Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3673 del 17/02/2010
Cassazione civile sez. un., 17/02/2010, (ud. 02/02/2010, dep. 17/02/2010), n.3673
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE CIVILI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARBONE Vincenzo – Primo Presidente –
Dott. ELEFANTE Antonino – Pres. di sezione –
Dott. MERONE Antonio – Consigliere –
Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –
Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –
Dott. FORTE Fabrizio – Consigliere –
Dott. MACIOCE Luigi – Consigliere –
Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –
Dott. BOTTA Raffaele – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso proposto da:
Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del Ministro pro
tempore, e Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliati in Roma, via dei Portoghesi 12,
presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e
difende per legge;
– ricorrenti –
contro
Calcio Monza S.p.A., in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via Cosseria 5, presso
l’avv. Romanelli Enrico che, unitamente all’avv. Gaffuri Gianfranco,
la rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;
– controricorrente –
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della
Lombardia (Milano), Sez. n. 27, n. 174/27/00, del 14 aprile 2000,
depositata il 27 settembre 2000, non notificata;
Udita la relazione svolta nella Pubblica Udienza del 2 febbraio 2010
dal Consigliere Dott. Raffaele Botta;
Udito l’avv. Paolo Gentili per l’Avvocatura Generale dello Stato;
Udito il P.G., nella persona dell’Avvocato Generale Dott. Domenico
Iannelli, che ha concluso per la dichiarazione di inammissibilità
del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La controversia concerne l’impugnazione di un avviso di rettifica con il quale veniva recuperato a tassazione il credito IVA esposto dalla SpA Calcio Monza nella dichiarazione per l’anno 1989.
La Commissione adita respingeva il ricorso, ma la decisione era riformata in appello, con la sentenza in epigrafe, che annullava l’avviso di rettifica. Contro tale provvedimento presentavano ricorso sia il Ministero dell’Economia e delle Finanze, sia l’Agenzia dell’entrate, con due motivi. Resisteva con controricorso la società Calcio Monza.
Su richiesta dell’Avvocatura generale dello Stato di estinzione del processo per avvenuta definizione della lite L. n. 289 del 2002, ex art. 16, la Quinta Sezione Civile di questa Corte, con ordinanza n. 25565 del 2009, rilevato, da un lato, che le disposizioni di cui alla L. n. 289 del 2002, artt. 8 e 9, sono state dichiarate in contrasto con l’ordinamento comunitario dalla Corte di Giustizia con sentenza del 17 luglio 2008 (in causa C-132/06), e, dall’altro, che la richiesta di estinzione del processo presentata dall’amministrazione ricorrente costituisce un ostacolo processuale all’esame del merito in ragione della conseguente inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, e ritenuto che la questione fosse questione di massima di particolare importanza ne ha rimesso l’esame alle Sezioni Unite della stessa Corte, ragione per la quale la causa è chiamata all’udienza odierna.
Diritto
MOTIVAZIONE
1. Con la sentenza del 17 luglio 2008 (in causa C-132/06), pronunciata in una procedura di infrazione promossa dalla Commissione Europea, la Corte di Giustizia ha ritenuto incompatibile la L. n. 289 del 2009, artt. 8 e 9 con l’art. 10 del Trattato e con gli artt. 2 e 22 della cd. sesta direttiva in materia di IVA. In particolare, la Corte di Giustizia ha rilevato che la L. n. 289 del 2002, artt. 8 e 9, pregiudicano “seriamente il corretto funzionamento del sistema comune dell’IVA …, introducendo rilevanti differenze di trattamento tra i soggetti passivi sul territorio italiano”, alterando “il principio di neutralità fiscale” e violando “l’obbligo di garantire una riscossione equivalente dell’imposta in tutti gli Stati membri” (par. 43-44). Le predette disposizioni, “introducendo una misura di condono appena dopo la scadenza dei termini entro cui i soggetti passivi avrebbero dovuto pagare PIVA e richiedendo il pagamento di un importo assai modesto rispetto a quello effettivamente dovuto”, consentono “ai soggetti passivi interessati di sottrarsi definitivamente agli obblighi ad essi incombenti in materia di IVA, anche se le autorità fiscali nazionali avrebbero potuto individuare almeno una parte di questi contribuenti durante i quattro anni precedenti alla data di prescrizione dell’imposta normalmente dovuta” (par. 52).
2. Il problema da affrontare è se la predetta sentenza comporti l’obbligo per il giudice nazionale di disapplicare, considerandole illegittime, le disposizioni della L. n. 289 del 2002.
La risposta non può che essere negativa, in quanto le norme considerate, da un lato, gli artt. 8 e 9, predetta legge – dichiarate incompatibili con il diritto comunitario dalla ricordata sentenza della Corte di Giustizia, la quale, peraltro, essendo pronunciata nell’ambito di una procedura di infrazione che prelude all’applicazione possibile di una sanzione deve essere interpretata restrittivamente – e dall’altro l’art. 16 della stessa legge, hanno tra esse, oggetti, scopi e rationes legis assolutamente diversi.
Le prime due concernono misure di definizione dell’imposta, la terza, invece, concerne misure di definizione delle liti pendenti, in funzione di una riduzione del contenzioso in atto, secondo parametri che non hanno alcun collegamento con la definizione dell’imposta (e in particolare con la tipologia delle varie imposte), ma rispondono a due criteri fondamentali: a) il valore della lite; b) l’esito parziale della lite medesima al momento della domanda di definizione, commisurando l’importo dovuto dal contribuente a seconda che al momento della presentazione della domanda di definizione della lite sia soccombente l’amministrazione, o il contribuente o non vi sia stata ancora pronuncia.
3. Emerge con tutta evidenza che la disposizione in esame non prevede alcuna rinuncia all’accertamento dell’imposta, il cui potere è già stato esercitato (ed è contestato nella sua legittimità), bensì esclusivamente autorizza l’amministrazione finanziaria a “transigere” l’esito (sempre incerto) della lite a determinate condizioni, che rappresentano i limiti dell’offerta di “disponibilità” alla transazione. Si tratta di una misura meramente deflativa del contenzioso in atto, che consente all’amministrazione di concludere in un modo comunque positivo (con un incasso) la propria contestata azione accertativa.
Sicchè non c’è, e non ci può essere, alcuna ragione per disapplicare la norma in esame, in conseguenza della pronuncia della Corte di Giustizia in ordine al conflitto tra la L. n. 289 del 2002, artt. 8 e 9 e la direttiva IVA. 4. Il perfezionamento della “transazione”, certificato dalla concorde richiesta delle parti, depositata in atti, che venga dichiarata l’estinzione del giudizio, determina, secondo il “diritto vivente”, la cessazione della materia del contendere, in conseguenza della quale il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, essendo venuto meno l’interesse alla definizione del giudizio e, quindi, ad una pronuncia sul merito dell’impugnazione, facendo venir meno il potere- dovere del giudice di pronunciare sull’originario thema decidendum (Cass. SU. nn. 368 del 2000; 78 del 2003; 14059 del 2004; Cass. nn. 6083 del 2002; 1205 del 2003; 11176 del 2004; 13565 e 14250 del 2005), Nel caso disciplinato dall’art. 16, L. n. 289 del 2002 è la stessa legge (comma 8) a stabilire che il provvedimento da adottare, quando la regolarità della definizione della lite sia attestata dall’amministrazione, è la dichiarazione di estinzione del processo.
In questo senso deve essere, pertanto, risolta la controversia in esame, con la compensazione delle spese tra le parti stante la soluzione transattiva, concordemente voluta dalle parti.
P.Q.M.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Dichiara estinto il processo. Compensa le spese.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 2 febbraio 2010.
Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2010