Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3667 del 15/02/2011

Cassazione civile sez. un., 15/02/2011, (ud. 07/12/2010, dep. 15/02/2011), n.3667

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VITTORIA Paolo – Primo Presidente aggiunto –

Dott. TRIOLA Roberto Michel – Presidente di Sezione –

Dott. D’ALONZO Michele – rel. Consigliere –

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Consigliere –

Dott. MAZZIOTTI DI CELSO Lucio – Consigliere –

Dott. GOLDONI Umberto – Consigliere –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Comune di Pistoia, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in Roma al Lungotevere Flaminio n. 46 (“Palazzo 4^, scala

B”) presso lo studio del Dr. Gian Marco Grez insieme con l’avv.

CHIERRONI Vittorio (del Foro di Firenze) che lo rappresenta e difende

in forza della “procura” rilasciata a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

la s.r.l. Agraria Checchi Silvano & C., in persona del

Legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma alla

Via Taranto n. 44 presso lo studio dell’avv. CORSO Micaela insieme

con l’avv. Fabrizio TESI (del Foro di Pistoia) che la rappresenta e

difende in forza della “procura” rilasciata in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 51/36/07 depositata il 4 febbraio 2008 dalla

Commissione Tributaria Regionale della Toscana;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 7 dicembre 2010

daL Cons. Dr. Michele D’ALONZO;

sentite le difese delle parti, svolte dall’avv. Vittorio CHIERRONI,

per il Comune, e dall’avv. Lanata (delegato), per la società;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dr.

IANNELLI Domenico, il quale ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso notificato alla s.r.l. Agraria Checchi Silvano & C, il Comune di Pistoia – premesso che con “avviso di accertamento” notificato il 4 luglio 2003 aveva contestato a detta società (che con atto del 23 dicembre 1998 aveva incorporato la srl Bonelliana) (1) l'”omessa denuncia ai fini ICI della società incorporata … al fine di dichiarare la cessazione del possesso degli immobili” e (2) la “determinazione”, quanto all’ICI da versare per gli anni dal 1998 al 2000, “della base imponibile del fabbricato di classe D in base al valore contabile dello stesso, anzichè ex art. 5, comma 4, in base a rendita presunta in quanto il fabbricato era già munito di rendita” (“determinata del D.Lgs. 18 dicembre 1997, ex art. 13” senza numero) -, in forza di cinque motivi, chiedeva di cassare la sentenza n. 51/36/07 (depositata il 4 febbraio 2008) con la quale la Commissione Tributaria Regionale della Toscana aveva recepito l’appello della contribuente avverso la decisione (222/03/04) della Commissione Tributaria Provinciale di Pistoia che (“salvo determinare l’applicazione delle sanzioni nella misura del 50%”) aveva respinto il ricorso.

Nel proprio controricorso la società intimata instava per la reiezione dell’impugnazione.

Con ordinanza interlocutoria depositata il 21 maggio 2010 la sezione tributaria della Corte disponeva la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’assegnazione della causa a queste sezioni unite avendo ravvisato sussistere un contrasto nella giurisprudenza della sezione in ordine all’oggetto della controversia.

Il Comune depositava due memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

p. 1. La sentenza impugnata.

La Commissione Tributaria Regionale premette:

(1) l'”avviso di accertamento” impugnato ha ad oggetto (a) l'”omessa denuncia e pagamento ICI 1998 relativamente ad un immobile ricevuto con atto di fusione” e (b) il “minore versamento del tributo dovuto al fatto che la base imponibile del fabbricato in categoria D era stata determinata con il sistema dei valori contabili, nonostante che l’immobile risultasse già censito in catasto da vari anni”;

(2) “i primi giudici … hanno confermato la contestazione del Comune in ordine all’errato conteggio dell’imposta dell’immobile di categoria D, in quanto calcolata sul costo storico, anzichè sulla rendita catastale, essendo l’immobile iscritto in catasto fin dal 1990”;

(3) con il suo appello la contribuente ribadisce (a) che “tramite la propria incorporata società Bonellina s.r.l., precedente proprietaria del fabbricato oggetto dell’ICI contestata, lo aveva sempre dichiarato in base al valore indicato nelle scritture contabili ed annualmente rivalutato” e b) che “il fabbricato era sprovvisto di rendita catastale definitiva” (essendo stata “questa … notificata alla società solo nel 2003”, “con conseguente irretroattività della rendita catastale definitiva notificata dopo il 2000”) per cui “doveva … ritenersi corretta, da parte della società contribuente, la determinazione dell’imponibile ICI facendo riferimento al valore contabile annualmente rivalutato, trattandosi di fabbricato di categoria D, senza rendita catastale definitiva, posseduto per intero da impresa e distintamente contabilizzato”;

(4) il Comune ha proposto “appello incidentale contro il capo della sentenza che riduce la sanzione irrogata”.

Tanto esposto, la Commissione ha accolto l’appello della contribuente osservando:

“la sentenza della Corte Costituzionale n. 67 del … 2006 ha …

sancito che per i fabbricati ancora privi di rendita catastale e classificabili nel gruppo catastale D, ove interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, è corretto che la base dell’ICI sia costituita dal valore che risulta dalle scritture contabili, rivalutato secondo i coefficienti di legge, soggetti ad aggiornamento con decreto del Ministero delle Finanze”.

p. 2. Il ricorso del comune.

L’ente territoriale impugna la decisione con cinque motivi.

A. Con il primo il ricorrente – assunto aver “depositato … appello incidentale” contenente le seguenti “deduzioni difensive”; (1) “il valore contabile quale base imponibile non può essere validamente adottato per i immobili di classe D già censiti in catasto dal 1987, poichè tale valore è applicabile solo per gli immobili non censiti D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 5, comma 3” e (2) non avendo “la società incorporata … fatto la dovuta dichiarazione fiscale” sebbene “obbligata in tal senso”, “si deve ritenere applicabile …

il disposto del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 14 … di tal che erroneamente la commissione provinciale ha abbattuto l’importo dell’imposta del 40%” – denunzia “violazione dell’art. 112 c.p.c.” “omessa pronuncia”) in ordine alla ®doglianza pretermessa dal decisum … relativa ad un aspetto sanzionatorio del tutto autonomo e diverso da quello relativo all’erronea dichiarazione del valore imponibile ai fini ICI”, esponendo che lo stesso giudice di appello si è “preoccupa(to) di chiarire” (“nella parte in fatto”) che esso “Comune” ha proposto “appello incidentale contro il capo della sentenza che riduce la sanzione irrogata”; a conclusione il ricorrente formula il “quesito”: “può dirsi nulla per omessa pronuncia una sentenza del giudice tributario di appello che accolga solamente l’appello principale del contribuente proposto in relazione ad un capo della sentenza del giudice di primo grado relativo a conferma di sanzione irrogata dall’Ente impositore a titolo di versamento parziale per violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, commi 3 e 4, laddove anche l’Ente impositore aveva proposto appello incidentale avverso la stessa pronuncia di primo grado per la parte relativa alla statuita riduzione della sanzione comminata al contribuente per il diverso illecito di omessa dichiarazione da parte della società incorporata per fusione ex ari. 2504 bis c.p., e, se su tale appello incidentale nulla è deciso nella sentenza di secondo grado?”.

B. Con il secondo motivo – “precauzionalmente formulato” per l’ipotesi in cui “non si ritenga di considerare quale motivo di nullità della sentenza … quanto … dedotto” nei primo motivo di ricorso – l’ente territoriale denunzia ancora “violazione dell’art. 112 c.p.c.” (“omessa pronuncia su uno specifico punto di gravame”) chiedendo (“quesito”):

“può dirsi viziata per violazione dell’art. 112 c.p.c., sotto il profilo dell’omissione di pronuncia su uno specifico punto oggetto di gravame una sentenza del giudice tributario di appello che accolga solamente l’appello principale del contribuente proposto in relazione ad un capo della sentenza del giudice di primo grado relativo a conferma di sanzione irrogata dall’Ente impositore a titolo di versamento parziale per violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, commi 3 e 4, laddove anche l’Ente impositore aveva proposto appello incidentale avverso la stessa pronuncia di primo grado per la ulteriore parte relativa alla statuita riduzione della sanzione comminata al contribuente per il diverso illecito di omessa dichiarazione da parte della società incorporata per fusione ex art. 2504 bis c.p.c., se su tale appello incidentale nulla è deciso nella sentenza di secondo grado?”.

C. Con il terze motivo – “ipotesi ulteriormente gradata”, espressa “a non voler riconoscere la nullità della sentenza per il motivo sub 1), nè la violazione dell’art. 112 per il motivo sub 2)” – il Comune denunzia “violazione e/o falsa applicazione art. 2504 bis c.c. ed D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 540, artt. 10 e 14” esponendo che “l’impresa incorporata per fusione aveva … l’obbligo legale di dichiarare le modificazioni intervenute nel possesso dei beni immobili sottoposti all’imposta de qua” per cui “a far data dall’incorporazione per fusione del 23 dicembre 1998 la società Agraria Checchi avrebbe dovuto adempiere agli obblighi tributari di dichiarazione delle modificazioni di possesso immobiliare gravanti sull’incorporata società Bonelliana”.

L’ente, quindi, chiede (“quesito”):

“in corso di incorporazione per fusione tra due società, può legittimamente irrogarsi la sanzione del D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 14, per omessa dichiarazione di modificazione del possesso di immobili in capo alla società incorporante in virtù del disposto dell’art. 2054 bis c.c., per non aver la stessa dichiarato l’intervenuta modificazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, ex art. 10, anche per la società incorporata?”.

D. Con il quarto motivo il ricorrente denunzia “violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, artt. 5 e 14”, sintetizzata nel “quesito”;

“Può ritenersi viziata per violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, la sentenza che ritenga insussistente la rendita e corretta l’individuazione della base imponibile ai fini IVA dell’immobile in base alle risultanze delle scritture contabili qualora la fattispecie sia relativa ad un immobile di classe D, interamente posseduto da una società e dalla stessa contabilizzato ed anche iscritto in catasto con attribuzione di rendita risultante in atti?”.

E. Con il quinte (ultimo) motivo l’ente territoriale denunzia “omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo” chiedendo (“quesito”) se “può costituire omissione di motivazione su un fatto decisivo e controverso del giudizio e come tale viziante la pronuncia di merito relativa ad avviso di accertamento IVA la totale omissione nella motivazione del giudice di appello delle ragioni che lo hanno indotto a ritenere un immobile sprovvisto di rendita catastale – contrariamente alle risultanze istruttorie di causa e alle contrarie deduzioni delle parti in giudizio – pur determinando l’assunzione di tale aprioristico presupposto le sorti del giudizio relativo all’irrogazione di sanzione del D.Lgs. n. 471 del 1997, ex art. 13, per violazione del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5”.

p. 3. L’ordinanza n. 12553 depositata il 21 maggio 2010 dalla sezione tributaria.

La sezione – premesso che “la controversia ha per oggetto l’impugnazione” proposta dalla società “avverso l’avviso di accertamento del Comune … per omessa denuncia e minor pagamento dell’ICI per il 1998 relativamente ad un immobile ricevuto con atto di fusione, rientrante nella categoria D, essendo stata la base imponibile calcolata dalla … contribuente in relazione ai valori contabili ed ai costi incrementativi, sul presupposto che si trattasse di immobili sprovvisti di rendita, mentre, secondo l’ente impositore, l’immobile risultava già censito da vari anni” – rileva che “sulla questione oggetto del quarto e del quinto motivo del ricorso sussiste contrasto nella giurisprudenza” di essa sezione in ordine alla “norma di cui al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3” (la quale “regola la determinazione della rendita di fabbricati posseduti da imprese secondo valori contabili dei soli immobili non iscritti in catasto, ma precisa che la determinazione dell’imponibile riferita al costo contabile va eseguita, relativamente a tali fabbricati, fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita con riferimento alla data di inizio di ciascun anno solare, ovvero, se successiva, alla data di acquisizione (in questo senso: Cass. n. 12271/2004; 24235/2004, nonchè da ultimo e motivata con riguardo alla sopravvenuta Corte Cost. n. 67/06, Cass. n. 27062/08)”) perchè:

– “secondo la giurisprudenza sopra richiamata, il riferimento all’attribuzione della rendita contenuto nel citato art. 5, comma 3, evita che si possa valutare isolatamente la circostanza del solo accatastamento senza attribuzione di rendita, quando si tratti, come nella specie, di immobili speciali, cui non si attaglia il regine ordinario di cui al successivo art. 5, comma 4; gli immobili dei gruppo D rientrano infatti nel regime ordinario ICI soltanto dopo che sia loro attribuita la rendita”;

– “varie sentenze, anche successive, di questa medesima Sezione (Cass. 10969/09; 15764/08; 11391/07; 6255/07) ed ordinanze deliberate in Camera di consiglio (5376, 5377 e 5378/09) hanno, invece, ribadito che il provvedimento di attribuzione della rendita catastale a tali immobili, ha natura dichiarativa e non costitutiva, con possibilità di efficacia retroattiva e di applicazione ai periodi precedenti a detta attribuzione, fino all’epoca della presentazione dell’istanza di accatastamento”.

Per la sezione, “secondo il primo orientamento, la rendita catastale può essere utilizzata, in forza della L. n. 342 del 2000, art. 74, soltanto dall’annualità in cui avviene la notificazione dell’atto di attribuzione della rendita medesima (Cass. n. 3233/05), dovendosi riconoscere carattere costitutivo a detta attribuzione; mentre l’aggiornamento, in più o in meno, delle rendile degli anni pregressi, riguarderebbe i soli casi di variazione di rendite già attribuite (cfr. Cass. 5109/2005; 11162/2005; 16701/2007), rispetto alle quali non sembrerebbe controverso l’aggiornamento abbia valore ricognitivo-dichiarativo” mentre “in base al secondo orientamento, l’espressione attribuzione di rendita di cui al citato D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, deve intendersi nel senso che l’efficacia dell’atto coincide con l’istanza di accatastamento o variazione, che ha dato inizio al procedimento di attribuzione, non già con la materiale e finale annotazione dell’esito della procedura (c.d. messa in atti)”;

tale “assunto si fonda su varie argomentazioni…”:

(2) “l’attribuzione della rendita procede dalla denuncia di accatastamento e si fonda su tali dati, quindi è riferibile allo stato dell’immobile in quel momento storico”;

(2) “il contribuente assolve al proprio onere con la denuncia all’Ufficio del territorio ed il tempo che l’Ufficio impiega per svolgere i propri compiti non può andare a vantaggio o detrimento dell’uno o dell’altro soggetto d’imposta, attivo e passivo”;

(3) “il conguaglio è positivo o negativo tra la rendita definitiva e quella provvisoria anteriormente versata dal contribuente previsto per gli altri immobili dal combinato disposto di cui all’art. 5, comma 4 ed art. 11, comma 1, vigenti ratione temporis, e non vi sarebbe motivo per ritenere una disciplina diversa per gli immobili del gruppo D, in quanto il sistema delineato dal legislatore sarebbe sostanzialmente simile”.

La remittente ricorda, ancora, che “sulla ratio della disposizione contenuta nel citato D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, si è pronunziata – ritenendola giustificata – la Corte Costituzionale nella sentenza n. 67 del 2006, nella quale si è posto in evidenza come i fabbricati soggetti ad ICI e classificabili in gruppi catastali diversi dal gruppo D, in quanto a destinazione ordinaria, sono ordinati in catasto per tariffe d’estimo, con la conseguenza che, in attesa dell’attribuzione della rendita, la loro base imponibile è agevolmente determinabile in relazione alla rendita presunta deducibile da fabbricati similari già iscritti in catasto (come previsto dal citato art. 5, comma 4). Viceversa i fabbricati del gruppo catastale D sono, per le loro caratteristiche funzionali e tipologiche, a destinazione speciale, e sono, quindi, ordinati per rendita catastale ottenuta con stima diretta (D.P.R. n. 604 del 1973, art. 7, comma 1), con la conseguenza che, in mancanza di tale stima, il legislatore ha preferito il criterio già sperimentato in tema di imposta straordinaria sugli immobili (ISI) – del costo rivalutato rilevabile dalle scritture contabili, in luogo di quello basato sulla rendita presunta, di più difficile applicazione riguardo a tali immobili. Un metodo, invece, obbligatorio riguardo ai fabbricati non posseduti da imprese, mancando un obbligo di tenuta delle scritture contabili a carico del possessore”.

La sezione, infine, osserva:

(a) che “tuttavia, essendosi riproposto anche dopo di essa il richiamato contrasto all’interno di questa sezione, dovrà verificarsi se detta pronuncia della Corte costituzionale sia dirimente in ordine alla questione del carattere costitutivo o dichiarativo dell’atto di attribuzione di rendita in relazione ai fabbricati di cui alla categoria D”;

(b) che “riguardo al caso di specie, andrebbe anche verificato, ove risultasse privilegiato l’orientamento circa il carattere dichiarativo dell’attribuzione di rendita, se esso sia riconoscibile anche a quella che si riferisce ad immobili già censiti in catasto (C. Cass. n. 12436/04)”.

p. 4. La risoluzione del contrasto.

A. La divergenza interpretativa che queste sezioni unite sono chiamate a comporre, come emerge dalla riprodotta ordinanza della sezione tributaria, investe, in via principale, il disposto del D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 3, secondo il quale (limitatamente a quanto qui interessa) “per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con giusta rettifica in Gazz. Uff. n. 101 del 14 gennaio 1993) attribuzione di rendita, il valore è determinato, alla data di inizio di ciascun anno solare ovvero, se successiva, alla data di acquisizione, secondo i criteri stabiliti nei penultimo periodo del D.L. 11 luglio 1992, n. 333, art. 7, comma 3, convertito, con modificazioni, dalla L. 8 agosto 1992, n. 359, applicando i… coefficienti” previsti dalla norma stessa (ovverosia con il criterio contabile, detto, comunemente, “valore di libro”).

La diversità di interpretazione emersa in giurisprudenza, in particolare, riguarda la individuazione dell'”anno” in cui deve ritenersi verificato il presupposto legislativo che impone di considerare, non più il “valore di libro”, ma il valore catastale attribuito all’immobile della categoria detta:

nell’una tesi, infatti, si è affermato che l'”anno” deve identificarsi in quello nel quale il titolare del diritto sul fabbricato ha chiesto all’Ufficio competente di attribuire all’immobile la rendita catastale propria e, per l’altra, nel diverso (se successivo) anno in cui tale rendita sia stata effettivamente attribuita, con l’ulteriore distinzione data dalla sufficienza della sola attribuzione (c.d. “messa in atti”) ovvero dalla necessità di tener conto della notifica dell’attribuzione al contribuente, eventualmente operata in anno ancora diverso da quello dell’attribuzione.

B. Il contrasto va risolto affermando il principio di diritto (conforme a quelle già enunciato da Cass., trib.: 17 giugno 2005 n. 13077; 16 marzo 2007 n. 6255; 15 maggio 2007 n. 11139; 11 marzo 2010 n. 5933) secondo cui “in tema di IVA e con riferimento alla base imponibile dei fabbricati non iscritti in catasto, posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 5, comma 3, ha previsto, fino alla attribuzione della rendita catastale, un metodo di determinazione della base imponibile collegalo alle iscrizioni contabili valido fino a che la richiesta di attribuzione della rendita non viene formulata” dal contribuente:

“dal momento in cui fa la richiesta egli”, invece, “pur applicando ormai in via precaria il metodo contabile”, “diventa titolare di una situazione giuridica nuova derivante dall’adesione al sistema generale della rendita catastale, sicchè può avere il dovere di pagare una somma maggiore (ove intervenga un accertamento in tal senso) o può avere il diritto a pagare una somma minore ed a chiedere il relativo rimborso nei termini di legge” .

C. In via preliminare va ricordato: (a) che con la L. 23 ottobre 1992, n. 421, art. 4 (contenente “delega al Governo per la razionalizzazione e la revisione delle discipline in materia di…

finanza territoriale”) – in forza del quale (giusta il “preambolo”) il “Governo” ha emanato il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504 (“riordino della finanza degli enti territoriali” proprio “a norma dell’ari. 4 della L. 23 ottobre 1992, n. 421″), istitutivo (art. 1) dell'”imposta comunale sugli immobili” (ICI) – il legislatore delegante ha prescritto al delegato:

(1) con il n. 1, di tener conto del “valore” degli immobili soggetti all’imposta comunale da istituire, e (2) con il n. 3, di fissare la “determinazione del valore dei fabbricati sulla base degli estimi del catasto edilizio o valore comparativo in caso di non avvenuta iscrizione”;

(b) che con la sentenza n. 67 del 24 febbraio 2006 la Corte Costituzionale ha escluso la irragionevolezza (“non è irragionevole”) del “criterio di calcolo dell’ICI … basato sul valore dei fabbricati risultante dalle scritture contabili dell’imprenditore” (“cioè sul costo di acquisto, aumentato degli eventuali costi incrementativi”), nonchè negato (“ma neppure comporta”) che tale criterio comporti “un tributo necessariamente maggiore di quello calcolalo in base alla rendita catastale effettiva o presunta degli stessi fabbricati”.

Di conseguenza deve ritenersi definitivamente acquisito che il “criterio di calcolo dell’ICI… basato sul valore dei fabbricati risultante dalle scritture contabili dell’imprenditore” costituisce, per i fabbricati considerati nel D.Lgs n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, un “criterio di calcolo dell’ICI” autonomo rispetto a quello (da adottare, invece, per i “fabbricati iscritti in catasto”) che assume a parametro di riferimento l'”ammontare delle rendite risultanti in catasto” o (specificamente “per i fabbricati, diversi indicati nel comma 3, non iscritti in catasto, nonchè per i fabbricati per i quali sono intervenute variazioni permanenti…”), che impone di far riferimento (in via provvisoria) alla rendita di “fabbricati similari già iscritti”, e, soprattutto, definitivo, nel senso (Cass., trib., 29 ottobre 2010 n. 21123) della immodificabilità di quel “criterio” (contabile) almeno per i periodi di imposta antecedenti (oppure, fino) all’anno di presentazione della richiesta di attribuzione della rendita catastale.

D. La corretta risoluzione della divergenza giurisprudenziale impone, poi, di tener conto, a fini ermeneutici, del pregnante valore dei precetti contenuti nel comma 1 sia dell’art. 53 Cost. (“tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”) che dell’art. 3 Cost. (“tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione”), il rispetto dei quali esige che si adotti sempre, tra le possibili, una soluzione interpretativa che non sia in contrasto con il dettato costituzionale.

D.1. Per la prima di dette norme, la “capacità contributiva” (quale concretamente individuata, per ciascuna imposta, dai legislatore ordinario, con scelte il giudizio relativo alle quali è rimesso alla corte delle leggi non irrazionali) deve costituire l’unico parametro di riferimento effettivo; il suo senso concreto, quindi, impone di escludere qualsiasi interpretazione da cui possa derivare la soggezione del contribuente ad un prelievo fiscale maggiore o minore di (comunque diverso da) quello effettivamente voluto dal legislatore: “la capacità contributiva in ragione della quale il contribuente è chiamato a concorrere alle pubbliche spese”, infatti, “esige” (Corte Cost., ordinanza 28 novembre 2008 n. 394) “…

l’oggettivo e ragionevole collegamento del tributo a un effettivo indice di ricchezza”.

D.2. L’eguaglianza tutelata dall’altra disposizione, poi, non consente di operare una interpretazione dalla quale discenda una regolamentazione diversa di situazioni giuridiche identiche.

E. La portata precettiva di dette disposizioni costituzionali legittima solo il percorso interpretativo per il quale, ai fini dell’ICI, gli effetti dell’attribuzione della rendita catastale ad un immobile classificato nel “gruppo catastale D” debbono decorrere dalla data di richiesta di accatastamento e non dalla successiva di “messa in atti” o di notificazione al contribuente della rendita attribuita.

E.1. In base al D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 3, per i “fabbricati classificabili nel gruppo catastale D”, il criterio “contabile” deve essere applicato “fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita”: per la norma, quindi, l’iscrizione in catasto di detti “fabbricati” determina, ipso jure, il passaggio dal criterio (di determinazione del valore) “contabile” a quello “catastale”.

L’attribuzione della rendita, pertanto, fa sorgere (in capo ad entrambi i soggetti del rapporto obbligazionario) il diritto-dovere di determinare (e, quindi, corrispondere) l’imposta sulla (sola) “base imponibile” individuata, come per tutti i “fabbricati iscritti in catasto”, ai sensi dell’art. 5, comma 2.

Nonostante l’indubbia influenza del tenore testuale (“fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita”), la lettura della norma nel senso della individuazione, in quello di attribuzione della rendita e/o di notifica della stessa, dell'”anno” sino al quale (giuridicamente) si deve applicare (in via definitiva) il criterio contabile di cui all’art. 5, comma 3 (e, di converso, in quello successivo l'”anno” dal quale l’imposta, per il secondo comma del medesimo art. 5, deve essere calcolata sulla base della “rendita catastale”), giusta i parametri costituzionali evocati all’inizio, non è condivisibile.

Quella lettura, infatti, fa dipendere il momento del passaggio dall’uno all’altro criterio di imposizione da quello in cui il fatto (attribuzione della rendita e sua “messa in atti” e/o notifica) è posto in essere da un terzo (l’ufficio competente), al quale finisce per riconoscere il potere di vanificare, quand’anche solo per il tempo (comunque necessario per l’adozione del provvedimento, quindi a prescindere anche da ritardi abnormi ed ingiustificati) intercorrente tra la domanda di accatastamento e la “messa in atti” e/o la notifica della rendita attribuita, la legittima ed insindacabile scelta del contribuente a che la “base imponibile” dell’imposta comunale dovuta sul suo fabbricato classificato “nel gruppo catastale D” sia determinata in forza del dettato di cui all’art. 5, comma 2 e, quindi, in definitiva, coonesta l’applicazione (in via definitiva) del criterio impositivo cd. del “valore di libro” diverso da quello voluto dal legislatore.

E.2. Ciò detto, è tuttavia necessario soffermarsi sul disposto della L. 21 novembre 2000, n. 342, art. 74, comma 1, secondo il quale “a decorrere dal 1 gennaio 2000, gli atti comunque attributivi o modificativi delle rendite catastali per terreni e fabbricati sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, a cura dell’ufficio del territorio competente, ai soggetti intestatari della partita”.

Tenuto conto dell’art. 3 Cost., invero, l’espressione “sono efficaci solo da decorrere dalla loro notificazione” va intesa nel senso che la notifica degli atti attributivi è soltanto condizione della loro efficacia: la valenza semantica, oltre che tecnico giuridica, dell’aggettivo “efficaci”, invero, non consente di inferire nessuna volontà legislativa di attribuire alla notifica, “ai soggetti intestatari della partita”, del provvedimento attributivo della rendita una qualche forza costitutiva (una efficacia, cioè, ex nunc) e non (quale portato naturale proprio del provvedimento di attribuzione della rendita) meramente accertativa della concreta situazione “catastale” dell’immobile: il successivo inciso “solo a decorrere dalla loro notificazione” indica inequivocamente l’impossibilità giuridica di utilizzare una rendita se non notificata ma non esclude affatto la utilizzabilità della rendita luna volta) notificata a fini impositivi anche per annualità d’imposta per così dire “sospese”, ovverosia suscettibili di accertamento e/o di liquidazione e/o di rimborso.

Si consideri, in proposito, che sino al momento della loro abrogazione – disposta dalla L. 27 dicembre 2006, n. 296, art. 1, comma 173, lett. a), -, quindi sino al 31 dicembre 2006, vigevano:

– il comma 4, dell’art. 5 D.Lgs. ICI, secondo cui “per i fabbricati, diversi da quelli indicati nel comma 3, non iscritti in catasto, nonchè per i fabbricati per i quali sono intervenute variazioni permanenti, anche se dovute ad accorpamento di più unità immobiliari, che influiscono sull’ammontare della rendita catastale, il valore è determinato con riferimento alla rendita dei fabbricati similari già iscritti” e – il primo comma dell’art. 11 del medesimo D.Lgs., il quale – dopo aver disposto che “se la dichiarazione è relativa ai fabbricati indicati nel comma 4 dell’art. 5, il comune trasmette copia della dichiarazione all’ufficio tecnico erariale competente il quale, entro un anno, provvede alla attribuzione della rendita, dandone comunicazione al contribuente e al comune” – reca(va) il seguente inciso: “entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello in cui è avvenuta la comunicazione, il comune provvede, sulla base della rendita attribuita, alla liquidazione della maggiore imposta dovuta senza applicazione di sanzioni, maggiorata degli interessi nella misura indicata nel comma 5 dell’art. 14, ovvero dispone il rimborso delle somme versate in eccedenza, maggiorate degli interessi computati nella predetta misura …”.

Dalla logica combinazione di tali norme non può non evincersi (atteso che l’eventuale opinione contraria finirebbe per elidere del tutto la valenza della ultimo disposto normativo in ordine all’obbligo del comune di provvedere “alla liquidazione della maggiore imposta dovuta” od al “rimborso delle somme versate in eccedenza”);

(1) che il “valore … determinato con riferimento alla rendita dei fabbricati similari già iscritti” produce effetti meramente provvisori (cioè fino alla “comunicazione” della “rendita attribuita” ) e, soprattutto, (2) che la comunicazione di attribuzione della rendita impone alle parti del rapporto tributario concernente l’ICI (pure nei vigore dell’art. 74 detto) di determinare l’imposta effettivamente dovuta, anche per le annualità pregresse, in base alla “rendita attribuita” (intesa per tale, naturalmente, quella divenuta comunque definitiva, o per mancata impugnazione o per conclusione dell’eventuale giudizio di impugnazione).

L’inciso dell’art. 11 detto, quindi, quanto agli immobili ivi considerati, svolge l’evidente funzione di ricondurre ad uniformità il sistema di determinazione dell’imposta perchè prescrive di considerare (in via definitiva) comunque – giusta il principio generale posto dall’art. 5 per il quale comma 1, la “base imponibile dell’imposta è il valore degli immobili”, da determinare secondo comma in relazione all'”ammontare delle rendite risultanti in catasto” – unicamente il “valore”, voluto dal legislatore (anche delegante: supra, sub B), fissato (secondo comma dello stesso art. 5) in base all'”ammontare delle rendite risultanti in catasto”:

nell’ipotesi regolata, quindi, il legislatore, per i fabbricati “indicati nel comma 4 dell’art. 5” considera “rendite risultanti in catasto” quelle attribuite successivamente all’anno d’imposta considerato:

in sintesi, “per i fabbricati, diversi da quelli indicati nel comma 3, non iscritti in catasto, nonchè per i fabbricati per i quali sono intervenute variazioni permanenti” la determinazione della “base imponibile” ai fini dell’ICI va sempre definitivamente effettuata sulla base della rendita catastale, a prescindere dall’epoca sia di attribuzione che di comunicazione della stessa.

E.3. La necessità scaturente dagli artt. 3 e 53 Cost., di applicare l’imposta, in via definitiva, in base ai parametro impositivo prescelto dal legislatore evidenzia, infine, la fragilità della tesi giurisprudenziale che esclude l’applicabilità, alle annualità di imposta anteriori all’attribuzione, della rendita attribuita ai fabbricati classificati “nel gruppo catastale D”: tale tesi, infatti, è fondata unicamente sul dato testuale del D.Lgs. n. 504 del 1992, art. 5, comma 4 (“i fabbricati, diversi da quelli indicati nel comma 3, non iscritti in catasto”), ma non considera che quel dato trova la logica della esclusione dei “fabbricati … indicati nel comma 3” non già in una volontà del legislatore di diversificare il trattamento fiscale degli stessi ma solo (cfr. Corte Cost. cit.) nell’inpossibilità (perchè la valutazione catastale di quelli è operata con “stima diretta”, quindi, con valutazione di ciascun fabbricato, considerato per le sue peculiarità) di applicare a tali “fabbricati”, anche se in via meramente provvisoria, la “rendita dei fabbricati similari già iscritti” (la cui valutazione catastale è, invece, determinata con criteri di “estimo”).

p. 5. Le ragioni della decisione.

A. Dalla piana applicazione alla specie del principio di diritto teste affermato discende la fondatezza della quarta e della quinta censura svolta dall’ente impositore – il ricorso del quale sull’afferente punto deve essere, di conseguenza, accolto – essendo evidentemente contrastante con detto principio l’affermazione, posta dal giudice tributario di appello a base della sua sentenza, secondo cui l’immobile, benchè “censito in catasto da vari anni”, deve considerarsi “senza rendita definitiva” per l’anno d’imposta (1998) in contestazione a causa della “irretroattività della rendita definitiva notificata dopo il 2000″.

B. I primi tre motivi di ricorso, invece, si rivelano inammissibili.

Tutte le doglianze, infatti, investono il supposto omesso esame dell'”appello incidentale” proposto dal Comune “centro il capo della sentenza” di primo grado “che riduce la sanzione irrogata”.

Il vizio denunziato, però, non sussiste perchè con la sua decisione – il cui esatto e concreto contenuto va individuato, come nell’ordinario giudizio di cognizione civile, integrando il dispositivo con la motivazione – la Commissione Tributaria Regionale ha accolto l’appello della società: l’univoco significato di tale pronuncia, naturalmente, è solo nel senso dell’integrale annullamento dell’avviso di accertamento impugnato, quindi dell’annullamento in toto anche delle sanzioni irrigate con il medesimo atto.

Il giudice di appello, pertanto, quand’anche abbia omesso di adottare una formale decisione sullo stesso, ha implicitamente, ma necessariamente (essendo evidente l’incongruenza logica della tesi contraria), rigettato il gravame incidentale.

Per effetto di tanto le tre doglianze del Comune sono inammissibili perchè costituiscono mera riproposizione della censura svolta nell’appello incidentale, operata per evitare che l’afferente doglianza (argomentando dall’art. 346 c.p.c.) possa ritenersi abbandonata.

C. In definitiva la sentenza impugnata deve essere cassata relativamente ai motivi accolti e la causa, siccome bisognevole dei conferenti accertamenti di fatto, va rinviata a sezione della Commissione Tributaria Regionale diversa da quella che ha emesso la decisione annullata affinchè:

(1) riesamini la controversia, anche quanto all’appello incidentale del Comune, applicando il principio di diritto affermato al punto B del precedente e (2) provveda sulle spese di questo giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto ed il quinto motivo di ricorso; dichiara inammissibili gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Commissione Tributaria Regionale della Toscana.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 7 dicembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 15 febbraio 2011

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