Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3682 del 12/02/2021

Cassazione civile sez. II, 12/02/2021, (ud. 16/12/2020, dep. 12/02/2021), n.3682

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2987-2016 proposto da:

G.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE DELLE

MILIZIE 19, presso lo studio dell’avvocato LEONARDO CATTANEO, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

B.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANASTASIO II

80, presso lo studio dell’avvocato ADRIANO BARBATO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato CARLO BRESCIANI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 691/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 20/05/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/12/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. G.C. ha proposto ricorso articolato in tre motivi avverso la sentenza n. 681/2015 della Corte d’appello di Genova, pubblicata il 20 maggio 2015.

Resiste con controricorso B.A..

2. La Corte d’appello di Genova ha respinto il gravame formulato da G.C. avverso la sentenza resa il 24 maggio 2005 dal Tribunale di Chiavari, confermando il rigetto della domanda avanzata dalla stessa G., coniuge del B. dal 1985 in regime di separazione dei beni, al fine di accertare la comproprietà tra le parti – derivante dalla simulazione per interposizione di persona o in subordine dall’esistenza di un negozio fiduciario – dell’appartamento con annessi appezzamenti di terreno sito in (OMISSIS), da destinare a loro casa familiare. L’attrice sostenne che, nell’atto concluso il 29 gennaio 1990 con la venditrice Immobiliare O., l’immobile era stato intestato soltanto all’ex marito B.A. per motivi fiscali, pur provenendo il denaro corrisposto a titolo di prezzo dal conto corrente cointestato ad entrambi. Successivamente, in forza di accordo contenuto nella scrittura privata dell’8 gennaio 2004, allorchè tra i due era in corso il giudizio di separazione, B.A. aveva riconosciuto la comproprietà dell’immobile in capo a G.C., stabilendo di procedere all’alienazione del bene per dividerne il ricavato.

3. La Corte d’appello di Genova ha escluso che nella fattispecie di causa fosse ravvisabile una interposizione fittizia di persona, mancando prova della partecipazione del terzo alienante all’accordo simulatorio; parimenti da negare, ad avviso della sentenza impugnata, è la configurabilità di un accordo fiduciario, stante il tempo trascorso tra l’acquisto del 29 gennaio 1990 e la scrittura privata dell’8 gennaio 2004. Neppure risulterebbero provate la provenienza del danaro impiegato per l’acquisto dell’immobile dal patrimonio della G. o la stipula di un mutuo da parte di quest’ultima sempre finalizzato alla compravendita del 1990. Piuttosto, l’accordo del 2004, secondo la Corte di Genova, si collocherebbe nell’ambito della separazione coniugale, costituendo un autonomo contratto transattivo volto a regolare i rapporti patrimoniali tra le parti.

4. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1 c.p.c. Il controricorrente ha depositato memoria.

5. Il primo motivo di ricorso di G.C. denuncia la “nullità della sentenza e del procedimento per avere il giudice di merito fondato la sua decisione su di un errore”, nonchè la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362-1371 c.c. Si assume che la Corte di Genova abbia basato la sua decisione sull’erroneo convincimento che, secondo la tesi dell’attrice, con l’accordo contenuto nella scrittura dell’8 gennaio 2004 “il marito aveva riconosciuto a favore della moglie la comproprietà dell’immobile”. Al contrario, dalla clausola n. 4 di tale scrittura si evincerebbe che il B. aveva riconosciuto il 50 per cento della proprietà dell’immobile e dei terreni alla G. per poi venderle e dividerne il ricavato, essendo, dunque, la comproprietà “una premessa” dell’impegno assunto. Il secondo motivo di ricorso di G.C. denuncia la “nullità della sentenza e del procedimento per illogicità degli argomenti posti a base della decisione”, nonchè la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362-1371 c.c. Si espone che soltanto quando il matrimonio entrò in crisi si rese utile la “precisazione scritta su quali erano gli effettivi rapporti di proprietà sulla casa coniugale e sui terreni relativi”. La scrittura dell’8 gennaio 2004 era, dunque una controdichiarazione, indipendente dal contesto dell’accordo transattivo, che neppure doveva essere coeva o di epoca prossima alla vendita.

Il terzo motivo di ricorso di deduce sempre la “nullità della sentenza e del procedimento per illogicità degli argomenti posti a base della decisione”, nonchè la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362-1371 c.c. Si afferma che la Corte di Genova non abbia esaminato “quanto risulta dagli atti e documenti di causa”; nel motivo si racconta delle trattative per l’acquisto dell’immobile di (OMISSIS) condotte dalla G., di due scritture del novembre 1989 relative all’arredo della casa ed all’acquisto del terreno e di come il signor C. venne meno a quanto inizialmente convenuto con la sola G..

5. I tre motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, per la loro evidente connessione, e si rivelano connotati da diffusi profili di inammissibilità, e comunque del tutto infondati.

Non è comunque fondata l’eccezione del controricorrente secondo cui si sarebbe formato un “giudicato in ordine alla qualificazione della scrittura 8.1.2004 quale autonomo contratto”, ovvero quale scrittura transattiva e non “controdichiarazione”, in quanto l’appello formulato da G.C. avverso la sentenza del Tribunale di Chiavari investiva i giudici di secondo grado proprio della qualificazione giuridica da dare al rapporto in contestazione, qualificazione alla quale il giudice di appello ha, peraltro, il potere-dovere di procedere, anche d’ufficio, senza modificare gli elementi costitutivi della domanda proposta dalla parte. Pertanto su tale punto della decisione non può formarsi il giudicato per acquiescenza parziale, ai termini dell’art. 329 c.p.c., comma 2 pure quando l’impugnativa non lo investe in modo diretto.

5.1. La sentenza impugnata contiene le argomentazioni rilevanti per individuare e comprendere le ragioni, in fatto e in diritto, della decisione e sono perciò prive di fondamento le doglianze sulla nullità della pronuncia della Corte d’appello di Genova.

5.2. I giudici di appello, uniformandosi al costante orientamento di questa Corte, hanno dapprima negato la ravvisabilità, nel rapporto tra la compravendita del 29 gennaio 1990 e la scrittura privata dell’8 gennaio 2004, di una interposizione fittizia di persona, che vedesse quale acquirente pro quota dell’immobile altresì G.C., stante la mancata partecipazione all’accordo simulatorio, nella specie in forma scritta ad substantiam, del terzo contraente, il quale avrebbe dovuto dare la propria consapevole adesione all’eventuale intesa raggiunta tra interponente ed interposto (da ultimo, Cass. Sez. 2, 12/10/2018, n. 25578).

Con apprezzamento di fatto rientrante tra le prerogative del giudice del merito, sindacabile nel giudizio di cassazione soltanto mediante invocazione del vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la sentenza impugnata ha altresì negato la sussistenza del collegamento fiduciario tra i due negozi: l’uno, la compravendita del 29 gennaio 1990, che, nella prospettiva difensiva della ricorrente, aveva carattere esterno con efficacia verso i terzi; l’altro, la scrittura privata dell’8 gennaio 2004, che avrebbe avuto carattere interno ed obbligatorio, in quanto volto a riconoscere la natura fiduciaria della intestazione ed a modificare il risultato finale del primo negozio, sicchè il fiduciario B.A. avrebbe così ritrasferito la metà dell’immobile alla fiduciante.

Piuttosto, stando alla ricostruzione che si evince dalla decisione della Corte di Genova, e come del resto già sostenuto nella sentenza di primo grado, la scrittura dell’8 gennaio 2004 avrebbe costituito “un contratto autonomo”, con il quale, dunque, B.A. aveva “riconosciuto” il cinquanta per cento della proprietà di G.C. sulla porzione immobiliare, in effetti di proprietà esclusiva soltanto del B. in base all’acquisto operato col contratto del 29 gennaio 1990, avendo perciò implicato il più recente negozio un mutamento della precedente titolarità del diritto dominicale (cfr. Cass. Sez. 2, 21/03/1983, n. 1983). Così intesa, la scrittura dell’8 gennaio 2004 non avrebbe rivelato un effetto confermativo del preesistente rapporto nascente dal patto fiduciario e perciò ricognitivo dell’interposizione (si veda Cass. Sez. U, 06/03/2020, n. 6459), atteggiandosi, piuttosto, quale negozio traslativo posto in essere durante la crisi coniugale ed avente la propria distinta causa nell’intenzione dei medesimi coniugi di regolare i reciproci rapporti in vista della separazione.

5.3.1 tre motivi di ricorso, riferiti tutti al parametro della violazione di norme di diritto (il quale suppone la deduzione di una erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dalla legge e non della fattispecie concreta emergente dalle risultanze di causa), sono, in realtà, volti a dimostrare le incongruenze della sentenza impugnata rispetto alle emergenze istruttorie. La ricorrente lamenta, nella sostanza delle sue censure, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito, doglianza che, tuttavia, non dà luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile neppure nel paradigma dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

5.4. In particolare, il primo ed il secondo motivo, allorchè sostengono che nella clausola n. 4 della scrittura dell’8 gennaio 2004 il riconoscimento della comproprietà degli immobili costituirebbe “una premessa” e che il medesimo accordo valesse come controdichiarazione imposta dal sopravvenire della crisi coniugale, si risolvono nella mera contrapposizione tra l’interpretazione data al contratto dalla ricorrente e quella accolta nella sentenza impugnata, non dovendo, del resto, essere quest’ultima l’unica astrattamente possibile ma solo una delle plausibili interpretazioni. Neppure vengono specificati quali dei criteri di cui agli artt. 1362 c.c. e ss. siano stati in concreto violati, ed in particolare il punto ed il modo in cui il giudice del merito si sia dagli stessi discostato (tra le tante, Cass. Sez. 3, 28/11/2017, n. 28319).

5.5. Il terzo motivo di ricorso contiene, infine, svariati riferimenti a questioni di fatto di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata (comunque postulanti indagini ed accertamenti non compiuti dai giudici di merito e non eseguibili nel procedimento di cassazione), nè sono denunciate in sede di legittimità sotto il profilo dell’omessa pronuncia da parte della Corte di Genova rispetto al thema decidendum ad essa devoluto in forza di specifici motivi di appello ex art. 342 c.p.c. Il ricorrente per cassazione, che, come nella specie, proponga questioni che implicano accertamenti di fatto e delle quali non si faccia menzione alcuna nella sentenza impugnata, ha l’onere (nella specie inosservato), al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, agli effetti dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non solo di allegare l’avvenuta deduzione delle questioni dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto (e cioè di specificare il “dato”, testuale o extratestuale, da cui essa risulti devoluta, nonchè il “come” e il “quando” tali questioni siano stata oggetto di discussione processuale tra le parti), onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito le questioni stesse.

6. Il ricorso va perciò rigettato e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza in favore del controricorrente.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 7.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2021

 

 

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