Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3672 del 16/02/2010

Cassazione civile sez. III, 16/02/2010, (ud. 10/12/2009, dep. 16/02/2010), n.3672

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente –

Dott. UCCELLA Fulvio – Consigliere –

Dott. CALABRESE Renato Luigi – Consigliere –

Dott. CHIARINI Maria Margherita – rel. Consigliere –

Dott. AMENDOLA Adelaide – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19461-2005 proposto da:

M.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA COSSERIA 5, presso lo studio dell’avvocato ROMANELLI GUIDO

FRANCESCO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

BURGHIGNOLI MASSIMO giusta procura speciale del Dott. Notaio SERGIO

TODISCO in MILANO 15/6/2005, rep. n. 164.919;

– ricorrente –

contro

IFG TETTAMANTI SPA IN LIQUIDAZIONE ED IN CONCORDATO PREVENTIVO,

G.F., B.F., REGIONE LOMBARDIA;

– intimati –

sul ricorso 24842-2005 proposto da:

G.F. (OMISSIS), B.F.

(OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA B. ORIANI

32, presso lo studio dell’avvocato DI MASI GIUSEPPE, che li

rappresenta e difende giusta delega in calce al controricorso e

ricorso incidentale;

– ricorrenti –

contro

GESTIONE LIQUIDATORIA AUSSL/(OMISSIS), GESTIONE LIQUIDATORIA

ISTITUTO

PROVINCIALE MATERNITA’, GESTIONE LIQUIDATORIA AUSSL/(OMISSIS),

REGIONE

LOMBARDIA;

– intimati –

sul ricorso 24843-2005 proposto da:

IFG TETTAMANTI SPA IN LIQUIDAZIONE ED IN CONCORDATO PREVENTIVO

(OMISSIS) in persona del liquidatore arch. G.F.

nonchè anche autonomamente e disgiuntamente del liquidatore

giudiziale dei beni Dott. G.U., elettivamente domiciliata

in ROMA, VIA B. ORIANI 32, presso lo studio dell’avvocato SCIUME’

ALBERTO, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato MERONI

MARISA giusta delega in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– ricorrente –

contro

G.F., GESTIONE LIQUIDATORIA AZD USSL/(OMISSIS),

GESTIONE LIQUIDATORIA ISTITUTO PROVINCIALE DI MATERNITA’, GESTIONE

LIQUIDATORIA AZD USSL/(OMISSIS), REGIONE LOMBARDIA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 3196/2004 della CORTE D’APPELLO di MILANO, 2^

SEZIONE CIVILE, emessa il 6/10/2004, depositata il 10/12/2004, R.G.N.

3650/2001;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/12/2009 dal Consigliere Dott. MARIA MARGHERITA CHIARINI;

udito l’Avvocato MASSIMO BURGHIGNOLI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GOLIA AURELIO che ha concluso per l’accoglimento p.q.r. del ricorso

principale e incidentale, rigetto nel resto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione dell’ottobre 1996 la U.S.L. n. 38 di Milano conveniva dinanzi al Tribunale la s.p.a. IFG Tettamanti, in liquidazione e in concordato preventivo, deducendo che nel procedimento penale n. 7698/94 e 3626/94 G.F. e B.F., rispettivamente amministratore delegato e socio della predetta, avevano confessato di aver corrisposto tangenti ad amministratori dell’ex Ospedale (OMISSIS) e dell’ex Istituto Provinciale di Maternità per ottenere l’aggiudicazione di appalti pubblici nel periodo tra il (OMISSIS). Pertanto chiedeva il risarcimento dei danni patrimoniali per l’illecita alterazione del prezzo degli appalti e del relativo mercato, e non patrimoniali per la lesione dell’immagine dell’Ente pubblico.

La s.p.a. IFG Tettamanti chiedeva il rigetto della domanda ed in subordine l’accertamento del concorso dei dipendenti della USL nella causazione del danno; in via riconvenzionale la condanna della USL (OMISSIS) a pagare i lavori di ristrutturazione per la stessa eseguiti, per L. 105.164.813.

Il Tribunale di Milano, respinta l’eccezione di difetto di giurisdizione e ritenuta la legittimazione della intervenuta gestione liquidatoria della USL (OMISSIS) anche in rappresentanza processuale della Regione Lombardia e dell’azienda USL (OMISSIS), accoglieva la domanda risarcitoria dei danni patrimoniali e non patrimoniali – determinandoli nella complessiva somma di L. 390 milioni, oltre agli interessi legali dal primo gennaio 1992, e rigettava la riconvenzionale per carenza di prova.

Con sentenza del 10 dicembre 2004 la Corte di appello di Milano, confermata la concorrente responsabilità di G.F. e di B.F. con la società IFG Tettamanti, e di costoro con i dipendenti USL nella misura del 50%, confermava il risarcimento del danno nella misura di L. 390 milioni a favore della Gestione liquidatoria della USL n. 75/3 di Milano e della Gestione liquidatoria IOPM, azienda USL 38, e, in accoglimento della domanda riconvenzionale della società IFG Tettamanti, condannava la Gestione liquidatoria della USL n. (OMISSIS) di Milano, la Gestione liquidatoria IOPM, l’azienda USL (OMISSIS), al pagamento, a favore dell’appaltatrice, di L. 105.164.813, oltre agli interessi legali dalle scadenze delle fatture al pagamento, sulle seguenti considerazioni: 1) l’ordinanza del 9 giugno 1999 di integrazione del 1 contraddittorio nei confronti della Regione Lombardia non ha natura decisoria avendo il primo giudice ritenuto comune la causa anche alla Regione ai sensi dell’art. 107 c.p.c. senza però pronunciarsi sulla legittimazione attiva della medesima, in assenza di dichiarazione di estinzione degli enti da parte del loro procuratore e senza estromissione di altre parti; 2) a seguito della soppressione dell’USSLL e dell’istituzione della Gestione Liquidatoria, e per effetto della successione normativa, con L. n. 31 del 1997 era stata istituita l’ASL di Milano, successore a titolo universale dei rapporti delle USSLL in liquidazione, ma in assenza di dichiarazione del suo procuratore, la causa proseguiva nei confronti dell’USL (OMISSIS) – pur spiegando effetti anche nei confronti dell’ASL – ed infatti la L. n. 724 del 1994, art. 6 aveva individuato nelle Regioni i successori dei rapporti obbligatori delle disciolte USSLL e prescritto l’istituzione di gestioni stralcio, poi gestioni liquidatorie ex L. n. 549 del 1995, conferendo ai direttori generali delle ASL la gestione commissariale di queste ultime per conto delle Regioni, di cui sono organi; 3) non vi era giurisdizione della Corte dei Conti per il concorso del comportamento illecito di privati e pubblici funzionar, consistito nella percezione di tangenti, perchè non si tratta di concorso con la responsabilità amministrativa e contabile di costoro, bensì di responsabilità civile, che non è sussidiaria, ed i relativi giudizi non sono perciò inscindibili, e poichè vi è domanda anche di graduazione delle responsabilità dei privati e degli agenti per ufficio opera il principio della solidarietà ai sensi dell’art. 2055 c.c. che non richiede la presenza di tutti i coobbligati in giudizio; 4) la domanda di responsabilità contrattuale era cumulabile con quella di responsabilità extracontrattuale e stante l’illiceità penale i danni risarcibili erano patrimoniali e non patrimoniali; 5) G. e B. avevano ammesso in sede penale di aver pagato tangenti, nella misura del 7% del valore degli appalti, nell’arco di dieci anni, nell’interesse della società IFG Tettamanti, a funzionarie amministratori di enti pubblici per ottenere l’aggiudicazione dei lavori presso l’ospedale (OMISSIS) e l’Istituto Provinciale di Maternità, alterando le gare a licitazione privata a favore della predetta società, e perciò sussisteva il reato di corruzione, e non di concussione, in mancanza di prova di pressioni degli agenti pubblici sulla società IFG Tettamanti per concederle l’appalto, e G. e B. erano corresponsabili con essa, che non aveva perso la capacità processuale per esser vistata ammessa al concordato preventivo; 6) valutate le prove civili e penali, i fatti erano esistenti e di essi i doveva rispondere la IFG Tettamanti ai sensi dell’art. 2049 c.c., così come in relazione all’art. 28 Cost.

sussisteva la responsabilità dell’ente pubblico per fatto del proprio dipendente nell’espletamento delle sue mansioni nel rapporto organico; 7) il pactum sceleris per la violazione dell’art. 318 c.p. comportava un’equiparazione tra agenti per ufficio e agenti per contratto e cioè tra funzionari pubblici e privati che svolgevano un’attività volta a realizzare il pubblico interesse, mentre il dolo egoistico del funzionario non è ostativo all’applicabilità dell’art. 2049 c.c. e art. 28 Cost.; 8) il concorso dei corresponsabili era da ritenere in pari misura sia per il danno patrimoniale che per quello morale; 9) la misura del danno liquidata dal giudice di primo grado – coincidente con quella della tangente, pari al 7% del valore dell’appalto perchè per superare la concorrenza mediante la corresponsione di essa l’importo dei lavori era da ritenere aumentato nella stessa misura, a cui doveva esser aggiunto, in via equitativa, un ricarico del 3% per recuperare il costo fiscale della tangente – era da confermare, non potendosi accogliere il metodo del calcolo matematico richiesto in appello perchè incerto in quanto dipendente da molteplici varianti; 10) la sentenza penale di patteggiamento non impediva l’accertamento del fatto e della sua illiceità in sede civile e quindi era ammissibile il risarcimento del danno a favore dell’ente pubblico – USSLL poi disciolte – perchè le tangenti sono state corrisposte prima della loro liquidazione e la lesione alla pubblica funzione assistenziale è autonoma rispetto al danno patrimoniale per la gestione irregolare dei propri funzionari, ed è distinta dal danno alla collettività;

11) l’acconto di L. trenta milioni corrisposto dal dott. R. sul danno per ottenere il patteggiamento della pena non poteva esser conteggiato essendo egli estraneo al presente giudizio; 12) la liquidazione del risarcimento a favore degli enti pubblici era stata determinata al momento della decisione della sentenza di primo grado e su di essa spettavano rivalutazione monetaria e interessi legali calcolati al complessivo tasso ponderale del 4% annuo a decorrere dalla data della sentenza di primo grado; 13) i lavori di ristrutturazione erano stati eseguiti presso la USL (OMISSIS) e quindi dovevano esser pagate L. 105.164.813 in base alle fatture.

Ricorrono per cassazione M.A., commissario liquidatore della Gestione Liquidatoria della USL (OMISSIS), il commissario liquidatore della Gestione Liquidatoria I.O.P.M. e quello della Gestione liquidatoria dell’azienda – U.S.L. (OMISSIS) di Milano, cui resistono G.F. e B.F. e la società IFG Tettamanti, in liquidazione, che hanno altresì proposto ricorso incidentale. Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Le parti hanno depositato memoria.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Preliminarmente, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., i ricorsi vanno riuniti.

1.1- Va pregiudizialmente esaminato il secondo dei motivi articolati dai ricorrenti incidentali G.F. e B.F. e dalla società IFG Tettamanti con il quale viene tralaticiamente reiterata l’eccezione di difetto di giurisdizione del G.O., già respinta in entrambe le pregresse fasi di merito, prospettandosi l’inerenza della presente controversia alla sfera di cognizione della Corte dei Conti.

1.2 – Il rilievo è manifestamente infondato.

Infatti, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la giurisdizione in materia di contabilità pubblica (comprensiva sia dei giudizi di conto che di quelli sulla responsabilità amministrativa patrimoniale) – sussistente, a norma dell’art. 103 Cost., comma 2, nei confronti di dipendenti di enti che maneggiano pubblico danaro (artt. 81, 82 83 R.G. 2440/1923, 43 R.G. 1038/1933, 44 e 52 R.G. 1214/1934; e nella specie L. n. 132 del 1968, artt. 27, 29 e 31; L. n. 833 del 1978, artt. 50 e 51 Corte dei Conti 234/1986;

S.U. 3375/1989, 3970/1993, 12708/1998, 1945/2002) – è indipendente dalla giurisdizione civile per il risarcimento dei danni derivanti da ‘ responsabilità contrattuale ed extracontrattuale anche quando il fatto materiale sia il medesimo (S.U. 5943/1993, 22277/2004, 20476/2005). Ed infatti da un lato la costituzione del rapporto processuale nei confronti dell’amministratore o impiegato pubblico è rimessa all’iniziativa del P.G. della Corte dei Conti, tutore dell’interesse generale alla conservazione e alla corretta gestione dei mezzi economici per l’esercizio dell’azione amministrativa e all’osservanza della legge e al corretto esercizio da parte dei pubblici dipendenti delle funzioni e del servizio loro affidati (responsabilità amministrativa patrimoniale di natura contrattuale) nonchè dell’interesse particolare dell’ente danneggiato. Dall’altro è da escludere che l’appalto a licitazione privata per la costruzione o ristrutturazione di un ospedale determini l’inserimento dell’impresa appaltatrice nell’esercizio di poteri organizzativi di natura pubblicistica della P.A. per lo svolgimento del pubblico servizio sanitario e dell’assistenza ospedaliera, presupposto necessario per la r conseguente giurisdizione contabile sulle controversie aventi ad oggetto il risarcimento del danno erariale per effetto di condotte illecite degli amministratori o soci della società appaltatrice (S.U. 22652/2008).

Pertanto correttamente è stata ritenuta sussistente la giurisdizione del giudice ordinario per l’accertamento della responsabilità civile della s.p.a. IFG Tettamanti e dei suoi organi.

2.- Con il primo dei quattro motivi in cui si articola l’impugnazione principale la difesa della Gestione Liquidatoria della USL (OMISSIS), della Gestione Liquidatoria I.O.P.M. e della Gestione liquidatoria dell’azienda U.S.L. (OMISSIS) di Milano, deduce: “Violazione dell’art. 2697 c.c.; insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalla parte”.

All’upo assume che a torto il costo di acquisizione della tangente era stato calcolato riduttivamente nella misura del 3% del valore dell’appalto. Invece il calcolo matematico fiscale domandato in primo grado era di circa il 15%, a cui doveva aggiungersi il ricarico di utile di impresa, almeno pari al costo sostenuto, e comunque pari ad un complessivo importo del 42,85% dell’ammontare dell’appalto indicato dal Tribunale per cui la motivazione sulla liquidazione equitativa era insufficiente.

Il motivo è infondato.

Va infatti ribadito che la valutazione equitativa del danno a norma dell’art. 1226 cod. civ. rimessa al potere discrezionale del giudice di merito, si concreta in una parziale “relevatio ab onere probandi” del creditore di fornire la dimostrazione del pregiudizio patrimoniale da i lui subito per impossibilità della relativa prova in base ad elementi oggettivi, ancorchè presuntivi.

Nella fattispecie, pacifica la mancanza di prova del costo fiscale della tangente in base all’esame delle voci dichiarate in bilancio dalla società IFG – anche per la ragione che la cd. contabilità in nero sfugge agli obblighi fiscali – è immune da vizi logici e giuridici la conferma dell’apprezzamento equitativo del giudice di primo grado per la liquidazione del danno derivato alle USSLL dal prezzo di appalto corrisposto in eccedenza.

2.- Con il secondo motivo; le stesse ricorrenti deducono: “Violazione del principio dispositivo (art. 99 c.p.c.); degli artt. 2049 e 2055 c.c.; insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalla parte”.

La fattispecie corruttiva del pubblico funzionario comporta la responsabilità dell’amministrazione ai sensi dell’art. 28 Cost. nei confronti dei terzi e non a favore dei danneggianti corruttori come diminuente del loro concorso causale, sicuramente maggiore di quello dei corrotti, potendo quelli recuperare sui prezzi i costi della corruzione neutralizzando il proprio danno e creandone un altro alla P.A., in aggiunta all’alterazione del procedimento per la scelta del contraente. Inoltre il dolo egoistico interrompe il nesso di causalità tra l’ente ed il funzionario. La Corte non spiega perchè nella corruzione vi è l’occasionalità necessaria nè perchè la società Tettamanzi è terza. Peraltro non avendo quest’ultima esercitato il regresso non poteva esser ripartita l’efficienza causale, in violazione del principio dispositivo. L’equiparazione tra agenti privati e pubblici è frutto di travisamento perchè la responsabilità della P.A. per fatto dei propri dipendenti è a favore dei terzi, non dei danneggianti, nè i funzionari percependo le tangenti hanno violato un diritto della Tettamanzi, ma soltanto della P.A. al buon andamento dell’amministrazione. Anche la motivazione sul maggior danno subito dalla P.A. è apparente perchè se mai giustifica il concorso nel reato, ma non l’apporto causale paritetico del danno essendo soltanto la P.A. la danneggiata.

Il motivo è infondato.

2.1- Va infatti ribadito, in tema di responsabilità della P.A. per fatto lesivo cagionato dall’operato dei suoi dipendenti, che non può essere esclusa la sussistenza del rapporto di occasionalità necessaria tra l’attività del dipendente e l’evento lesivo in presenza dell’eventuale abuso compiuto da quest’ultimo o dall’illegittimità anche penale del suo operato, qualora la condotta del dipendente medesimo si innesti, comunque, nel meccanismo dell’attività complessiva dell’ente, sì che il riferimento della condotta del dipendente alla P.A. può venire meno solo quando egli agisca come semplice privato, per un fine strettamente personale ed egoistico, ed il suo comportamento non sia perciò diretto al conseguimento di fini istituzionali che, in quanto propri della Amministrazione, possono anche considerarsi propri dell’ufficio nel quale il dipendente stesso è inserito (Cass. 2089/2008).

Conseguentemente il responsabile civile esser ricollegata ad un fatto reato dell’autore del danno, con la conseguenza che in tal caso al risarcimento dei danni non patrimoniali e tenuto non solo questi ma anche, in solido, il responsabile civile.

Pertanto l’ente pubblico committente di un appalto risponde direttamente della condotta dei suoi organi che partecipano alla procedura dell’aggiudicazione ed approvazione del contratto ove ne derivi la violazione della normativa che disciplina la corretta determinazione della misura del prezzo dei lavori per opere pubbliche a licitazione privata (ex legibus 14/1973, n. 584 del 1977, n. 741 del 1981 e successive modificazioni).

2.2- Qualora poi l’ente danneggiato agisca nei confronti dell’appaltatore, nell’ambito del rapporto giuridico con lo stesso instaurato, per il risarcimento del danno derivatogli dalla condotta illecita da questo perpetrata, il giudice deve indagare – anche d’ufficio, ma nella specie, come emerge dalla narrativa, la società IFG Tettamanti ne ha fatto espressa richiesta – in base agli atti acquisiti, in ordine alla eventuale cooperazione attiva dello stesso ente danneggiato – cui è direttamente riferibile, come detto, la condotta, anche dolosa, del suo funzionario od impiegato (nella specie nella fase deliberativa e di aggiudicazione dei contratti di appalto) – a norma dell’art. 41 cod. pen. (Cass. 18544/2009, 5127/2004), con conseguente riduzione della responsabilità civile del danneggiante ai sensi dell’art. 1227 c.c., comma 1, – richiamato dall’art. 2056 cod. civ. per quella extracontrattuale (Cass. 564/2005, 4954/2007) – ove i comportamenti dell’uno e dell’altro abbiano determinato una situazione tale che, senza uno di essi, l’evento non si sarebbe verificato (art. 40 cod. pen.) e che nel reato di corruzione – contestato nei procedimenti penali – l’accordo illecito è raggiunto su un piano di sostanziale parità delle parti.

A questi principi si è attenuta la Corte di merito nel considerare equivalenti le condotte dolose dell’appaltatore e del committente nella causazione del danno e pertanto il motivo va respinto.

3.- Con il terzo motivo del ricorso in esame si deduce: “Violazione del principio dispositivo e della L. n. 584 del 1977; insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia prospettato dalla parte”.

La gestione liquidatoria ha contestato la prova dell’esecuzione delle opere non essendo all’uopo sufficienti le fatture e ha eccepito il difetto della procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, con conseguente nullità del contratto. Infatti la possibilità di trattativa per lotti successivi ad un primo appalto era condizionata alla conformità al progetto esecutivo generale unitario anche finanziariamente, aggiudicato secondo le procedure stabilite e con l’espressa previsione di tale possibilità di affidamento. Invece nella fattispecie la tacita rinnovazione era uno dei corrispettivi delle tangenti corrisposte. Perciò la nullità del contratto era rilevabile anche d’ufficio ed il compenso tutt’al più poteva esser richiesto per indebito arricchimento.

Il motivo è fondato.

Va infatti ribadito che l’elusìone delle garanzie di sistema a presidio dell’interesse pubblico (nella specie aggiudicazione dell’appalto a licitazione privata) prescritte dalla legge per l’individuazione del contraente privato più affidabile e più tecnicamente organizzato per l’espletamento dei lavori, comporta la nullità del contratto per contrasto con le relative norme inderogabili (L. n. 14 del 1973, L. n. 584 del 1977, L. n. 741 del 1981, L. n. 687 del 1984). Se poi la violazione di dette norme è stata altresì preordinata alla conclusione di un contratto le cui reciproche prestazioni sono illecite e la cui condotta è assolutamente vietata alle parti e penalmente sanzionata nell’interesse pubblico generale – che nel reato di corruzione è il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione – la nullità per contrasto con norme imperative sussiste anche sotto tale ulteriore profilo, e deve esser dichiarata onde impedire che dalla commissione del reato derivino ulteriori conseguenze.

Pertanto va accolto il motivo e non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa può decidersi nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2, in parte qua dichiarandosi nullo il contratto di appalto in esame e conseguentemente non dovuti, dagli enti, i compensi sulla base di questo erroneamente riconosciuti dall’impugnata sentenza alla società IFG Tettamanti.

4.- Deducono, infine, le ricorrenti principali: “nullità della sentenza per omessa pronunzia sulla statuizione accessoria degli interessi”.

La sentenza impugnata – lamentano – non specifica se la rivalutazione e gli interessi sulla somma risarcitoria sono stati liquidati per il periodo successivo alla sentenza di primo grado, fermi gli interessi legali da questa liquidati, ovvero se la pronuncia di secondo grado ha riformato la sentenza di primo grado. Ancora sulle somme riconosciute alla Tettamanzi non è chiaro se gli interessi legali dalle singole scadenze sono quelli speciali o quelli del c.c. (art. 1284 c.c.).

La prima censura è infondata perchè, come emerge dalla sentenza impugnata – punto 12 della motivazione riassunta in narrativa – i giudici di appello, interpretando la liquidazione del danno effettuata dal giudice di primo grado come riferita al momento della relativa decisione, ha conseguentemente da tale momento riconosciuto interessi e rivalutazione sul complessivo ammontare ed ha conseguentemente annullato il riconoscimento dei soli interessi come invece calcolato dalla sentenza di primo grado.

La seconda censura è assorbita dall’accoglimento del motivo che precede e dalla cassazione del relativo capo di sentenza.

5.- Con il primo motivo i ricorrenti incidentali G. F. e B.F. e la società IFG Tettamanti deducono:

“Sulla sentenza non definitiva del Tribunale in punto di legittimazione attiva e sulla diversa …., statuizione assunta con sentenza definitiva: nullità della sentenza per violazione del giudicato interno e per omessa, insufficiente e comunque contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia rappresentato dalla predetta questione pregiudiziale”.

Premettono che il Tribunale si era pronunciato sulla carenza di legittimazione attiva dell’Azienda USL n. (OMISSIS) di Milano e della terza intervenuta gestione liquidatoria (OMISSIS) con sentenza non definitiva, ritenendo unica legittimata all’azione proposta la Regione Lombardia di cui aveva ordinato la chiamata in causa stante la non riconoscibilità dei danni a favore di persone giuridiche estinte, e sostengono che tale provvedimento, ancorchè avente forma di ordinanza, aveva natura di sentenza non definitiva su detta questione pregiudiziale, sì che il Tribunale non poteva con la sentenza definitiva affermare la legittimazione della Gestione Liquidatoria precedentemente negata. Conseguentemente sarebbe stato violato il giudicato interno da parte della sentenza di secondo grado che ha confermato la legittimazione della gestione.

5.1- Erroneamente – aggiungono – la Corte di merito ha negato che il Tribunale si sia espresso sulla questione della legittimazione attiva delle Regioni avendo in esse individuato il successore a titolo particolare delle posizioni attive e passive degli enti disciolti e ne aveva ordinato la chiamata in causa ai sensi dell’art. 107 c.p.c..

5.2- Sotto altro profilo sostengono che l’ordinanza sia censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa, insufficiente e comunque contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia rappresentato dalla natura del provvedimento pronunciato.

5.3 – Le censure sono infondate.

La questione della chiamata in causa del soggetto legittimato ad agire non è pregiudiziale attinente al processo ai sensi dell’art. 279 c.p.c., nnn. 2 e 4 perchè idonea a definire il giudizio, disponendo invece la prosecuzione nei suoi confronti. Pertanto il provvedimento in proposito emesso dal giudice ha in ogni caso contenuto e natura meramente ordinatori non avendo nessun contenuto definitorio, in rito, del giudizio. Conseguentemente esso non può mai configurare sentenza non definitiva suscettibile di impugnazione o, in difetto, di passaggio in giudicato (Cass. 13104/2004).

Pertanto il motivo va respinto.

6).- Lamentano ancora gli stessi ricorrenti incidentali:

A) “Carenza dell’editio actionis e inammissibilità del cumulo alternativo di domande”.

La domanda attorea è rimasta indeterminata in relazione ai titoli di responsabilità e perciò doveva esser dichiarata inammissibile e quindi la sentenza impugnata è censurabile ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4. Ulteriore aggravio è costituito dalla chiamata in causa degli esponenti e dalla domanda di condanna solidale o alternativa degli stessi senza indicare il criterio di scelta dell’una o dell’altra richiesta che perciò è rimasta affidata alla discrezionalità del giudice. Su tale inammissibile cumulo alternativo la Corte di merito non si è pronunciata.

La censura è inammissibile.

Ed infatti, rimesso al giudice di merito il potere di interpretazione e qualificazione della domanda avendo riguardo al contenuto sostanziale della pretesa come desumibile dalla situazione dedotta in causa e dalle eventuali precisazioni formulate nel corso del giudizio, nonchè dal provvedimento richiesto in concreto, senza altri limiti che quello di rispettare il principio della corrispondenza della pronuncia alla richiesta, e di non sostituire d’ufficio una diversa azione a quella formalmente proposta, la Corte di merito ha affermato che le domande proposte erano sìa per responsabilità contrattuale che extracontrattuale e che la richiesta disgiuntiva di condanna solidale o alternativa dei convenuti rientrava nella valutazione di dette domande, in tal modo uniformandosi al principio secondo il quale, in tale operazione ermeneutica, occorre aver riguardo all’interesse del creditore alla realizzazione delle proprie aspettative che il vincolo solidale può tutelare più i pienamente. Non avendo i ricorrenti incidentali ottemperato all’onere di trascrivere il contenuto della domanda e di indicare quali canoni ermeneutici sono stati violati nell’esercizio dei suddetti poteri di merito, conformi a diritto, la censura non può esser esaminata.

E formulano ulteriori doglianze:

B). “Sul preteso accertamento dei fatti alla luce della c. atipicità della prova acquisita in sede penale, raffrontata con la mancata contestazione in sede civile”.

Le prove atipiche acquisite nel procedimento penale che possono esser considerate in altro giudizio sono soltanto quelle raccolte in sede dibattimentale mentre sono preclusi gli elementi emersi in sede di indagine preliminare. Peraltro le dichiarazioni stragiudiziali sfavorevoli a colui che le ha pronunciate rilevano come meri argomenti di prova e criterio di valutazione di essa soltanto se rivolte alla controparte mentre il Procuratore della Repubblica è un soggetto estraneo.

Le stesse censure sono state reiterate dinanzi alla Corte di merito.

Il motivo è inammissibile.

Ed infatti, avendo la sentenza impugnata affermato che la dazione di tangenti nell’interesse della IFG Tettamanti da parte di G. e B. è incontroversa, la reiterata doglianza si risolve in un’inammissibile richiesta di una diversa valutazione di tali dichiarazioni.

C.- Sulla “censurabilità della sentenza per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia”.

La Corte ha affermato che la non contestazione di tale dazione in sede civile comporta la prova di essa, affermando altresì che la mancata partecipazione al giudizio penale della IFG non rileva perchè risponde dei relativi fatti ai sensi dell’art. 2049 c.c., ma la società aveva contestato il versamento delle tangenti e comunque l’accertamento dell’illecito nei confronti dei domestici e commessi non è automaticamente vincolante nei confronti del datore di lavoro.

La censura, formulata da G. e B., è inammissibile (art. 81 cod. proc. civ.), mentre è infondata per la società IFG Tettamanti avendo i giudici di merito accertato che G. e B., inseriti nell’organizzazione della società, avevano da molti anni assunto un ruolo determinante nelle trattative per favorire l’aggiudicazione degli appalti alla stessa che della loro opera si era perciò avvalsa e alla quale conseguentemente dovevano esser imputate le conseguenze giuridiche.

D.- “Sulla qualificazione dei non provati fatti come reato di corruzione anzichè di concussione. Contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia”.

Erroneamente la Corte ha considerato l’illecita dazione di tangenti come corruzione anzichè concussione mentre essi avevano dichiarato che dal 1980 i pubblici amministratori abusavano delle loro cariche e poteri avanzando pretese e richieste in danno degli imprenditori, che ricattavano.

Ed infatti da un lato la Corte ha riconosciuto valore probatorio alle dichiarazioni di G. e B., dall’altro non ha considerato che essi avevano negato di aver corrotto funzionari e sul punto sussiste la contraddittoria motivazione.

Il motivo è infondato.

Rilevato infatti che ai fini della configurabilità del reato di concussione cd. “ambientale” (e della sua differenziazione rispetto al reato di corruzione) non è sufficiente l’accertamento di una situazione ambientale in cui sia diffuso il mercanteggiamento dei pubblici poteri e la pratica della cd. “tangente” (ben potendo il cittadino approfittare dei meccanismi criminosi in atto per lucrare vantaggi illeciti, divenendo anch’egli protagonista del sistema), i ricorrenti neppure prospettano quali prove siano emerse di una situazione caratterizzata dalla volontà prevaricatrice e condizionante in capo al pubblico ufficiale che sì estrinsechi in una condotta di costrizione o di induzione qualificata, ossia prodotta con l’abuso della qualità o dei poteri, causa della dazione indebita, sì da poter configurare il diverso reato di concussione.

E.- “Sulla graduazione di responsabilità negli illeciti contro la pubblica amministrazione. Ammissibilità ed infondatezza delle avversarie censure. Violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c. Insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia”.

La responsabilità tra amministratori e privati non è paritetica, avendo i primi hanno doveri istituzionali a salvaguardia del buon andamento ed imparzialità della P.A. e quindi hanno una responsabilità maggiore di questi. Quindi non è stata considerata la rispettiva gravità della colpa.

Il motivo è assorbito dal rigetto del secondo motivo dei ricorrenti principali.

F.- Sulla mancata prova del danno patrimoniale. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2043 c.c. e dell’art. 2697 c.c.”.

La società aveva evidenziato che i prezzi praticati per l’appalto erano quelli dei listini delle CCIIAA ribassati dall’offerta d’asta oppure contenuti nei capitolati individuati dall’amministrazione, mentre la Corte ha presunto il danno, in violazione dell’art. 2043 c.c., in relazione all’art. 2697 c.c., e se gli stessi listini erano gonfiati non ci sarebbe nesso causale tra le tangenti ed il danno subito.

Il motivo è infondato.

Premesso infatti che la prova del giusto prezzo dei lavori appaltati all’epoca alla IFG Tettamanti non poteva esser desunta da listini riferibili agli appalti privati poichè per i contratti di appalto con gli enti pubblici i prezzi di beni e servizi sono indicati in apposite tabelle periodicamente redatte da commissioni nell’interesse della finanza pubblica (D.L.C.P.S. n. 1501 del 1947, art. 1) elaborate sulla base della somma dei prezzi delle varie categorie di essi, in mancanza di prove specifiche legittimamente la quantificazione del danno è stata effettuata assumendo come parametro l’ammontare delle somme di denaro corrisposte quale corrispettivo della corruzione, confessato da G. e B..

G.- “Sull’ingiusto risarcimento del danno non patrimoniale. Vizio di extrapetita commesso dalla Corte di appello nella parte in cui ha riconosciuto il danno non patrimoniale subito dai disciolti enti mutualistici”.

Il danno lamentato era la lesione alla pubblica funzione assistenziale che quindi non si sarebbe verificato in capo agli ex enti assistenziali, ma alla funzione cui le strutture erano deputate;

questo però non è un interesse giuridicamente protetto ossia un interesse sociale tutelato penalmente e la Corte ha invece riconosciuto il danno non patrimoniale di detti enti.

Il motivo è infondato.

Correttamente la Corte di merito ha ravvisato la lesione dell’immagine degli enti pubblici derivata dal discredito sociale degli stessi nella considerazione collettiva in conseguenza della violazione del bene giuridico, costituzionalmente tutelato, dell’imparzialità e del buon andamento dell’amministrazione, leso da provvedimenti adottati per interessi privati anzichè della collettività, in violazione dei doveri di ufficio e di norme penali.

10. Sulla violazione dell’art. 2043 c.c. per omessa considerazione del clamor fori. Omessa, insufficiente e comunque contraddittoria motivazione sul punto della controversia rappresentato dalla intervenuta estinzione dei disciolti enti mutualistici nel momento della verificazione del clamor fori”.

Il danno non patrimoniale è stato correlato non alla condotta illecita, ma al clamor fori, verificatosi quando i ormai le strutture sanitarie ove operavano i pubblici funzionari erano estinte e quindi non vi era danno all’immagine e comunque non poteva trasmettersi iure successionis come per la lesione del bene della vita, non configurabile allorchè il soggetto è estinto, e al riguardo sussiste sia la violazione dell’art. 2043 c.c. sia quella dell’art. 360 c.p.c., n. 5. In merito la Corte sì è limitata ad affermare che le tangenti sono state corrisposte prima della liquidazione delle USSLL. Il motivo, inammissibile nella parte in cui sollecita una nuova valutazione del danno non patrimoniale, è infondato.

Infatti, poichè per effetto della L. n. 724 del 1994, art. 6 le gestioni liquidatorie fruiscono della soggettività dell’ente soppresso (prolungata durante la fase liquidatoria), la soggettività della USL soppressa continua nella gestione per tutta la fase liquidatoria, e pertanto permane la titolarità dei rapporti giuridici costituiti con la originaria unità sanitaria fino alla loro definizione (S.U. 8434/2004).

1.- Su “l’importo versato in sede penale per ottenere il provvedimento di applicazione della pena su richiesta.

Contraddittoria motivazione”.

Il R. aveva versato L. 30 milioni a titolo di acconto sul maggior danno subito dall’amministrazione e pur se egli non è un giudizio è tuttavia un pagamento di cui possono avvalersi gli altri condebitori solidali.

Il motivo è fondato.

Il pagamento, da parte di uno dei condebitori, di una somma per risarcire il danno fondato sul medesimo titolo e avente il medesimo oggetto, determina l’estinzione “ipso iure” dell’obbligazione, entro i limiti del pagamento effettuato, nei confronti di tutti gli altri coobbligati (ai sensi dell’art. 1292 cod. civ.), poichè la responsabilità plurisoggettiva, riferendosi al medesimo fatto dannoso, non incide sull’entità complessiva del risarcimento conseguibile che è limitato, comunque, al danno effettivamente cagionato (Cass. 11039/2006).

Pertanto dalle somme liquidate dalla Corte di merito devono esser detratte L. 30 milioni, imputandole alla somma capitale liquidata per il danno, con gli interessi legali a decorrere dalla data della effettiva corresponsione. In tal senso può decidersi la causa anche su tale punto, nel merito previa cassazione della contraria statuizione della Corte di Appello.

Si confermano le spese liquidate in primo e secondo grado e per la complessità e novità di alcune questioni dibattute in questa sede, avuto altresì riguardo all’esito complessivo della lite, si compensano le spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il terzo motivo dei ricorsi principali e l’ultimo degli incidentali, respinti gli altri. Cassa in relazione ai motivi accolti e, decidendo nel merito, ex art. 384 cod. proc. civ., rispettivamente dichiara: a) non dovuti i compensi alla s.p.a. IGM Tettamanti per i lavori eseguiti in base a contratto nullo stipulato con la USL 38; b) detraibile dall’importo risarcitorio liquidato a favore degli enti pubblici la somma di L. trenta milioni, con gli interessi legali dalla data del versamento, in acconto a tale titolo, dal condebitore R.. Conferma la liquidazione delle spese dei precedenti gradi di giudizio e compensa le spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 10 dicembre 2009.

Depositato in Cancelleria il 16 febbraio 2010

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