Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3677 del 12/02/2021

Cassazione civile sez. II, 12/02/2021, (ud. 14/12/2020, dep. 12/02/2021), n.3677

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –

Dott. VARRONE Luca – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9721-2017 proposto da:

F.A., rappresentato e difeso dall’avv. MASSIMO CECCANTI

e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

PREFETTURA UTG TORINO;

– intimata –

avverso la sentenza n. 4631/2016 del TRIBUNALE di TORINO, depositata

il 27/09/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

14/12/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con ricorso ai sensi dell’art. 205 C.d.S. depositato presso il Giudice di Pace di Torino F.A. proponeva opposizione avverso l’ordinanza – ingiunzione emessa dalla Prefettura di Torino in reiezione del ricorso da lui proposto, in via amministrativa, avverso un verbale di contestazione di infrazione per superamento del limite massimo di velocità consentito, elevato in relazione ad una violazione occorsa in (OMISSIS).

Nella resistenza dell’amministrazione, il Giudice di Pace rigettava la domanda principale, di annullamento della sanzione, accogliendo invece solo la subordinata, di riduzione della stessa al minimo edittale.

Interponeva appello il F. e si costituiva in giudizio la Prefettura, resistendo al gravame.

Con la sentenza impugnata, n. 4631/2016, il Tribunale di Torino rigettava l’impugnazione condannando il F. alle spese del grado.

Propone ricorso per la cassazione di detta decisione F.A. affidandosi a quattro motivi.

La Prefettura di Torino, intimata, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente lamenta la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 3 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè la falsa applicazione degli artt. 126 bis e 196 C.d.S., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, perchè il Tribunale avrebbe dapprima affermato che il F. non aveva mai contestato la sua qualità di conducente e, dall’altro lato, ritenuto comunque ininfluente la qualifica, posto che lo stesso, essendo proprietario del mezzo e non avendone provato la circolazione contro la sua volontà, era comunque tenuto al pagamento della sanzione. Il ricorrente ravvisa, in tale contrasto, una irriducibile contraddizione ridondante in una scorretta applicazione delle norme indicate in epigrafe del motivo.

La censura è inammissibile.

Deve premettersi che il Tribunale dà atto – cfr. pag. 3 della sentenza impugnata – che il F. aveva contestato già con l’opposizione inizialmente presentata al Prefetto, tra l’altro, il fatto che la sua vettura fosse parcheggiata sotto casa nel momento in cui veniva rilevata l’infrazione oggetto del giudizio. Di conseguenza, non appare coerente con tale premessa la successiva affermazione – contenuta a pag. 10 della medesima sentenza- secondo cui l’odierno ricorrente non avrebbe mai contestato la propria qualità di conducente del veicolo, posto che nella più ampia contestazione dell’avvenuta circolazione del mezzo rientra anche la più ridotta contestazione del fatto che il ricorrente fosse alla guida del medesimo.

Tuttavia, la svista non appare decisiva, posto che il giudice di merito ha ravvisato, in effetti, la responsabilità del F. non tanto e non solo in quanto conducente, ma anche in quanto proprietario del veicolo (cfr. sempre pag. 10 della decisione). Illuminante, a tal riguardo, risulta il passaggio della motivazione contenuto alla fine di pag. 10 e al principio di pag. 11, secondo cui 11 il F. in qualità di proprietario dell’autoveicolo è comunque obbligato in solido con l’autore della violazione al pagamento della somma da questi dovuto, se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà”.

In proposito, l’odierno ricorrente non deduce di aver mai tentato di dimostrare, nel giudizio di merito, la circolazione del veicolo invito domino. Al contrario, egli riporta le conclusioni rassegnate in prima istanza, trascrivendole a pag. 6 del ricorso, dalla cui analisi si trae la conferma diretta che tale deduzione non era mai stata proposta.

Di conseguenza, il F. è comunque responsabile, in quanto proprietario del mezzo, per la sanzione contestatagli, onde l’errore commesso dal giudice di merito non appare rilevante ai fini della decisione della controversia. Dal che l’inammissibilità del motivo per carenza di interesse concreto della parte ricorrente a sollevare una questione a contenuto meramente formale. Si deve, infatti, ribadire che “L’interesse ad agire richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice poichè il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per l’attore senza che siano ammissibili questioni di interpretazioni di norme, se non in via incidentale e strumentale alla pronuncia sulla domanda principale di tutela del diritto ed alla prospettazione del risultato utile e concreto che la parte in tal modo intende perseguire” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 28405 del 28/11/2008; Rv. 605612; Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 15355 del 28/06/2010, Rv. 613874; Cass. Sez. 6-L, Ordinanza n. 2051 del 27/01/2011, Rv. 616029; Cass. Sez. L, Sentenza n. 6749 del 04/05/2012, Rv. 622515). Infatti “… il processo non può essere utilizzato solo in previsione della soluzione in via di massima o accademica di una questione di diritto in vista di situazioni future o meramente ipotetiche” (Cass. Sez. L, Sentenza n. 27151 del 23/12/2009, Rv. 611498).

Con il secondo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, comma 11, art. 142 C.d.S., comma 6 bis, art. 385 reg. att. C.d.S., comma 1, artt. 2699 e 2700 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, perchè il Tribunale non avrebbe rilevato che il documento notificato al ricorrente, in quanto predisposto da una società privata, non sarebbe tecnicamente un verbale, in quanto non proveniente dall’autorità preposta a rilevare della violazione e ad elevare la relativa sanzione, e non recherebbe alcuna prova a sostegno della presenza della pattuglia a presidio del dispositivo di rilevamento della velocità a distanza. Inoltre, ad avviso del ricorrente, il Tribunale avrebbe errato nel ritenere che le dichiarazioni degli operanti circa il corretto posizionamento della segnaletica di avviso della postazione, contenute nel verbale predetto, sono assistite da fede privilegiata, fino a querela di falso, poichè avrebbe omesso di considerare che il verbale di contravvenzione non era mai stato prodotto in atti di causa nella sua stesura originale, avendo l’amministrazione depositato soltanto il documento notificato al F. dalla predetta società privata.

La censura è inammissibile.

Il ricorrente, nella sua ipotesi ricostruttiva degli eventi, muove da una premessa di fatto evidentemente erronea: che, cioè, esistano due documenti distinti ed autonomi, il primo dei quali – costituente verbale di contravvenzione – redatto dagli operanti in occasione della contestazione della violazione o subito dopo, ed il secondo invece – non costituente vernale in senso tecnico – predisposto dalla società privata e notificato al trasgressore. Così non è: il giudice di merito, in proposito, chiarisce che il verbale di contravvenzione è uno soltanto, ovverosia quello predisposto dalla società sulla base degli elementi e dei dati comunicati dagli accertatori, in forza alla polizia locale del Comune di Torino. Decisivo, a tal riguardo, è il passaggio della motivazione contenuto a pag. 12 e s. della sentenza impugnata, in cui si afferma che “la provenienza dei dati immessi nel verbale meccanizzato n. (OMISSIS), stampato e spedito da Defendini s. r.l., è senz’altro attribuibile al Dott. B.F. – e conseguentemente alla Polizia Municipale di Torino – essendo indicato in calce al verbale quale responsabile del procedimento. Tale indicazione assolve quanto disposto dal D.Lgs. n. 39 del 1993, art. 3 comma 2… L’attività della Defendini s.r.l. è consistita in una mera operazione materiale, pienamente legittima secondo quanto esposto al punto 3 ed inidonea ad inficiare la provenienza dei dati. Il verbale notificato al F., contrariamente a quanto asserito dall’appellante, riporta in epigrafe l’intestazione Città di Torino, corpo di polizia municipale, nonchè l’indicazione “Ufficio verbali”, rendendo comprensibile icto oculi – e senza possibilità di errore – la provenienza dell’atto. Circa l’asserita mancanza dell’originale del verbale di accertamento formato il (OMISSIS) si rammenta che nel caso di infrazione stradale rilevata a distanza, il verbale d’accertamento redatto con sistemi meccanizzati per fini di notifica non richiede la sottoscrizione autografa dell’accertatore, che può essere sostituita dall’indicazione a stampa del nominativo del responsabile dell’atto, senza che occorra la formazione di un originale cartaceo firmato a mano e destinato a rimanere agli atti dell’ufficio (Cass. Civ. Sez. VI, sentenza n. 9815 del 13.5.2015)”.

Da quanto precede deriva che: 1) il verbale è uno soltanto, ovverosia quello notificato da Defendini s.r.l. al F.; 2) esso è completo di tutti gli elementi prescritti dalla legge, posto che reca l’intestazione dell’Autorità dalla quale proviene, gli elementi idonei ad identificare la trasgressione contestata, il contesto e le modalità con cui essa è stata rilevata, inclusi i nominativi degli accertatori, nonchè l’indicazione del responsabile del procedimento; 3) l’attività di Defendini s.r.l. è consistita in una mera operazione materiale, di trascrizione dei dati provenienti dal Comune su carta e di notificazione del verbale; 4) la contestazione della infrazione a distanza, e la redazione del relativo verbale in un momento successivo rispetto alla commissione del fatto, è ammessa dalla legge. Dal che discende l’inammissibilità della censura in esame, che finisce per non cogliere la vera ratio del rigetto della domanda del F., almeno nella misura in cui costui muove dall’erronea premessa secondo cui i documenti sarebbero due, e non invece -come in effetti è- uno soltanto.

Peraltro va rilevato che il Tribunale esamina anche il fatto che il verbale notificato al F. fosse privo di firma autografa perchè redatto con sistemi automatizzati, mentre quello prodotto dal Comune nel corso del giudizio di merito recava la firma autografa della Dott.ssa Buffa, ma ritiene la circostanza irrilevante, sul presupposto che “nulla impedisce alla pubblica amministrazione la redazione di due originali uno meccanizzato ed uno con sottoscrizione autografa, nel caso in cui, come quello che ci occupa, il contenuto dei documenti è identico, il dirigente responsabile è il medesimo, differendo soltanto la modalità di sottoscrizione, cosa che non ha arrecato in concreto alcun pregiudizio alla posizione ed ai diritti del F.”(cfr. pag. 15 della sentenza impugnata).

Con il terzo motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 6, comma 11, artt. 2699 e 2700 c.c., artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 5, perchè il giudice di merito non avrebbe rilevato che nel verbale di contestazione dell’infrazione mancavano tanto l’indicazione del motivo dell’omessa contestazione immediata, che la documentazione fotografica della violazione. Ad avviso del F., il documento notificatogli dalla Defendini s.r.l. non consentirebbe di superare la duplice mancanza, poichè esso non costituirebbe il verbale effettivo di contestazione dell’infrazione di cui è causa.

Anche questa censura, come la precedente, è inammissibile, posto che essa muove dal medesimo erroneo presupposto, rappresentato dalla supposizione che i documenti siano due, laddove invece – come già detto – vi è, nel caso di specie, un solo verbale, stampato e notificato da Defendini s.r.l. sulla base di dati provenienti dal Comune di Torino e di contestazioni rilevate dalla polizia municipale del predetto ente locale.

In aggiunta, è opportuno evidenziare che la sentenza impugnata dà atto – cfr. pag. 15 – che la contestazione immediata era stata impedita dalla velocità del veicolo, e che la presenza dell’agente accertatore accanto allo strumento automatico di rilevamento della velocità non era comunque necessaria. Come pure, evidenzia che il F. “non ha dato prova di aver tentato inutilmente l’accesso al materiale fotografico attestante la sua infrazione, essendo suo diritto chiederne la visione agli uffici competenti, come peraltro indicatogli nel verbale notificatogli” (cfr. pag. 10 della sentenza). Trattasi, nel primo caso, di un accertamento di fatto non utilmente censurabile in questa sede, e nel secondo di un passaggio motivazionale non specificamente attinto dalla censura in esame, che pertanto è inammissibile in relazione tanto al primo, che al secondo profilo.

Infine, con il quarto motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del D.M. n. 55 del 2014, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè il Tribunale avrebbe regolato le spese in misura eccessiva, addirittura superiore all’importo della contravvenzione oggetto di contestazione.

La censura è inammissibile.

Il ricorrente indica soltanto i valori medi della tariffa, ma non considera le massime percentuali di aumento ammesse dal D.M. n. 55 del 2014, art. 4. Poichè la norma consente espressamente l’applicazione di dette percentuali, la liquidazione delle spese in misura superiore al valore medio di riferimento indicato dalla tariffa non appare, di per sè, illecita. E’ peraltro opportuno precisare che i predetti limiti di aumento, che l’art. 4 prevede come “di regola” applicabili, possono anche essere superati dal giudice di merito, ovviamente sulla base di specifica motivazione. Il F., dunque, avrebbe potuto contestare soltanto la violazione dei massimi indicati dall’art. 4 in assenza di motivazione adeguata, ma non ha alcun titolo per lamentarsi del mero superamento dei valori medi.

Quanto invece al regime delle spese, le stesse sono state regolate secondo la regola della soccombenza, e dunque anche con riguardo a tale profilo la censura è del tutto inammissibile.

In definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile.

Nulla per le spese, in assenza di svolgimento di attività difensiva da parte intimata nel presente giudizio di legittimità.

Stante il tenore della pronuncia, va dato atto – ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.

PQM

la Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione seconda civile, il 14 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2021

 

 

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