Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3660 del 14/02/2011

Cassazione civile sez. III, 14/02/2011, (ud. 13/01/2011, dep. 14/02/2011), n.3660

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – rel. Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

EPRICE SRL (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VITTORIA COLONNA N.

32, presso lo studio dell’avvocato MENGHINI MARIO, che la rappresenta

e difende unitamente all’avvocato ALBINI MARIA PIA, giusta procura

alle liti a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

R.A. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

VIALE GIULIO CESARE 14 A-4, presso lo studio dell’avvocato PAFUNDI

GABRIELE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato RE

ALESSANDRO, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 8277/2008 del TRIBUNALE di TORINO del

14/12/08, depositata il 16/12/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/01/2011 dal Consigliere Relatore Dott. MAURIZIO MASSERA;

udito l’Avvocato Menghini Mario, difensore della ricorrente che si

riporta agli scritti;

e’ presente il P.G. in persona del Dott. PIERFELICE PRATIS che

concorda con la relazione scritta.

La Corte, letti gli atti depositati:

Fatto

OSSERVA IN FATTO E DIRITTO

E’ stata depositata la seguente relazione:

1 – Con ricorso notificato il 9 gennaio 2010 l’Eprice S.r.l. ha chiesto la cassazione della sentenza, non notificata, depositata in data 16 dicembre 2008 dal Tribunale di Torino, confermativa della sentenza del Giudice di Pace, che l’aveva condannata ad adempiere al contratto intervenuto con R.A. avente: ad oggetto la compravendita di un computer.

Il R. ha resistito con controricorso.

2 – Il ricorso non rispetta il disposto dell’art. 366 c.p.c., n. 3 con riferimento alla esposizione dei fatti di causa, riferiti in modo estremamente sintetico e inadeguato e inoltre i due motivi del ricorso risultano inammissibili, poiche’ la loro formulazione non soddisfa i requisiti stabiliti dall’art. 366 bis c.p.c. Occorre rilevare sul piano generale che, considerata la sua funzione, la norma indicata (art. 366 bis c.p.c.) va interpretata nel senso che per, ciascun punto della decisione e in relazione a ciascuno dei vizi, corrispondenti a quelli indicati dall’art. 360, per cui la parte chiede che la decisione sia cassata, va formulato un distinto motivo di ricorso.

Per quanto riguarda, in particolare, il quesito di diritto, e’ ormai jus receptum (Cass. n. 19892 del 2007) che e’ inammissibile, per violazione dell’art. 366 bis c.p.c., introdotto dal D.Lgs. n. 40 del 2006, art. 6 il ricorso per cassazione nel quale esso si risolva in una generica istanza di decisione sull’esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo. Infatti la novella del 2006 ha lo scopo di innestare un circolo selettivo e “virtuoso” nella preparazione delle impugnazioni in sede di legittimita’, imponendo al patrocinante in cassazione l’obbligo di sottoporre alla Corte la propria finale, conclusiva, valutazione della avvenuta violazione della legge processuale o sostanziale, riconducendo ad una sintesi logico – giuridica le precedenti affermazioni della lamentata violazione.

In altri termini, la formulazione corretta del quesito di diritto esige che il ricorrente dapprima indichi in esso la fattispecie concreta, poi la rapporti ad uno schema normativo tipico, infine formuli il principio giuridico di cui chiede l’affermazione.

Quanto al vizio di motivazione, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilita’, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione; la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto), che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’ (Cass. Sez. Unite, n. 20603 del 2007).

3. – Il primo motivo denuncia falsa ed erronea applicazione dell’art. 1326 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5.

Assume che nella specie si era in presenza di un invito a proporre e non di un’offerta al pubblico, questione che non puo’ essere risolta senza esaminare gli atti e compiere apprezzamenti di fatto, riservati al giudice di merito. Inoltre mancano sia il quesito di diritto, sia il momento di sintesi relativo al vizio di motivazione.

Il secondo motivo (erroneamente contrassegnato con il n. 3) lamenta omessa e falsa applicazione dell’art. 101 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5. La violazione e la falsa applicazione (che non sono sinonimi e, dunque, vanno specificate) di norme di diritto debbono essere denunciate ai sensi dell’art. 360 c.p.c., art. 3 mentre il successivo n. 5 e’ riferito ai vizi di motivazione. Il riferimento all’art. 101 c.p.c. risulta incomprensibile considerato che le argomentazioni a sostegno attengono alla valutazione di una domanda e alle spese di lite. Anche questa censura e’ priva di quesito di diritto e di momento di sintesi.

4.- La relazione e’ stata comunicata al pubblico ministero e notificata ai difensori delle parti;

La ricorrente ha presentato memoria ed ha chiesto d’essere ascoltata in camera di consiglio;

Le argomentazioni addotte dalla ricorrente con la memoria non inducono a diversa statuizione, restando confermati i rilievi contenuti nella relazione;

5.- Ritenuto:

che, a seguito della discussione sul ricorso, tenuta nella camera di consiglio, il collegio ha condiviso i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione;

che pertanto il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese seguono la soccombenza;

visti gli artt. 380-bis e 385 cod. proc. civ..

P.Q.M.

Dichiara il ricorso inammissibile. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 1.000,00, di cui Euro 800,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 13 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 14 febbraio 2011

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