Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3663 del 13/02/2020

Cassazione civile sez. I, 13/02/2020, (ud. 11/12/2019, dep. 13/02/2020), n.3663

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 149/2019 proposto da:

S.S., elettivamente domiciliata in Roma, Piazza Mazzini n. 8,

presso lo studio dell’Avvocato Cristina Laura Cecchini, che la

rappresenta e difende, unitamente all’Avvocato Consuelo Feroci,

giusta procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte d’appello di

Ancona e Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dei

minorenni di Ancona;

– intimati –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ANCONA depositato il

31/10/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/12/2019 dal Cons. Dott. Alberto Pazzi.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. S.S., cittadina (OMISSIS) e madre di una figlia minore nata in (OMISSIS), presentava istanza al Tribunale per i minorenni di Ancona ai sensi del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, per ottenere un’autorizzazione temporanea alla permanenza nel territorio nazionale. Il provvedimento di rigetto reso dal Tribunale per i minorenni di Ancona veniva confermato dalla Corte d’appello di Ancona con decreto del 16 settembre 2016.

2. Questa Corte, con ordinanza 26414/2017 depositata in data 6 novembre 2017, cassava la statuizione della Corte distrettuale, in quanto la concessione dell’autorizzazione temporanea richiesta presupponeva la verifica dell’eventuale sussistenza di gravi motivi, non necessariamente collegati alla salute, con particolare riferimento ai profili dell’età della minore e del suo radicamento nel territorio.

3. La Corte d’appello di Ancona, in sede di rinvio, constatava che la minore non aveva instaurato significative relazioni al di fuori della rete parentale, reputava che la stessa avesse presumibilmente acquisito abitudini e modelli educativi e culturali di riferimento propri dell’identità nazionale dei genitori e riteneva che un’eventuale stabile convivenza con uno o entrambi i genitori in Albania, dove il padre risiedeva e lavorava, avrebbe comportato un cambiamento positivo, offrendo alla bambina una maggiore stabilità educativa e di vita e permettendole di sviluppare relazioni più strette con una rete parentale di maggiore ampiezza.

Di conseguenza la Corte distrettuale, con decreto del 31 ottobre 2018, rigettava nuovamente il reclamo presentato da S.S. avverso la statuizione del Tribunale per i minorenni.

4. Per la cassazione di tale decreto ha proposto ricorso S.S. prospettando un unico motivo di doglianza.

Gli intimati Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni di Ancona e Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Ancona non hanno svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. Il motivo di ricorso, sotto la rubrica “violazione e falsa applicazione del T.U. ImmigrazioneD.Lgs. n. 286 del 1998, art. 31, comma 3 – in particolare, sull’interpretazione del concetto di gravi motivi in senso restrittivo, contrastante con la giurisprudenza di legittimità prevalente a seguito della pronuncia a Sezioni Unite n. 21779 del 2010”, assume che la statuizione impugnata contrasti con l’evoluzione della giurisprudenza di legittimità, poichè la Corte territoriale avrebbe nuovamente mancato di dare rilievo ai “gravi motivi” previsti dalla norma, da intendersi in senso ampio, senza considerare che la minore, nata in Italia, non era mai stata in Albania, era in età prescolare e aveva rapporti molto significativi con tutti i parenti residenti regolarmente in Italia.

Nè sarebbe spettato al giudice del rinvio stabilire che la bambina potesse tornare in Albania, in virtù del divieto di espulsione vigente nel nostro ordinamento.

5. Il motivo risulta inammissibile.

5.1 La doglianza in esame, nel lamentare che la Corte distrettuale abbia nuovamente inteso i gravi motivi in presenza dei quali il Tribunale per i minorenni può autorizzare la temporanea permanenza in Italia non con la necessaria ampiezza, assume nella sostanza che il giudice del rinvio abbia compiuto in maniera infedele i compiti affidatigli con la precedente statuizione di annullamento.

In realtà la corte distrettuale in sede di rinvio ha puntualmente registrato l’ampiezza dell’indagine riconnessa alla verifica dei gravi motivi necessari per la concessione dell’autorizzazione richiesta, con riferimento a salute, età e radicamento sul territorio nazionale del minore, e in questa prospettiva si è mossa, verificando come simili fattori non consentissero di ravvisare il presupposto per la pronunzia di un provvedimento favorevole.

Il profilo di doglianza teso a lamentare come la Corte di merito abbia “mancato di dare rilievo ai gravi motivi in senso ampio”, trascurando di considerare che la bambina era nata in Italia, non aveva mai visitato l’Albania ed aveva “rapporti molto significativi con tutti i parenti che vivono in Italia”, finisce per dedurre, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito e risulta così inammissibile (Cass. 8758/2017).

5.2 Quanto poi alla parte della doglianza con cui si assume che “non spetta al giudice d’Appello stabilire che la bambina può tornare in Albania”, senza ulteriori spiegazioni se non la trascrizione di alcune parti di due sentenze di questa Corte, è sufficiente rilevare come la critica consista in una mera deduzione astratta il cui contenuto rimane del tutto scollegato con un preciso passaggio del provvedimento in esame.

Una censura di un simile, lapidario, tenore risulta inammissibile, perchè priva dei caratteri di specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata che il ricorso per cassazione deve necessariamente avere.

6. In forza dei motivi sopra illustrati il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Il procedimento è esente dal versamento del contributo unificato, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, comma 2, di modo che non trova applicazione il disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri titoli identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.

Così deciso in Roma, il 11 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2020

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