Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 367 del 10/01/2017

Cassazione civile, sez. VI, 10/01/2017, (ud. 21/10/2016, dep.10/01/2017),  n. 367

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. PICARONI Elisa – rel. Consigliere –

Dott. ABETE Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11193/2015 proposto da:

AVV. S.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PILO

ALBERTELLI 1, presso lo studio dell’avvocato LUCIA CAMPOREALE,

rappresentato e difeso da sè medesimo;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende ope legis;

– resistente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, emesso il

07/07/2014 e depositato il 03/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/10/2016 dal Consigliere Relatore Dott. ELISA PICARONI.

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che la Corte d’appello di Roma, con decreto depositato il 3 novembre 2014, ha rigettato l’opposizione della L. n. 89 del 2001, ex art. 5-ter, proposta dall’avv. S.S. e ha confermato il decreto del Consigliere designato, che aveva rigettato la domanda di equa riparazione proposta dal medesimo avv. S. nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, per la durata non ragionevole del giudizio amministrativo svoltosi dinanzi al Consiglio di Stato, introdotto nel 2002 e deciso nel 2012 con ordinanza di improcedibilità;

che il giudizio presupposto aveva ad oggetto la revocazione dell’ordinanza con cui il Consiglio di Stato aveva rigettato l’appello proposto avverso il diniego di sospensiva di sanzione disciplinare, pronunciato dal TAR per la Campania – Napoli, e aveva dichiarato inammissibile l’istanza di ricusazione a carico di componenti del Consiglio di Stato;

che il giudizio cui accedevano le domande indicate si era concluso con la sentenza del predetto TAR n. 1677 del 2001, che ne aveva dichiarato l’estinzione per rinuncia del ricorrente;

che, secondo la Corte d’appello, l’estinzione del giudizio di cognizione aveva determinato la cessazione dell’interesse della parte anche ad ottenere la pronuncia incidentale su qualsiasi sub-procedimento meramente strumentale alla pronuncia sul merito, sicchè il giudizio di revocazione non aveva potuto provocare il paterna d’animo rilevante ai fini dell’equa riparazione;

che per la cassazione del decreto l’avv. S. ha proposto ricorso sulla base di due motivi, anche illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..

che il Ministero dell’economia e delle finanze ha depositato atto ai fini della eventuale partecipazione all’udienza.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che il Collegio ha deliberato l’adozione di una motivazione in forma semplificata;

che il ricorso è affidato a due motivi, con i quali si denuncia: 1) violazione e falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, artt. 2 e 2-bis – nel testo novellato dalla L. n. 134 del 2012 – e art. 6, par. 1 della CEDU, sul duplice rilievo che la carenza originaria o sopravvenuta di interesse alla causa potrebbe essere rilevata soltanto dal giudice del giudizio presupposto, e che il venir meno dell’interesse alla pronuncia di merito in sede di cognizione piena non travolgerebbe l’interesse della parte alla pronuncia incidentale; 2) violazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, per mancata considerazione e omessa pronuncia sui motivi di opposizione;

che la doglianza prospettata con il primo motivo è infondata;

che si deve ribadire il principio, più volte affermato dalla giurisprudenza di questa Corte suprema, secondo cui, in tema d’irragionevole durata del processo, l’elenco di cui alla L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2 quinquies, non è tassativo, e perciò l’indennizzo può essere negato a chi abbia agito o resistito temerariamente nel giudizio presupposto, anche in assenza della condanna per responsabilità aggravata, a cui si riferisce la lett. a), potendo il giudice del procedimento di equa riparazione, già prima delle modifiche di cui alla L. n. 208 del 2015, autonomamente valutare la temerarietà della lite, come si desume, peraltro, dalla lett. f), che attribuisce carattere ostativo ad ogni altra ipotesi di abuso dei poteri processuali (ex plurimis, Cass., sez. 6-2, sent. n. 9100 del 2016);

che, in applicazione del richiamato principio, la Corte d’appello ha escluso nella specie la sussistenza del diritto all’equa riparazione sul rilievo che la pendenza del giudizio presupposto non aveva potuto cagionare alcun paterna d’animo nel ricorrente, per carenza di interesse originaria;

che la valutazione espressa dalla Corte d’appello risulta condivisibile, configurandosi una ipotesi paradigmatica di abuso del processo nella proposizione di un giudizio di revocazione del provvedimento con cui siano state decise questioni endoprocessuali – nella specie, cautelare e di ricusazione – che non siano più attuali, essendo stato definito il giudizio di merito nel quale quelle questioni si erano poste (istanza cautelare di sospensiva) o dal quale erano scaturite (istanza di ricusazione);

che in casi siffatti manca l’attualità dell’interesse ad agire, che si identifica nella situazione di incertezza avente ad oggetto il bene della vita oggetto della pretesa di merito, e necessariamente trascende il piano di una mera prospettazione soggettiva (ex plurimis, Cass., sez. 2, sent. n. 5635 del 2002);

che non sussiste il vizio di omessa pronuncia denunciato con il secondo motivo di ricorso, poichè la Corte d’appello, dopo avere chiarito di non poter sindacare il merito dell’ordinanza del Consiglio di Stato, ha motivato il rigetto dell’opposizione rilevando che non sussisteva un interesse tutelabile alla definizione del giudizio presupposto, e tale rilievo contiene l’implicito rigetto di ogni questione con esso incompatibile;

che il ricorso è rigettato e non si pronuncia sulle spese di lite, in assenza di attività difensiva dell’intimato Ministero;

che, risultando dagli atti del giudizio che il procedimento in esame è considerato esente dal pagamento del contributo unificato, non si deve far luogo alla dichiarazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 2, della Corte Suprema di Cassazione, il 21 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 10 gennaio 2017

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