Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3681 del 12/02/2021

Cassazione civile sez. II, 12/02/2021, (ud. 16/12/2020, dep. 12/02/2021), n.3681

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GORJAN Sergio – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3465-2016 proposto da:

V.B., (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CICERONE, 44 TEL: 063220940, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI

CORBYONS, rappresentato e difeso dall’avvocato GIOVANNA ZUCCARO;

– ricorrente –

contro

C.P., (OMISSIS), C.R. (OMISSIS), elettivamente

domiciliate in ROMA, VIALE PARIOLI 79 H, presso lo studio

dell’avvocato PIO CORTI, rappresentate e difese dagli avvocati

GIANCARLO BERALDO, SAMANTA MAZZOLA;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2797/2015 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 29/06/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

16/12/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

1. V.B. ha proposto ricorso articolato in cinque motivi per la cassazione della sentenza n. 2797/2015 della Corte d’Appello di Milano, pubblicata il 29 giugno 2015.

2. Resistono con controricorso C.R. e C.P..

3. La Corte d’appello di Milano ha confermato la sentenza del Tribunale di Varese n. 1358/2010, con cui si era stato accertato che i fabbricati in (OMISSIS) di proprietà, rispettivamente, delle attrici R. e C.P., eredi di M.C. (costruito in base a nulla osta del (OMISSIS)) e del convenuto V.B. (realizzato in forza di permesso a costruire rilasciato il (OMISSIS)), si fronteggiano per 9.73 mt di lunghezza ad una distanza inferiore (pari circa 7.50 mt) a quella minima di 10 mt, prescritta dal D.M. n. 1444 del 1968, art. 9. Il giudice di primo grado disapplicò, pertanto, in quanto contrastante con il citato art. 9, l’art. 52 del regolamento edilizio del Comune di (OMISSIS), che limita l’applicazione della disposizione del D.M. n. 1444 del 1968 ai soli casi di edifici prospicienti per una lunghezza pari o non inferiore a 12 mt. Il Tribunale di Varese accolse perciò la domanda di R. e C.P. e condannò V.B. ad arretrare o a demolire la sua costruzione fino alla distanza legale di 10 mt. dalla prospicente parete finestrata dell’edificio frontistante.

3.1. La Corte d’appello di Milano, pronunciando sul gravame avanzato da V.B., ha preliminarmente rigettato l’istanza dell’appellante, formulata in sede di conclusioni, volta a far dichiarare cessata la materia del contendere, sulla base dell’allegazione che dell’avvenuta alienazione dell’immobile a terzi, ai quali la emananda sentenza non sarebbe stata opponibile in difetto della trascrizione della domanda di controparte. I giudici di secondo grado hanno poi ritenuto la manifesta infondatezza di tutti i motivi dell’appello e condannato l’appellante a pagare alle appellate una somma pari a Euro 5.000,00 a titolo di responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c., oltre alle spese di lite.

4. La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, a norma dell’art. 375 c.p.c., comma 2 e art. 380 bis.1 c.p.c. Il ricorrente e le controricorrenti hanno depositato memorie.

E’ da rigettare l’eccezione di inammissibilità avanzata dai controricorrenti, in quanto il ricorso per cassazione contiene una sufficiente esposizione dei fatti di causa, dalla quale risultano le posizioni processuali delle parti, nonchè gli argomenti dei giudici dei singoli gradi. Quanto all’accertamento dell’osservanza di quanto prescritto dall’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4) e 6), esso deve necessariamente compiersi con riferimento a ciascun singolo motivo di impugnazione, verificandone in modo distinto specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata, nonchè l’analitica indicazione dei documenti sui quali ognuno si fondi, il che esclude che il ricorso possa essere dichiarato per intero inammissibile, ove tale situazione sia propria solo di uno o di alcuno dei motivi proposti (cfr. Cass. Sez. U, 05/07/2013, n. 16887).

5.1. Il primo motivo del ricorso di V.B. deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 111 c.p.c. in relazione all’art. 2653 c.c. e art. 873 c.c., per avere la Corte d’appello errato nel non dichiarare la cessazione della materia del contendere, ritenendo sussistente un’ipotesi di successione particolare nel diritto ai sensi dell’art. 111 c.p.c. Avverte il ricorrente come l’art. 111 c.p.c. faccia salve le norme relative alla trascrizione, sicchè, essendo la domanda di C.R. e C.P. suscettibile di trascrizione ex art. 2653 c.c., n. 1, essa andava trascritta per poter poi opporre la sentenza di riduzione in pristino ai terzi aventi causa.

5.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 c.p.c. in relazione all’art. 2653 c.c. e art. 873 c.p.c.: vista la inopponibilità della sentenza ai terzi acquirenti dell’immobile per le ragioni esposte nella prima censura, non sussisterebbe più l’interesse ad agire in capo a C.R. e C.P..

5.3. Il terzo motivo di ricorso prospetta l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, quale gli effetti dell’omessa trascrizione della domanda giudiziale e la inopponibilità della sentenza al terzo acquirente della res litigiosa, in seguito all’alienazione con atto del 18 febbraio 2008, perciò sussistendo i requisiti per la dichiarazione di cessazione della materia del contendere.

6. I primi tre motivi di ricorso vanno esaminati congiuntamente, in quanto connessi, e si rivelano del tutto infondati.

La domanda (quale quella proposta davanti al Tribunale di Varese da R. e C.P.) diretta a denunziare la violazione delle distanze legali da parte del proprietario del fondo vicino e ad ottenere l’arretramento della sua costruzione, tendendo a salvaguardare il diritto di proprietà dell’attore dalla costituzione di una servitù di contenuto contrario al limite violato e ad impedirne tanto l’esercizio attuale, quanto il suo acquisto per usucapione, ha natura di “actio negatoria servitutis”; essa, pertanto, è soggetta a trascrizione ai sensi dell’art. 2653 c.c., n. 1, (Cass. Sez. U, 12/06/2006, n. 13523; Cass. Sez. 2, 15/05/2015, n. 10005; Cass. Sez. 2, 29/05/2019, n. 14710).

Peraltro, in tema di azioni a carattere reale, quale appunto quella per il rispetto delle distanze legali, si ha successione a titolo particolare nel diritto controverso, ex art. 111 c.p.c., tutte le volte che, a seguito del trasferimento in corso di causa per atto “inter vivos” delle “res litigiose” rappresentate dagli immobili interessati alla vicenda (come qui si assume avvenuto in conseguenza della vendita del fabbricato di (OMISSIS) da V.B. a T.R. per atto 18 febbraio 2008, dunque in pendenza del giudizio di primo grado), gli effetti del provvedimento giurisdizionale che definisce la lite incidano in negativo o in positivo sulla sfera giuridica di soggetti diversi da quelli che rivestivano inizialmente la posizione di attore o convenuto. Ne consegue, in base all’art. 111 c.p.c., che il processo deve proseguire fra le parti originarie, mantenendo l’attore interesse alla pronuncia, e che legittimamente l’acquirente a titolo particolare, ai sensi del citato art. 111, comma 3 può spiegare intervento (Cass. Sez. 2, 02/08/2001, n. 10563).

L’onere della trascrizione della domanda, di cui all’art. 111 c.p.c., comma 4 (che segna diversamente per gli aventi causa la pendenza del processo, dando rilievo non alla notificazione, quanto appunto alla trascrizione della domanda stessa), con riferimento, come nella specie, ad azioni a difesa della proprietà, quale la negatoria per violazione delle distanze legali, opera, dunque, per fini esclusivamente processuali, e cioè soltanto allo scopo di rendere opponibile la sentenza a colui che acquisti diritti dal convenuto in pendenza del processo e quindi prima della formazione del giudicato (Cass. Sez. 2, 15/05/2015, n. 10005; Cass. Sez. 3, 14/02/2013, n. 3643; Cass. Sez. 2, 09/01/2007, n. 145; Cass. Sez. 2, 26/10/1981, n. 5597; Cass. Sez. 2, 30/10/1973, n. 2848).

L’eventuale inopponibilità processuale al successore a titolo particolare del diritto controverso degli effetti della sentenza pronunciata nei confronti del convenuto, in ipotesi di mancata trascrizione di alcuna delle domande previste dagli artt. 2652 e 2653 c.c., lasciando impregiudicato il problema di diritto sostanziale, non determina, perciò, la cessazione della materia del contendere nel processo pendente tra le parti originarie (arg. da Cass. Sez. 2, 27 agosto 2019, n. 21716; Cass. Sez. 2, 27/03/2013, n. 7761).

7. Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 96 c.p.c., risultando la sentenza della Corte d’appello di Milano eccessivamente punitiva nell’aver ritenuto dilatorio e defatigatorio l’appello promosso da V.B., vista la mancanza di temerarietà, mala fede o colpa grave a lui addebitabili e considerati globalmente i reciproci comportamenti delle parti.

7.1. Il quarto motivo è anch’esso infondato. La Corte di Milano ha motivato la condanna alla somma ex art. 96 c.p.c. di V.B. per la “evidente finalità dilatoria e defatigatoria di un appello tanto inconsistente” e per la conseguita sospensione della efficacia esecutiva della sentenza di primo grado. Ora, la domanda di risarcimento da responsabilità aggravata, di cui all’art. 96 c.p.c., comma 1, con riguardo particolare ad un giudizio di secondo grado, deve appunto riferirsi alla pretestuosità dell’impugnazione, valutata in rapporto alla palese e strumentale infondatezza dei motivi dell’appello e, più in generale, alla condotta processuale tenuta dalla parte soccombente nella fase di gravame (Cass. Sez. 2, 26/03/2013, n. 7620). Al riguardo, la Corte d’appello di Milano, nell’adottare la condanna ex art. 96 c.p.c., comma 1, ha illustrato le ragioni per cui il comportamento di V.B. integrasse un’ipotesi di impiego pretestuoso e strumentale del diritto di impugnazione, e tale valutazione di merito non è sindacabile in sede di legittimità sotto il profilo della denunziata violazione di legge.

8. Con il quinto motivo, infine, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 873 c.c., D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 e art. 52 R.G.E. Comune di (OMISSIS), per non avere la Corte d’appello accolto il secondo motivo di gravame, che evidenziava le carenze istruttorie, l’inadeguatezza dei quesiti rivolti al CTU, il mancato accertamento della violazione delle distanze, le critiche rivolte alla CTU e l’istanza di rinnovo di quest’ultima.

8.1. Il quinto motivo di ricorso è inammissibile per carenza di specificità, completezza e riferibilità alla ratio decidendi della sentenza impugnata (art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4).

La Corte d’appello ha indicato nelle pagine 5 e 6 della sentenza le motivazioni della manifesta infondatezza o inammissibilità per genericità dei motivi di gravame.

Il quinto motivo di ricorso è piuttosto volto a devolvere alla Corte di cassazione le contestazioni mosse alle risultanze della consulenza d’ufficio (critiche che comunque si sostanziano in semplici allegazioni difensive a contenuto tecnico), pur non essendosi la Corte d’appello di Milano limitata acriticamente a far proprie le considerazioni della relazione peritale, visto che nella sentenza impugnata sono spiegate le ragioni del convincimento raggiunto dai giudici e dell’adesione alle conclusioni prospettate dall’ausiliare. Spetta, del resto, al giudice di merito esaminare e valutare le nozioni tecniche o scientifiche introdotte nel processo mediante la CTU, e dare conto dei motivi di consenso, come di quelli di eventuale dissenso, in ordine alla congruità dei risultati della consulenza e delle ragioni che li sorreggono. Rientra del pari notoriamente nei poteri discrezionali del giudice di merito la valutazione dell’opportunità di disporre indagini tecniche suppletive o integrative di quelle già espletate, di sentire a chiarimenti il consulente tecnico di ufficio ovvero di disporre addirittura la rinnovazione delle indagini, con la nomina di altri consulenti, e l’esercizio di un tale potere (così come il mancato esercizio) non è censurabile in sede di legittimità.

Sono poi proposte, sub specie di violazione di norme di diritto, censure inerenti alla valutazione delle risultanze probatorie neppure sussumibili nella cornice dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, il quale ha introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Di tal che, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. Sez. U, 07/04/2014, n. 8053).

Il quinto motivo di ricorso contiene, infine, svariati riferimenti a questioni di fatto di cui non vi è cenno nella sentenza impugnata (comunque postulanti indagini ed accertamenti non compiuti dai giudici di merito e non eseguibili nel procedimento di cassazione), nè sono denunciate in sede di legittimità sotto il profilo dell’omessa pronuncia da parte della Corte di Milano rispetto al thema decidendum ad essa devoluto in forza di specifici motivi di appello ex art. 342 c.p.c. Il ricorrente per cassazione, che, come nella specie, proponga questioni che implicano accertamenti di fatto e delle quali non si faccia menzione alcuna nella sentenza impugnata, ha tuttavia l’onere (nella specie inosservato), al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, agli effetti dell’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 6, non solo di allegare l’avvenuta deduzione delle questioni dinanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto (e cioè di specificare il “dato”, testuale o extratestuale, da cui essa risulti devoluta, nonchè il “come” e il “quando” tali questioni siano stata oggetto di discussione processuale tra le parti), onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminare nel merito le questioni stesse.

9. Il ricorso va perciò rigettato e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza in favore delle controricorrenti.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alle controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro, 7.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione Seconda civile della Corte Suprema di Cassazione, il 16 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2021

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