Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3654 del 12/02/2021

Cassazione civile sez. I, 12/02/2021, (ud. 17/12/2020, dep. 12/02/2021), n.3654

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21525/2015 proposto da:

F.L. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via F. Confalonieri n.

5, presso lo studio dell’avvocato Manzi Andrea, che la rappresenta e

difende unitamente all’avvocato Bicego Gabriele, giusta procura a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero della Difesa, in persona del Ministro pro tempore, te

domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1052/2015 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA,

pubblicata il 22/04/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/12/2020 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

L’impresa F.L. SRL propone tre motivi di ricorso per cassazione, corroborati da memoria, avverso la sentenza della Corte di appello di Venezia in epigrafe indicata, emessa a seguito di cassazione con rinvio pronunciata con sentenza della Corte di legittimità n. 8786/2012. Il Ministero della Difesa ha resistito con controricorso.

La controversia aveva riguardato una serie di lavori effettuati dall’impresa F.L. SRL presso la caserma (OMISSIS) in esecuzione del contratto di appalto n. (OMISSIS) del 15/11/1990; segnatamente lavori ammontanti alla somma di Lire 51.364.375, contabilizzata dal direttore dei lavori, che il collaudatore aveva ritenuto non giustificati procedendo a detrarre l’importo dal conto finale di liquidazione.

Il Tribunale adito aveva accolto la domanda proposta dall’impresa allo scopo di vedersi riaccreditare l’intero importo contabilizzato dal direttore dei lavori, dichiarare nulle le correzioni disposte dal collaudatore ed ottenere il pagamento del saldo dei lavori eseguiti, con decisione confermata in appello.

La Corte di cassazione con la sentenza n. 8786/2012 aveva accolto il ricorso del Ministero e cassato la sentenza impugnata.

Riassunto il giudizio dall’impresa F., la Corte di appello ha rigettato le domande dell’impresa e compensato le spese di lite.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo si denuncia la violazione del R.D. 17 marzo 1932, n. 366, art. 18, u.c., secondo cpv. e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

La ricorrente sostiene che la Corte di appello ha errato nell’individuare l’organo dell’Amministrazione al quale la disposizione indicata conferiva il potere di contabilizzare le opere arbitrariamente eseguite e cioè – a suo dire – il direttore dei lavori e non il collaudatore; sostiene che – contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte lagunare – non si trattava di desumere una qualche approvazione tacita dell’opera, ma di prendere atto del fatto storico che il direttore dei lavori – che aveva ordinato l’opera sul presupposto della necessità – aveva anche esercitato il potere di conservare l’opera eseguita, contabilizzando l’importo.

1.2. Innanzi tutto va premesso che alcun omesso esame si ravvisa, poichè il fatto dedotto dalla ricorrente (contabilizzazione dell’opera da parte del direttore dei lavori) è stato preso in esame dalla Corte distrettuale che, tuttavia, ha ritenuto che la questione così introdotta, circa l’organo competente a decidere per la conservazione o meno della variazione, non era decisiva per l’esame della domanda proposta di corresponsione di compenso o indennizzo perchè ultronea ed inconferente rispetto alla questione assorbente dell’inammissibilità della richiesta di compenso per una variazione non ordinata per iscritto (fol. 6/7 della sent. imp.).

1.3. Il primo motivo risulta infondato anche sotto il profilo della violazione di legge.

1.4. La questione proposta, in merito agli effetti della decisione del direttore dei lavori di conservare l’opera, trascura del tutto i condivisi principi fissati dalla Corte di legittimità nel disporre il rinvio ed ai quali la Corte territoriale si è attenuta, secondo i quali in assenza di ordine scritto dell’Amministrazione e di approvazione da parte della Stazione appaltante nelle forme di legge nessun maggior compenso o indennizzo richiesto dall’appaltatore può essere giustificato, di guisa che esattamente è stata considerata priva di rilievo la contabilizzazione operata dal direttore dei lavori, in assenza delle esposte condizioni.

1.5. Con la decisione n. 8786 del 31/05/2012, invero la Corte di cassazione ha affermato che, in tema di appalto di opere militari, ai sensi del R.D. n. 366 del 1932, art. 18 (Condizioni generali per l’appalto dei lavori del Genio militare) e per i principi sull’appalto di opere pubbliche, ogni variazione dei lavori richiede ad substantiam l’ordine scritto dell’Amministrazione, non surrogabile da tacita accettazione postuma, in difetto del quale l’appaltatore non può esigere il maggior corrispettivo, neppure se la variazione sia stata eseguita su iniziativa dell’Amministrazione stessa, non applicandosi agli appalti pubblici le disposizioni degli artt. 1659 e 1661 c.c., che, negli appalti privati, richiedono la forma scritta solo ad probationem per le variazioni concordate e dalla forma scritta prescindono del tutto per le variazioni ordinate dal committente.

Ha, quindi, ulteriormente precisato che “l’ordine scritto non è neppure sufficiente a giustificare il pagamento del maggiore compenso richiesto dall’appaltatore in mancanza dell’approvazione che dev’essere data dalla stazione appaltante nelle forme di legge (Cass. n. 11365/1999) e i cui estremi devono essere preventivamente e specificamente indicati nell’ordine scritto (Cass. n. 5278/2007, n. 9701/1990). I lavori addizionali possono essere “sanati” soltanto se espressamente riconosciuti dall’amministrazione in sede di collaudo (Cass. n. 10726/1992) o “riassunti in una c. d. perizia di variante successivamente approvata” (Cass. n. 6470/1998, n. 5172/1994); anche le variazioni disposte dal direttore dei lavori in via d’urgenza, senza la preventiva autorizzazione dell’autorità amministrativa, devono essere riconosciute nel verbale di collaudo (approvato) come indispensabili alla realizzazione dell’opera (Cass. n. 5278/2007 cit., n. 5792/1982, n. 745/1979, n. 4430/1977)” rimarcando che “gli anzidetti principi, pur non riguardando specificamente gli appalti delle opere militari, hanno portata generale in materia di opere pubbliche sulla base di disposizioni normative chiare nel senso che “nessuna variazione o addizione potrà essere eseguita dall’appaltatore senza l’ordine scritto dell’ingegnere direttore, nel quale sia citata la intervenuta approvazione superiore….” (R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 20, comma 7; v. anche il D.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, art. 13, commi 1 e 2); ogni variazione o aggiunta a un progetto già in corso non prevista in contratto, che dia luogo ad alterazione dei prezzi di appalto, è consentita solo mediante presentazione di una perizia suppletiva da parte del direttore dei lavori all’Amministrazione cui spetta decidere se accordarla o meno (L. 20 marzo 1865, n. 2248, all. F, art. 343 abrogato dal D.P.R. 5 ottobre 2010, n. 207, art. 358); “Non può l’appaltatore sotto verun pretesto introdurre variazioni o addizioni di sorta al lavoro assunto senza averne ricevuto l’ordine per iscritto dall’ingegnere direttore, nel qual ordine sia citata la intervenuta superiore approvazione” (L. n. 2248 del 1865, all. F, art. 342, comma 1, abrogato dal D.P.R. n. 207 del 2010 cit.); “Nessuna variazione o addizione al progetto approvato può essere introdotta dall’appaltatore se non è disposta dal direttore dei lavori e preventivamente approvata dalla stazione appaltante” (D.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, art. 134, comma 1, abrogato dal D.P.R. n. 207 del 2010, ma riprodotto nel D.P.R., da ultimo citato, art. 161, comma 1)”.

1.6. Risulta, quindi, evidente, che l’interpretazione atomistica del R.D. n. 366 del 1932, art. 18, u.c., secondo cpv., sostenuta dalla ricorrente, non può essere condivisa, giacchè inopinatamente prescinde del tutto dall’inquadramento del capoverso invocato nella disciplina generale dettata dall’art. 18 cit. e dai principi sull’appalto di opere pubbliche – come interpretata e ricostruita da questa Corte nei termini dianzi detti – che pone come ineludibile presupposto del diritto al compenso o all’indennizzo la circostanza che la variante dell’opera appaltata sia stata eseguita sulla base di un preventivo ordine scritto dell’Amministrazione e sia stata autorizzata dalla Stazione appaltante.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia la violazione del D.P.R. 27 giugno 1985, n. 350, art. 20, comma 2; l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio.

A parere della ricorrente la variazione in questione era legittima perchè “indispensabile” alla lavorazione in quanto necessaria per le condizioni del terreno e che la variazione era stata quantitativa e non aveva comportato il superamento del limite di spesa dell’appalto. Sostiene che le lavorazioni “necessarie” sono, per tale ragione “indispensabili”. Lamenta che non sia stata valutato il carattere di indispensabilità della variazione ordinata dal direttore dei lavori.

2.2. Il motivo è infondato.

2.3. Contrariamente a quanto assume la ricorrente, la Corte distrettuale non solo ha esaminato il fatto dedotto, ma ha anche accertato, alla stregua dei principi prima ricordati (v. sub 1.5.) che non era stata adeguata prova che la lavorazione fosse da ritenersi “indispensabile” all’esecuzione a regola d’arte dell’opera delle restanti lavorazioni commesse con l’appalto, poichè “così non ritenuto dal collaudatore”, che aveva riconosciuto l’utilità della variazione, ma non l’indispensabilità, e non provato da altro elemento versato in atti (fol. 5/7 della sent. imp.).

Anche la violazione di legge non si riscontra, poichè la decisione è in linea con il dictum della Cassazione, secondo la quale la indispensabilità delle variazioni d’opera disposte dal direttore dei lavori in via d’urgenza dovevano essere approvate nel verbale di collaudo, circostanza che nel caso in esame non ricorreva.

3.1 Con il terzo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2041 c.c., in relazione al rigetto della domanda subordinata di arricchimento senza causa che, a parere della ricorrente, doveva essere accolta in quanto non era necessario che la pubblica amministrazione avesse riconosciuto l’utilità dell’opera, ma che fosse stato provato il fatto oggettivo dell’arricchimento della PA e richiama, all’uopo, Cass. Sez. U. n. 10798 del 26/05/2015.

3.2 Il motivo è infondato ed il richiamo alla decisione delle Sezioni Unite non calzante.

Risulta decisivo rammentare, come correttamente affermato dalla Corte di appello che, in tema di appalto di opera pubblica, vige un divieto di legge all’applicazione dell’art. 2041 c.c., perchè ai sensi della L. 20 marzo 1865, n. 2248, art. 342, comma 2, all. F), l’appaltatore che abbia eseguito variazioni arbitrarie, perchè non richieste od autorizzate dall’amministrazione committente, ma introdotte per sua iniziativa unilaterale, non ha diritto ad alcun aumento di prezzo o compenso aggiuntivo, neppure a titolo di indebito arricchimento della committente, salvo che le variazioni fossero “indispensabili” per l’esecuzione dell’opera e concorrano gli altri presupposti di cui al R.D. 25 maggio 1895, n. 350, art. 103 (applicabile “ratione temporis”), vale a dire che esse siano state ritenute meritevoli di collaudo e che l’importo totale dell’opera, compresi i lavori non autorizzati, rientri nei limiti delle spese approvate (Cass. n. 16366 del 17/07/2014), circostanze che, nel caso di specie, non ricorrono.

4. In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Rigetta il ricorso;

– Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.500,00, oltre spese prenotate a debito;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2021

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