolare, per quanto concerne quest’ultima, la Corte d’appello si è limitata ad affermare che fosse ad essa imputabile un prolungarsi del processo di circa un anno in particolare per i rinvii richiesti , senza però specificatamente indicare le ragioni di tale addebito. Non basta che per il fatto che la parte richieda un rinvio questo sia reputato a fini delatori. Molti rinvii possono essere infatti richiesti per esigenze processuali ed istruttorie del tutto necessarie e giustificate ovvero per l’impossibilità di effettuare alcune attività od incombenti richiesti. E’ dunque necessario che il giudice di merito quando sottrae tempo alla durata ragionevole del processo specifichi analiticamente la effettiva natura dilatoria del comportamento della parte.

In assenza di tale specificazione deve ritenersi che l’intero periodo di durata sia comunque imputabile all’Amministrazione della giustizia ed in base ad esso vada effettuato il raffronto con i parametri di durata stabiliti dalla Cedu..

La erronea determinazione del periodo di eccessiva durata, inferiore a quello effettivo, ha conseguentemente determinato la liquidazione di una somma per equo indennizzo inferiore a quella effettivamente dovuta.

Di seguito ai primi due motivi va esaminato il sesto, con cui il ricorrente lamenta l’insufficiente liquidazione del danno non patrimoniale. Il motivo è manifestamente infondato in quanto la liquidazione è avvenuta sulla base della somma di Euro 1000,00 circa per anno di ritardo in piena conformità ai parametri Cedu.

Venendo all’esame del terzo, del quarto e del quinto motivo, se ne rileva l’infondatezza.

La Corte d’appello ha ritenuto che non sussistesse alcun danno patrimoniale poichè tali danni derivanti dal ritardato pagamento delle somme dovute derivava dall’inadempimento contrattuale addebitatale alla controparte dedotto nel giudizio presupposto e non già dal prolungarsi di quest’ultimo.

Tale motivazione è del tutto conforme al costante orientamento giurisprudenziale di questa Corte che ha ripetutamente affermato che, ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, il danno risarcibile nel caso di violazione dell’art. 6, paragrafo 1, della CEDU è diverso da quello connesso al giudizio irragionevolmente lungo, in quanto non è rappresentato dalla lesione del bene della vita ivi dedotta, identificandosi, invece, nel danno arrecato come conseguenza immediata e diretta, e sulla base di una normale sequenza causale, esclusivamente dal prolungarsi della causa oltre il termine ragionevole (Cass. 5213/07; Cass. 23322/05), non potendo, quindi, ricondursi nell’ambito di detto danno le poste economiche che avrebbero dovuto e potuto essere dedotte nel giudizio della cui eccessiva durata ci si duole (Cass. 26761/08).

Tale motivazione non viene sostanzialmente censurata dal ricorrente che incentra invece le proprie censure su due affermazioni collaterali della motivazione, prive di autonoma capacità decisoria e riportate solo per rafforzare la vera ratio decidendi, e costituite dalle asserzioni che il giudizio di equa riparazione prevede solo la liquidazione di una indennità e non di un risarcimento e che, comunque, il danno era nel caso di specie di difficile quantificazione.

Tali censure, in quanto rivolte verso argomentazioni prive di capacità decisoria, sono palesemente inammissibili I restanti motivi settimo ed ottavo, relativi alle spese restano assorbiti dovendosi riliquidare le spese dell’intero giudizio in conseguenza dell’accoglimento dei primi due motivi del ricorso principale.

Il nono motivo, relativo agli interessi, è manifestamente infondato.

Il D.Lgs. n. 231 del 2002, art. 1, stabilisce infatti che la normativa in esso decreto prevista trova applicazione in riferimento ad ogni pagamento effettuato a titolo di corrispettivo in una transazione commerciale e, poichè il pagamento previsto a titolo di equo indennizzo dalla L. n. 89 del 2001, non costituisce transazione commerciale, la disposizione normativa invocata in tema d’interessi non può trovare applicazione nel caso di specie.

Il ricorso incidentale è infondato.

L’orientamento consolidato di questa Corte è, infatti, nel senso che anche per le persone giuridiche il danno non patrimoniale, inteso come danno morale soggettivo correlato a turbamenti di carattere psicologico, è conseguenza normale, ancorchè non automatica e necessaria, della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo, a causa dei disagi e dei turbamenti di carattere psicologico che la lesione di tale diritto solitamente provoca alle persone preposte alla gestione dell’ente o ai suoi membri, e ciò non diversamente da quanto avviene per il danno morale da lunghezza eccessiva del processo subito dagli individui persone fisiche;

sicchè, pur dovendo escludersi la configurabilità di un danno “in re ipsa” – ossia di un danno automaticamente e necessariamente insito nell’accertamento della violazione, una volta accertata e determinata l’entità della violazione relativa alla durata ragionevole del processo, il giudice deve ritenere tale danno esistente, sempre che non risulti la sussistenza, nel caso concreto, di circostanze particolari che facciano positivamente escludere che tale danno sia stato subito dal ricorrente (Cass. 17500/05; Cass. 18455/05; Cass. 21094/05, Cass. 7145/06, Cass. 21094/05, Cass. 3396/05).

In conclusione dunque vanno accolti i primi due motivi del ricorso principale, rigettati gli altri ad esclusione del settimo e dell’ottavo assorbiti. Va rigettato il ricorso incidentale.

Pertanto il decreto va cassato in relazione ai motivi accolti e, sussistendo i presupposti di cui all’art. 384 c.p.c., la causa può essere decisa nel merito con la condanna del Ministero al pagamento dell’equo indennizzo liquidato in Euro 6750,00, sulla base di un ritardo di anni sei e mesi nove e di un parametro di Euro mille per anno di ritardo, oltre interessi legali dalla domanda al saldo nonchè al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi; accoglie i primi due motivi del ricorso principale, assorbiti il settimo e l’ottavo e rigettati gli altri;

rigetta il ricorso incidentale; cassa il decreto impugnato in ragione delle censure accolte e decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento della somma di Euro 6750,00 in favore del ricorrente oltre interessi legali dalla domanda al saldo nonchè al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate per l’intero in Euro 1000,00 per onorari oltre Euro 100,00 per esborsi ed oltre spese generali ed accessori di legge, nonchè al pagamento delle spese del giudizio di merito liquidate in Euro 1200,00 di cui Euro 700,00 per onorari ed Euro 150,00 per spese oltre spese generali ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2011

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