Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3683 del 12/02/2021

Cassazione civile sez. II, 12/02/2021, (ud. 16/12/2020, dep. 12/02/2021), n.3683

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3145-2016 proposto da:

F.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 15, presso lo studio dell’avvocato PAOLO POPOLINI, che lo

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

G.C., S.C., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE PINTURICCHIO 214, presso lo studio dell’avvocato ALDO VERINI

SUPPLIZI, che li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

nonchè

sul ricorso proposto da:

G.C., S.C., elettivamente domiciliati in ROMA,

VIALE PINTURICCHIO 214, presso lo studio dell’avvocato ALDO VERINI

SUPPLIZI, che li rappresenta e difende;

– ricorrenti incidentali –

contro

F.F.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 6481/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 23/11/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/12/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. F.F. ha proposto ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 6481/2015, pubblicata il 23 novembre 2015.

2. S.C. e G.C. hanno resistito con controricorso e proposto ricorso incidentale condizionato.

3. La Corte d’appello di Roma ha rigettato il gravame presentato da F.F. e V.R.A. contro la sentenza del Tribunale di Roma del 22 ottobre 2008, la quale aveva respinto le domande proposte dal F. e dalla V., rispettivamente nudo proprietario ed usufruttuaria di immobile sito in (OMISSIS), per ottenere la riduzione in pristino ed il risarcimento dei danni correlati alla sopraelevazione del muro di confine e della quota di terreno eseguita dai vicini S.C. e G.C. sul fondo di loro proprietà, ed invece aveva accolto la domanda riconvenzionale con condanna del F. e della V. ad arretrare ed a ripristinare il medesimo manufatto da loro ampliato.

La Corte di Roma ha ritenuto infondato l’appello del F. e della V., i quali avevano dedotto l’avvenuta proposizione da parte loro altresì della domanda per violazione delle distanze legali e criticato la sentenza di primo grado quanto alla valutazione di legittimità delle opere per cui è causa.

La trattazione dei ricorsi è stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1 c.p.c.

F.F. ha depositato memoria.

3. Il ricorso di F.F. non è stato notificato a V.R.A.. Lo stesso ricorrente ha giustificato tale sua scelta per il fatto che la medesima V.R.A. abbia rinunciato con atto del 23 settembre 2011 al diritto di usufrutto sull’immobile di (OMISSIS). Nemmeno il ricorso incidentale condizionato è stato notificato a V.R.A..

Essendo oggetto di lite la legittimità di opere realizzate su fondo gravato da usufrutto, l’azione del confinante per la rimozione di tali opere deve essere instaurata nei confronti sia del nudo proprietario che dell’usufruttuario, sussistendo tra costoro un legame inscindibile che li rende parimenti obbligati a rimuovere la situazione illegittima di loro comune interesse (argomenta da Cass. Sez. 2, 12/12/1983, n. 7341). Poichè l’usufruttaria era stata parte dei pregressi gradi di merito ed ancora altresì della sentenza d’appello impugnata, il ricorso per cassazione doveva essere proposto anche nei suoi confronti, a norma dell’art. 331 c.p.c., non potendosi procedersi all’estromissione della stessa nel giudizio di legittimità deducendo il sopravvenuto consolidamento dell’usufrutto per effetto della rinuncia al diritto.

In ogni modo, nel caso in esame, la fissazione del termine ex art. 331 c.p.c., in forza del principio della ragionevole durata del processo, deve ritenersi superflua, in quanto il ricorso principale appare “prima facie” inammissibile, e l’integrazione del contraddittorio si rivela, perciò, attività del tutto ininfluente sull’esito del procedimento (Cass. Sez. U, 23/09/2013, n. 21670). Anche l’eventuale ricorso incidentale tardivo proposto dalla parte chiamata ad integrare il contraddittorio perderebbe ogni efficacia in conseguenza della dichiarazione di inammissibilità della impugnazione principale, ai sensi dell’art. 334 c.p.c., comma 2.

4. Il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto, in modo conforme alla giurisprudenza di questa Corte e l’esame dei motivi del ricorso principale non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa, con conseguente inammissibilità del ricorso ex art. 360 bis c.p.c., n. 1 (Cass. Sez. U., 21/03/2017 n. 7155).

5. Il primo motivo del ricorso di F.F. denuncia l’omessa valutazione del pericolo di cedimento del muro quale fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, avendo la Corte d’appello deciso sulla base di una parziale lettura della CTU ed essendosi limitata a riportare meramente ed erroneamente le conclusioni cui era addivenuto il CTU stesso. Si riportano stralci dell’elaborato peritale che indurrebbero a non escludere il pericolo di cedimento del muro di proprietà S.C. e G.C., alla luce della “verifica di stabilità” eseguita.

5.1. La Corte di Roma ha evidenziato le ragioni che porterebbero a negare il pericolo di crollo del muro di confine sulla base degli accertamenti peritali (prima relazione e relazione di chiarimenti: pagine 4 e 5 della sentenza impugnata). In tal senso, la sentenza impugnata contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione. Circa il riferimento al parametro dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’interpretazione di questa Corte ha chiarito come la riformulazione di tale norma, operata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, abbia introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Pertanto, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053). Costituisce, allora, un “fatto”, agli effetti dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non una “questione” o un “punto”, ma un vero e proprio “fatto”, in senso storico e normativo, un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza naturalistica, un dato materiale, un episodio fenomenico rilevante. E’ quindi inammissibile l’invocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 per sostenere l’inattendibilità delle conclusioni del CTU quanto ai pericoli di cedimento del muro per cui è causa. Il primo motivo di ricorso di F.F. è altrimenti volto a devolvere alla Corte di cassazione le contestazioni mosse alle risultanze della consulenza d’ufficio (critiche che comunque si sostanziano in semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico), pur non essendosi la Corte d’appello di Roma limitata acriticamente a far proprie le conclusioni della relazione peritale, visto che nella sentenza impugnata sono spiegate le ragioni del convincimento raggiunto dai giudici e dell’adesione alle conclusioni prospettate dall’ausiliare, il quale, a sua volta, si era fatto carico di esaminare e confutare le osservazioni mosse dal consulente di parte. Spetta, del resto, al giudice di merito esaminare e valutare le nozioni tecniche o scientifiche introdotte nel processo mediante la CTU, e dare conto dei motivi di consenso, come di quelli di eventuale dissenso, in ordine alla congruità dei risultati della consulenza e delle ragioni che li sorreggono. Tale valutazione è compiutamente esplicitata nella sentenza della Corte d’appello e non può essere sindacata in sede di legittimità invocando dalla Corte di cassazione, come auspica il ricorrente, un accesso diretto agli atti e una loro delibazione, in maniera da pervenire ad una nuova validazione e legittimazione inferenziale dell’adesione prestata dal giudice di merito ai risultati dell’espletata consulenza tecnica d’ufficio.

6. Con il secondo motivo il ricorrente principale lamenta la nullità della sentenza ex art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia su una parte della domanda relativa alle distanze fra le costruzioni. La censura espone che nella richiesta di “accertare l’illegittimità delle opere edili realizzate dai convenuti” e nella deduzione del “cospicuo riporto di terreno posto a ridosso ” del “muro sopraelevato nonchè di quello già esistente lungo il confine”, esplicitate nella citazione introduttiva, fosse insita la doglianza relativa alle distanze legali.

6.1. La decisione dei giudici di appello, i quali hanno invece ritenuto non proposta dagli attori la domanda di violazione delle distanze tra costruzioni, è conforme alla giurisprudenza di questa Corte. La Corte di Roma (nell’ambito del giudizio di fatto originariamente spettante al giudice del merito, e comunque verificabile in questa sede mediante l’esame diretto dell’atto imposto dalla denuncia di un error in iudicando de iure procedendi) ha proceduto ad una interpretazione della domanda di F.F. e V.R.A. che non può essere censurata in sede di legittimità per vizio di attività del giudice, atteso che, prescindendo dal tenore meramente letterale degli atti contenenti l’esplicitazione della domanda stessa, la pronuncia impugnata ha avuto riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate.

Quando la richiesta di demolizione di un immobile costruito dal vicino venga fondata sulla generica “illegittimità delle opere edili realizzate”, nella specie denunciandosi la sopraelevazione di un muro sul confine e la modificazione della preesistente quota naturale del suolo, non può ritenersi proposta l’azione ex art. 873 c.c., la quale suppone l’esplicitazione del petitum dell’arretramento della nuova costruzione e della causa petendi della violazione delle distanze tra costruzioni volte ad evitare la formazione di intercapedini dannose.

7. Il terzo motivo di ricorso di F.F. deduce la violazione degli artt. 2697 e 2712 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per il mancato assolvimento dell’onere di provare l’effettiva ristrutturazione nell’anno 2004 del manufatto di proprietà del ricorrente, oggetto della domanda riconvenzionale. Tale accertamento è stato fondato dalla Corte d’appello sulle risultanze della CTU, sulle riproduzioni fotografiche dei luoghi di causa allegate e sulla tardiva contestazione di tale data, giacchè operata dagli attori soltanto nelle note conclusive del primo grado.

7.1. Anche questo terzo motivo, come il primo, auspica dalla Corte di cassazione un’inammissibile rivalutazione delle emergenze probatorie.

A fronte dell’asserita violazione dei precetti di cui agli artt. 2697 e 2712 c.c., il terzo motivo del ricorso principale si duole, in realtà, della incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, e, dunque, dell’erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5.

Peraltro, l’argomento della tardiva contestazione da parte degli attori dell’epoca di esecuzione dei lavori, fatta risalire proprio al 2004 nella domanda riconvenzionale proposta da S.C. e G.C., costituisce un’autonoma e distinta “ratio decidendi”, che rende non bisognosa di prova tale circostanza, e che non è oggetto di specifica censura nel terzo motivo del ricorso principale, sicchè vale comunque a consolidare la motivazione sul punto in esame.

8. L’inammissibilità del ricorso principale assorbe il ricorso incidentale espressamente condizionato, volto, del resto, unicamente a riproporre la questione del ripristino dello stato dei luoghi operato da S.C. e G.C., questione non decisa, neppure implicitamente, dalla Corte d’appello, in quanto assorbita da quelle accolte.

9. Il ricorso principale va perciò dichiarato inammissibile,

mentre va dichiarato assorbito il ricorso incidentale condizionato. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza in favore dei controricorrenti.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso principale, dichiara assorbito il ricorso incidentale e condanna il ricorrente principale a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 4.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2021

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