Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3653 del 13/02/2020

Cassazione civile sez. I, 13/02/2020, (ud. 18/10/2019, dep. 13/02/2020), n.3653

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Presidente –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. DE MARZO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso proposto da:

M.M.S., nata in (OMISSIS), in proprio e nella qualità di

madre della minore K.D. nata a (OMISSIS), elettivamente

domiciliata in Roma, viale di Vigna Pia 60, presso l’avv. Ivan

Pupetti, rappresentata e difesa, giusta mandato in calce al ricorso,

dall’avv. Andrea Maestri del foro di Ravenna (fax 0544.246060;

p.e.c. avv.andreamaestri.legalmail.it);

– ricorrente –

nei confronti di:

avv. B.C., nella qualità di domiciliataria e difensore

dell’arch. P.D., quale dirigente del Servizio Sociale

Associato dei Comuni di Ravenna, Cervia e Russi, tutore della minore

K.D., come da procura speciale in atti del (OMISSIS), che

indica per le comunicazioni relative al processo il fax n. 051245602

e la p.e.c. carla.belvederi.ordineavvocatibopec.it;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 39/2018 della Corte di appello di Bologna,

emessa il 12.7.2018 e depositata il 10.9.2018, n. R.G. n. 192/2018;

sentita la relazione in camera di consiglio del Cons. Dott. Giacinto

Bisogni.

Fatto

RILEVATO

che:

La sig.ra M.M.S. ricorre per cassazione avverso la sentenza n. 39/2018 della Corte di appello di Bologna che ha confermato la dichiarazione dello stato di adottabilità della figlia K.D. nata il (OMISSIS).

La Corte territoriale ha ricostruito come segue le vicende relative alla nascita della piccola K.D. e al procedimento per la dichiarazione di adottabilità. All’età di un mese la bambina insieme alla madre, e con il consenso di quest’ultima, era stata collocata in una struttura protetta. La sig.ra M.M.S. era giunta a Ravenna, già in avanzato stato di gravidanza dal Senegal, dove aveva lasciato il marito e due figli, e aveva trovato ospitalità presso alcuni connazionali che vivevano in un ambiente privo delle condizioni minime igienico-sanitarie. Già all’età di un mese la piccola insieme alla madre erano state collocate in una struttura sicura. Da subito la madre aveva dimostrato di non essere in grado di svolgere il suo ruolo genitoriale e tuttavia aveva rifiutato un progetto di sostegno familiare con l’ausilio di una famiglia connazionale. Con ricorso del 28.2.2014 la Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni dell’Emilia Romagna aveva richiesto l’accertamento dello stato di abbandono e la dichiarazione di adottabilità di K.D.. Il T.M., con decreto del (OMISSIS), aveva disposto l’apertura del procedimento e sospeso la madre dalla responsabilità genitoriale nominando quale tutore provvisorio l’Azienda Servizi alla Persona di Ravenna, Cervia e Russi, affinchè la minore insieme alla madre venisse collocata in un ambiente protetto. Dall'(OMISSIS) la madre e la figlia erano state quindi affidate a una comunità presso la quale erano proseguiti interventi di supporto alla genitorialità e monitoraggio delle condizioni della bambina. A seguito delle relazioni del Servizio Sociale che segnalavano il peggioramento delle capacità genitoriali materne e il fallimento del progetto di sostegno familiare, il T.M., con decreto del (OMISSIS) affidava al tutore provvisorio il compito di ospitare la minore in una idonea situazione eterofamiliare, mantenendo i rapporti della figlia con la madre. Gli incontri venivano tuttavia sospesi nel (OMISSIS) e la minore veniva affidata a una coppia che si era dichiarata disponibile all’adozione. Infine, con sentenza del (OMISSIS), il T.M. dichiarava lo stato di adottabilità disponendo l’interruzione dei rapporti con la madre e confermando l’affidamento eterofamiliare e la nomina dell’Azienda Servizi come tutore. Motivando tale decisione il T.M. ha evidenziato l’incapacità della madre a svolgere il suo ruolo genitoriale, sebbene la stessa fosse affettivamente legata alla bambina. Inoltre il Tribunale minorile ha ritenuto l’impossibilità di un recupero delle competenze genitoriali in tempi certi, ragionevoli e compatibili con le esigenze della minore e ha riscontrato l’assenza di figure parentali con un legame significativo con la bambina e capaci di prendersi cura di lei in maniera stabile e continuativa.

Ha proposto appello la sig.ra M.M.S. lamentando che la sua condizione di fragilità e disagio non era stata sostenuta adeguatamente e anzi era stata acuita dalla imposizione di un modello e di uno stile di vita occidentale con i quali era entrata in conflitto. Per altro verso il T.M. non aveva considerato la sua proposta di approvare e sostenere un suo progetto di rimpatrio, protetto e assistito, insieme alla figlia.

Il tutore della minore e il P.G. hanno chiesto il rigetto dell’appello.

La Corte di appello ha confermato la decisione di primo grado rilevando in particolare: che non era stato neanche identificato il padre di K.D., stante il rifiuto della sig.ra S. di dare indicazioni al riguardo; che i Servizi sociali avevano contattato e informato l’Ambasciata del Senegal; che sono risultati inutili tutti i tentativi di contattare la famiglia della sig.ra S. in Senegal. Ha ritenuto poi la Corte distrettuale di condividere il giudizio già espresso dal T.M. sulla grave incapacità dimostrata dalla madre nel corso del procedimento che ha visto per lungo tempo impegnati i Servizi sociali nel porre in atto un intervento di sostegno volto al recupero della funzione genitoriale. Ha ricordato a tale proposito i ripetuti abbandoni della figlia nelle comunità in cui ha vissuto, l’inidoneità della cura prestata dalla sig.ra S. al fine di garantire le condizioni essenziali di igiene, alimentazione e riposo necessarie per la crescita della bambina. Ha negato che la valutazione negativa delle capacità genitoriali sia legata a una critica della cultura, delle convinzioni personali e dello stile di vita della madre. Essa corrisponde invece a una constatazione del grave difetto di cure e accudimenti essenziali che prescindono da qualsiasi appartenenza etnica e culturale e costituiscono la base fondamentale per la crescita di un bambino.

Ricorre per cassazione la sig.ra M.M.S. articolando tre motivi di censura alla decisione della Corte di Appello bolognese: a) violazione e falsa applicazione della L. n. 184 del 1983, artt. 1,8,10,12,15; b) nullità del procedimento per la mancata partecipazione al procedimento del padre della minore; c) violazione e falsa applicazione degli art. 2, comma 7 T.U. immigrazione (D.Lgs. n. 286 del 1998), del D.P.R. n. 349 del 1999, art. 4, della L. n. 184 del 1983, artt. 12 e 13.

Propone controricorso l’avv. B.C. in rappresentanza del tutore, arch. P.D., quale dirigente del Servizio Sociale Associato dei Comuni di Ravenna, Cervia e Russi.

Con il primo motivo, la ricorrente censura la decisione della Corte distrettuale perchè, pur riscontrando il suo legame affettivo con la figlia, ha giudicato come abbandoniche le fragilità materiali della madre, contraddicendo così il principio di diritto, ripetutamente affermato da questa Corte, secondo cui l’indigenza dei genitori non può considerarsi ostativa al diritto dei figli di crescere nella propria famiglia di origine. Inoltre la Corte di appello, secondo la ricorrente, ha espresso un giudizio immotivato sulla irrecuperabilità della capacità genitoriale da parte della madre in tempi ragionevoli e compatibili con le esigenze della minore.

Il motivo è infondato. La relazione affettiva è sicuramente la base di una positiva relazione genitore – figlio ma non rende irrilevante l’assenza di capacità genitoriale ai fini dell’accertamento dello stato di abbandono e della dichiarazione di adottabilità nel caso in cui tale capacità non risulti ricuperabile. Nel caso in esame la motivazione della Corte di appello non prende affatto in esame le condizioni economiche della ricorrente ma constata la sua incapacità a svolgere la funzione genitoriale e ciò soprattutto all’esito di un procedimento durato anni e nel corso del quale le capacità di recupero della funzione genitoriale, nonostante il sostegno offerto dai servizi sociali e dalle comunità di accoglienza, non hanno manifestato alcun incremento suscettibile di far pronosticare la compatibilità della durata del progetto di sostegno con le esigenze della minore. Gli stessi Servizi sociali hanno constatato il fallimento del loro intervento. A ciò si aggiungano tutti i rilievi della Corte di appello circa la mancata cooperazione della ricorrente nel fornire indicazioni sulla figura paterna e sulla sua famiglia in Senegal rendendo per altro verso negativa la prognosi circa il successo di una ripresa del progetto di recupero in Italia e implicitamente anche quella del rimpatrio in Senegal da effettuare, secondo la ricorrente, “apprestando il percorso istituzionale di accompagnamento attraverso il servizio sociale internazionale”.

Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la mancata partecipazione al procedimento del padre di K.D.. Con il terzo motivo la ricorrente afferma che la circostanza per cui i servizi sociali abbiano contattato l’ambasciata senegalese non è sufficiente a integrare il rispetto delle procedure indicate dalla L. n. 184 del 1983, art. 12, comma 3 e art. 13 secondo cui in caso di residenza all’estero è delegata all’audizione l’autorità consolare competente e quando i genitori e parenti (di cui all’art. 12) risultino irreperibili ovvero non ne sia conosciuta la residenza, la dimora o il domicilio, il tribunale per i minorenni provvede alla loro convocazione ai sensi degli artt. 140 e 143 c.p.c., previe nuove ricerche tramite gli organi di PS.

Il motivo è infondato perchè non vi è alcuna prova di legami significativi della minore con i parenti residenti in Senegal dato che la bambina è nata in Italia, non è mai stata in Senegal nè i suoi parenti sono venuti in Italia per conoscerla. Su tali presupposti una convocazione dei parenti entro il quarto grado e una loro partecipazione al giudizio non era necessaria. Quanto alla partecipazione del padre al giudizio la stessa è stata resa impossibile dal rifiuto della indicazione del suo nominativo da parte della odierna ricorrente.

Il ricorso va pertanto respinto con compensazione delle spese processuali in ragione della natura del procedimento.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese del giudizio di cassazione.

Dispone omettersi la indicazione dei nominativi e di ogni altro elemento identificativo delle parti e della minore in caso di pubblicazione della presente ordinanza.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 13 febbraio 2020

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