Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3682 del 17/02/2010

Cassazione civile sez. lav., 17/02/2010, (ud. 25/11/2009, dep. 17/02/2010), n.3682

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ROSELLI Federico – Presidente –

Dott. MONACI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consigliere –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 21624-2006 proposto da:

LA QUATTRO S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TARANTO 142/C, presso lo

studio dell’avvocato PRUDENTE SIMONA, rappresentata e difesa

dall’avvocato SORBELLO GAETANO, giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CASSIODORO

6, presso lo studio dell’avvocato LEPORE GAETANO, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARTELLI CORRADO, giusta mandato a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 819/2005 della CORTE D’APPELLO di MESSINA,

depositata il 11/07/2005 r.g.n. 147/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/11/2009 dal Consigliere Dott. STEFANO MONACI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso dell’ottobre 1999 il signor P.A. ha impugnato il licenziamento intimatogli dalla datrice di lavoro società La Quattro prima oralmente il (OMISSIS), e poi con lettera del (OMISSIS).

Il giudice di primo grado accoglieva la domanda, dichiarava la nullità del licenziamento orale e l’illegittimità di quello successivo, e riconosceva al P. il riconoscimento dei danni commisurandoli alla retribuzione globale di fatto per il periodo che intercorreva dal giorno successivo al primo licenziamento ( (OMISSIS)) a quello in cui aveva iniziato a prestare la propria attività per un diverso datore di lavoro (esattamente dal 19 maggio 1999).

Condannava, inoltre, la datrice di lavoro al pagamento dei contributi previdenziali per lo stesso periodo con interessi e rivalutazione monetaria ed alle spese processuali.

Avverso la sentenza la società La Quattro s.r.l. proponeva appello principale sostenendo la legittimità del recesso.

L’appellato P. non solo controbatteva alle argomentazioni;

dell’appellante, ma proponeva, a sua volta, appello incidentale censurando la decisione del giudice di primo grado per la parte in cui aveva ordinalo la reintegrazione nel posto di lavoro presso l’impresa, con tutte le conseguenze relative.

Con sentenza n. 819/05 la Corte d’Appello di Messina confermava sostanzialmente la pronunzia di primo grado, e, peraltro, in parziale l’accoglimento dell’impugnazione incidentale del lavoratore, dichiarava il diritto di quest’ultimo al risarcimento del danno cagionato dall’illegittimo licenziamento irrogatogli con lettera del (OMISSIS), danni da commisurare alla retribuzione globale di fatto dal 28 aprile 1998 previa detrazione di quanto aliunde percepito a decorrere dal 19 maggio 1999 e al versamento dei contributi previdenziali per lo stesso periodo con interessi e rivalutazione fino al saldo.

Avverso la sentenza di appello, depositata in cancelleria l’undici luglio 2005, e che non risulta notificata, la società La Quattro s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, con sei motivi di impugnazione, notificato, in termine, il 10 luglio 2006.

L’intimato P.A. ha replicato con controricorso notificato a mezzo del servizio postale, con plico inviato, in termine, il (OMISSIS).

La ricorrente, infine, ha depositato una memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Nel primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 115 c.p.c., e l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia.

Lamenta che il giudice non abbia esaminato il proprio motivo di appello nel quale aveva sostenuto che il primo licenziamento, quello orale, non sussisteva perchè intimato da un soggetto (il signor L.F.P. padre del legale rappresentante della società, signor L.F.G.) che non aveva il potere di farlo.

1.2. Il motivo è inammissibile per difetto di interesse.

E’ irrilevante stabilire da chi fosse stato intimato originariamente il licenziamento anche perchè non risulta affatto che il primo licenziamento (quello di cui si contesta la sussistenza perchè non sarebbe stato intimato dal legale rappresentante della società ma, oralmente, dal padre di quest’ultimo) sia stato smentito dalla società stessa richiamando immediatamente in servizio il P.;

in questo modo la società, attraverso un comportamento concludente, ha fatto proprio quel primo atto di recesso. Inoltre, il secondo licenziamento, quello intimato per iscritto, appare sostanzialmente confermativo del primo, sia per la breve distanza di tempo (21 giorni) sia perchè non risulta, nè è stato affermato, che il rapporto sia ripreso nel periodo intermedio.

2.1. Nel secondo motivo la ricorrente deduce sostanza, gli stessi vizi (violazione dell’art. 115 c.p.c. e vizio di motivazione) e sostiene che, a questo proposito, la sentenza avrebbe omesso di valutare una parte delle prove testimoniali.

2.2. Il motivo è inammissibile perchè si risolve nella riproposizione di questioni di fatto, relative appunto alla valutazione delle prove ed alla ricostruzione degli eventi, che appunto perchè di fatto non possono essere oggetto di un terzo esame in questa sede di legittimità.

Il giudice, del resto, è tenuto a fornire una adeguata motivazione delle decisioni adottate, ma non è tenuto ad esaminare specificamente tutti gli elementi raccolti, quando essi siano al di fuori del percorso motivazionale adottato.

3.1 Nel terzo motivo si ripropone la censura di violazione e falsa applicazione dell’art. 334 c.p.c., e nuovamente quella di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.

La Corte d’Appello avrebbe errato nell’accogliere l’impugnazione proposta dal P. con l’impugnazione incidentale tardiva relativa alla reintegrazione nel posto di lavoro.

Si trattava, infatti, di una domanda autonoma, che doveva essere proposta tempestivamente; e pertanto il rigetto dell’appello principale comportava l’inammissibilità dell’appello incidentale tardivo proposto dal P..

3.2. Il motivo è infondato, perchè l’appello tardivo vale anche per i capi non autonomi della sentenza.

Infatti, anche ai procedimenti di lavoro si applica il principio contenuto nell’art. 334 c.p.c., comma 1 secondo il quale “le parti, contro le quegli è stata proposta impugnazione e quelle chiamate ad integrare il contraddittorio a norma dell’art. 331 c.p.c., possono proporre impugnazione incidentale anche quando per esse è decorso il termine o hanno fatto acquiescenza alla sentenza.” La norma risponde alla necessità logica ed economica di consentire alle parti di accettare anche decisioni di cui non siano completamente contente, ma nel complesso neppure scontente, consentendo loro di rimettere tutto in discussione quando la sentenza venga impugnata da una delle parti loro avverse.

Di conseguenza anche nel processo del lavoro la parte intimata può proporre impugnazione incidentale tardiva anche contro capi della sentenza separati e distinti rispetto a quello impugnato in via principale dalla controparte.

4.1. Nel quarto motivo si denunzia, invece, la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 e, anche sotto questo profilo, l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia.

La declaratoria di illegittimità di un licenziamento comportava la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, salvo che in corso di causa sopraggiungesse un altro fatto estintivo del rapporto di lavoro.

Secondo la società ricorrente era quanto era avvenuto nel caso di specie, perchè dal 20 maggio 1999 era stato avviato al lavoro, con la medesima qualifica rivestita in precedenza, presso un altro diverso datore di lavoro.

4.2. Il motivo è infondato.

Non è contestato che prima ed indipendentemente dalla reintegrazione nel posto di lavoro (che non risulta essere mai avvenuta) e, in ogni caso, da una data antecedente alla prima sentenza che ordinava la reintegrazione, il signor P. avesse trovato lavoro altrove.

Come già rilevato, però, da questa Corte, “il fatto che il lavoratore nelle more del giudizio abbia trovato un’altra occupazione remunerata non estingue il suo interesse ad ottenere la sentenza di condanna del datore di lavoro alla reintegrazione ai sensi della L. n. 300 del 1970, art. 18” (Cass. civ., 30 gennaio 1988, n. 843).

Del resto, il giudice del merito ha tenuto conto adeguatamente, ed in maniera corretta, del fatto sopravvenuto, disponendo che da quanto dovuto a titolo di risarcimento dalla ricorrente venisse detratto quanto nel frattempo quanto il lavoratore avesse percepito aliunde, vale a dire dalla nuova prestazione di lavoro dopo che il signor P. ne aveva iniziato lo svolgimento.

5.1. Nel quinto motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, art. 18 e dell’art. 1223 c.c., artt. 115 e 232 c.p.c., nonchè, ancora una volta, il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su di un punto decisivo della controversia.

A questo proposito critica la sentenza per non avere dato per ammessi i fatti oggetto di un interrogatorio formale ammesso dal giudice di primo grado e mai prestato dal P., e sostiene che dal 19 maggio 1999 il prestatore aveva reso una diversa attività alle dipendenze di un altro datore di lavoro, pur senza che il rapporto venisse regolarizzato presso gli enti di assistenza e di previdenza.

A differenza degli altri lavoratori licenziati, il P. non era rientrato al lavoro per sua scelta, proprio perchè aveva trovato un’altra occupazione.

Nè vi era stata alcuna discriminazione effettuata nei suoi confronti.

Anzi il P. aveva contribuito, come rappresentante sindacale aziendale, a redigere il testo di alcuni accordi aziendali che, peraltro, il legale rappresentante della società della società, signor L.F.G., non aveva firmato “perchè non rispondenti al vero”.

Dato che era stata apposta la firma del rappresentante sindacale CISL, secondo la ricorrente questa firma aveva impegnato anche il P., appartenente alla medesima organizzazione, e, di conseguenza, la domanda di quest’ultimo avrebbe doveva essere rigettata perchè inammissibile.

5.2. Il motivo è inammissibile ed infondato.

E’ inammissibile perchè si basa sull’allegazione di pretese circostanze di fatto (in particolare l’effettuazione da parte del P. di prestazioni di lavoro presso altro datore di lavoro anche prima che il relativo rapporto venisse ufficializzato e regolarizzato) che non trovano riscontro alcuno negli accertamenti di fatto risultanti dalla sentenza impugnata.

Per la seconda parte il motivo è infondato in quanto, come specificato dalla stessa ricorrente, i pretesi accordi sindacali aziendali non sono stati accettati e sottoscritti dal legale rappresentante della società, ma soltanto da rappresentanti sindacali.

In questo modo sono rimasti semplici bozze di proposte negoziali che, proprio perchè non seguite da un accordo compiuto, non possono impegnare nessuno, neppure chi le ha proposte e/o sottoscritte.

In ogni caso non potrebbero, impegnare un lavoratore, nel caso specifico il signor P., come soggetto singolo, e non nella sua (eventuale) qualità di sindacalista.

6.1. Infine, nel sesto motivo di impugnazione si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., ed ancora l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia.

Critica la sentenza per aver confermata la condanna della società alla rifusione delle spese del primo grado di giudizio, e per averla condannata alla metà di quelle di secondo grado.

Queste ultime avrebbero dovuto essere poste integralmente a carico del P..

6.2. Questo motivo è inammissibile sia per difetto di interesse, perchè è assorbito dalla reiezione dei precedenti motivi attinenti al merito, sia perchè privo di argomentazioni a proprio sostegno.

In ogni caso è infondato, perchè la condanna alle spese di causa (peraltro parziale per quelle di secondo grado), costituisce la logica conseguente dell’accoglimento delle domande del prestatore e del riconoscimento dell’illegittimità dei licenziamenti.

Del resto la sentenza della Corte d’Appello ha motivato adeguatamente sul punto, specificando che la compensazione parziale delle spese di secondo grado era giustificata dalla parziale inammissibilità dell’appello del signor P. (e soltanto da essa).

7. In conclusione, dunque, il ricorso è infondato e deve essere rigettato.

Le spese seguono la soccombenza in danno della società ricorrente, e vengono liquidate così come in dispositivo.

P.Q.M.

la Corte respinge il ricorso e condanna il ricorrente alle spese che liquida in Euro 18,00, oltre ad Euro 3.000,00 (tremila) per onorari, oltre a spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, il 25 novembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2010

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