Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3678 del 13/02/2020

Cassazione civile sez. VI, 13/02/2020, (ud. 10/01/2020, dep. 13/02/2020), n.3678

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 24700-2018 proposto da:

LEOPIZZI 1750 SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA SAN BERNARDO 101, presso

lo studio dell’avvocato ARTURO CANCRINI, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato VINCENZO LICCI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI PARABITA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE,

rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO FASANO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 710/2018 della CORTE D’APPELLO di LECCE,

depositata il 02/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 10/01/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MARULLI

MARCO.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

1. La Leopizzi s.r.l. impugna l’epigrafata sentenza con la quale la Corte d’Appello di Lecce, in accoglimento del gravame proposto dal Comune di Parabita, ha riformato l’impugnata decisione di rigetto in primo grado dell’opposizione dal medesimo proposta avverso il decreto ingiuntivo con cui la Leopizzi, già appaltatrice dei lavori inerenti la riqualificazione del parco archeologico, aveva reclamato il pagamento di taluni lavori extracontratto e ne chiede la cassazione sulla base di due motivi illustrati pure con memoria, cui replica l’intimato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

2. Il primo motivo di ricorso, inteso a denunciare l’erroneità in diritto della sentenza opposta per violazione del D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, art. 198, in quanto nella specie era intervenuto l’espresso riconoscimento delle lavorazioni eseguite, è inammissibile non intercettando la ratio decidendi a cui, nel rigettare la deduzione, si è riportato il decidente del grado.

3. Ed invero la Corte d’Appello, esaminando funditus la documentazione prodotta in causa (certificato di regolare collaudo e determina del segretario generale) ha si riconosciuto l’effetto ricognitivo che promana da essa, ma ne ha escluso ogni effetto sanante rammentando in conformità alla giurisprudenza di questa Corte che “la promessa di pagamento ha valore meramente confermativo di un preesistente rapporto fondamentale, ma non è idonea a costituire nuove obbligazione”; e ciò tanto più in un settore come quello delle contrattazioni pubbliche presidiato da rigorosi vincoli formali non suscettibili di deroga neppure in applicazione della legislazione straordinaria in materia di contrazione di debiti fuori bilancio, trattandosi, infatti, ” di regime provvisorio che consente di far salvi gli impegni di spesa in precedenza assunti senza copertura contabile, ma non innova in alcun modo alla disciplina che regolamenta la stipulazione dei contratti da parte della pubblica amministrazione, nè introduce una sanatoria per i contratti eventualmente nulli o comunque invalidi”.

4. Il motivo, limitandosi a dedurre l’effetto ricognitivo discendente dai documenti versati in causa, si astiene tuttavia dal censurare lo specifico argomento che la ricognizione di debito prova l’obbligazione ma non la sua validità.

5. Parimenti inammissibile deve giudicarsi il secondo motivo di ricorso, mercè il quale la ricorrente lamenta la violazione degli art. 2041 e 2042 c.c. e del TUEL, artt. 191 e 194, dacchè la Corte d’Appello avrebbe escluso la sussistenza del richiesto presupposto della sussidiarietà quantunque la fattispecie non fosse sussumibile in quella astrattamente prevista dalle norme da ultimo richiamate attesa la sussistenza del contratto d’appalto fra il Comune e l’impresa e l’intervenuto riconoscimento delle lavorazioni extracontratto.

Esso invero non esaurisce la totalità delle rationes che reggono l’impugnato pronunciamento sul punto, vero che, a supporto di quanto da essa deliberato in ordine alla dispiegata pretesa, la Corte d’Appello ha non solo sviluppato l’argomento qui espressamente denunciato, ma ha fatto valere anche la considerazione – peraltro rettamente riferita dalla ricorrente – secondo cui “l’indennizzo ex art. 2041 c.c. non compete non già per l’inammissibilità dell’astio de in rem verso nei confronti della Pubblica amministrazione, ma per l’assorbente ragione della vigenza di un precetto legislativo che lo escludeva in modo espresso all’epoca dei lavori”, richiamando implicitamente il principio fissato dalla L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 342 (all. F)”.

Poichè riguardo a questo ulteriore argomento il ricorso risulta irrimediabilmente silente, ne discende che, potendo la decisione suffragarsi in forza di esso, il ricorrente non ha interesse a conseguire la pronuncia in ordine alla sola ratio censurata, dato che l’eventuale fondatezza della censura non genererebbe alcun effetto cassatorio che ne possa motivare la scrutinabilità. Ed il motivo va per questo giudicato inammissibile.

6. Il ricorso va dunque dichiarato inammissibile.

7. Spese alla soccombenza. Doppio contributo ove dovuto.

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 3100,00, di cui Euro 100,00 a titolo di esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ove dovuto il raddoppio del contributo si applicherà il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-I sezione civile, il 10 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2020

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