Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3653 del 14/02/2018


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Civile Ord. Sez. 1 Num. 3653 Anno 2018
Presidente: GIANCOLA MARIA CRISTINA
Relatore: SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

sul ricorso 11342/2013 proposto da:
Sardanelli Carmine, elettivamente domiciliato in Roma, Via Flaminia
n. 322, presso lo studio dell’avvocato Miriello Antonio, rappresentato
e difeso dall’avvocato Martingano Francesco, giusta procura in calce
al ricorso;
-ricorrente contro
Agenzia del Demanio, in persona del legale rappresentante pro
tempore, Ministero dell’Economia e delle Finanze, in persona del
Ministro pro tempore, domiciliati in Roma, Via dei Portoghesi n. 12,
1

cJQc

Data pubblicazione: 14/02/2018

presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e difende
ope legis;
-controricorrenti avverso la sentenza n. 207/2012 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
04/10/2017 dal cons. SAMBITO MARIA GIOVANNA C.

FATTI DI CAUSA
Carmine Sardarelli propose opposizione avverso l’ordinanza, con
cui gli era stato ingiunto, ex art. 10 del R.D. n. 639 del 1910, il
pagamento della somma di £ 8.138.800, a titolo d’indennità per gli anni
dal 1978 al 1985 da occupazione abusiva, mediante un manufatto
adoperato per la lavorazione e conservazione del pesce, di mq. 203,70
di suolo demaniale marittimo, sito nel comune di Pizzo.
Nel contraddittorio dell’Amministrazione finanziaria, che chiese in
via riconvenzionale la condanna dell’opponente al pagamento della
somma richiesta o di altra maggiore, a titolo risarcitorio, il Tribunale di
Vibo Valentia revocò l’ingiunzione, ritenendo, in conformità delle
conclusioni del CTU, che il suolo non avesse natura demaniale.
Ma la decisione fu ribaltata dalla Corte d’Appello di Catanzaro, che,
rinnovata la CTU, con sentenza del 13.3.2012, ritenne l’area
demaniale, escluse la possibilità della sdemanializzazione tacita, e
condannò il Sardarelli a restituirla ed al risarcimento del danno.
Per la cassazione della sentenza, Carmine Sardarelli ha proposto
ricorso affidato a tre motivi, successivamente illustrati da memoria, ai
quali il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia del Demanio
hanno resistito con controricorso.
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CATANZARO, depositata il 13/03/2012;

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il Collegio ha autorizzato la redazione della motivazione in
forma semplificata.
2. Con i tre motivi, il ricorrente censura l’accertamento relativo
alla natura demaniale dell’area, per violazione degli artt. 2697 c.c. e

congiuntamente per la loro connessione, sono infondati.
4. La Corte territoriale ha accertato la natura demaniale del suolo
controverso, anzitutto, individuando l’area in contesa, contrassegnata
con la part. 45 f 27 del Comune di Pizzo, rilevando che: a) la stessa
risultava esser stata donata nel 1950 da tale Berlingò Salvatore al figlio
Angelo; b) nell’atto di donazione si specificava che “quanto donato è in
concessione demaniale”; c) tanto trovava puntuale aggancio nel fatto
che in un verbale della Regia Capitaneria di Porto del Compartimento
Marittimo di Pizzo del 10.1.1921, si dava atto che erano state assentite
in concessione al Berlingò aree per mq. 940,70; d) l’intestazione
catastale al Berlingò non dimostrava la natura privata dell’area; e)
l’acquisizione da parte del Berlingò di aree da potere della “Provincia”
non era documentata da alcun contratto scritto; f) il 4.6.1973 il
ricorrente aveva chiesto alla Capitaneria di Porto la concessione di mq.
203,70 in catasto a f. 27 part. 45; g) la concessione era assentita con
provvedimento del 18.6.1975, onde consentire al ricorrente di
impiantarvi un capannone asservito allo stabilimento ittico, di cui egli
stesso era titolare.
4. Secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 11892 del
2016) l’art. 116 c.p.c. prescrive come regola di valutazione delle prove
quella secondo cui il giudice deve valutarle secondo prudente
apprezzamento, a meno che la legge non disponga altrimenti, la sua
violazione e, quindi, la deduzione in sede di ricorso per cassazione è
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116 c.p.c. oltre che per vizio di motivazione. 3. I motivi, da valutarsi

concepibile solo se il giudice di merito: i) valuta una determinata prova
ed in genere una risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non
prevede uno specifico criterio di valutazione diverso dal suo prudente
apprezzamento, pretendendo di attribuirle un altro e diverso valore
ovvero il valore che il legislatore attribuisce ad una diversa risultanza

valutare secondo prudente apprezzamento una prova o risultanza
soggetta ad altra regola, così falsamente applicando e, quindi, violando
la norma in discorso (oltre che quelle che presiedono alla valutazione
secondo diverso criterio della prova di cui trattasi).
5. Niente del genere ha dedotto il ricorrente, che non sviluppa
neppure argomentazioni in diritto sulla denunziata violazione dell’art.
2697 c.c., nel senso inteso dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. n.
15107 del 2013), e cioè, non lamenta che il giudice abbia attribuito
l’onere della prova a parte diversa da quella che ne è gravata, secondo
le regole dettate da quella norma, ma essenzialmente si duole del
risultato della valutazione operata dal Giudice di appello in ordine
all’identificazione del suolo su cui sorge il fabbricato, ed alla valutazione
della richiesta di concessione da lui operata quindici anni prima
dell’instaurazione del giudizio, e dunque deduce il difetto nella
ricostruzione della fattispecie concreta dedotta in giudizio, ciò che
costituisce un indagine di stretto merito. Né giova nella specie, la
giurisprudenza in tema di obbligo di motivazione delle sentenze in caso
di censure alla CTU, in quanto la decisione si fonda non solo sulle
indagini peritali, in tesi contraddette dalle osservazioni del CTP
(secondo cui la part. 45 f 27 era da sempre in dominio privato), ma
esprime il suo convincimento, con argomentazioni coerenti e logiche,
anche sulle circostanze sopra riassunte ai punti e) f) e g) del § 3:
escludendo, in concreto, che sia mai avvenuto alcun passaggio di
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probatoria (come, ad esempio, valore di prova legale); ii) dichiara di

proprietà da potere della Provincia (presupposto dell’asserita natura
privata del suolo controverso) ed individuando, in concreto, la fonte,
concessoria, dell’occupazione del ricorrente (la valutazione della
relativa documentazione esula del tutto dall’apprezzamento del
contegno delle parti in ambito processuale di cui al terzo motivo).

dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano in C
5.000,00, oltre a spese prenotate a debito e ad accessori. Ai sensi
dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art.
13.
Così deciso in Roma, il 4/10/2017.

6. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da

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