Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3652 del 12/02/2021

Cassazione civile sez. I, 12/02/2021, (ud. 17/12/2020, dep. 12/02/2021), n.3652

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – rel. Consigliere –

Dott. CARADONNA Lunella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21064/2015 proposto da:

H.B., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

dall’avvocato Caselotti Mauro, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Comune di Verona, in persona del sindaco pro tempore, domiciliata in

Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di

Cassazione, rappresentata e difesa dagli avvocati Caineri Giovanni

Roberto, Squadroni Fulvia, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 312/2015 del TRIBUNALE di VERONA, depositata

il 10/02/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

17/12/2020 dal Cons. Dott. TRICOMI LAURA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

In data 27/1/2013 il Comune di Verona notificò a H.B. una richiesta di pagamento – prot. N. 2278 del 4/1/2012 – di Euro 476,82 ex art. 33 del Regolamento OSAP a titolo di indennità per l’occupazione abusiva di suolo pubblico, a seguito del verbale d’accertamento di violazione n. (OMISSIS) del 18/8/2012. La odierna ricorrente impugnò il provvedimento dinanzi al Giudice di pace che dichiarò inammissibile il ricorso.

Il Tribunale di Verona, con la sentenza oggi impugnata, ha respinto l’appello proposto da H.; segnatamente, pur accogliendo la censura di omessa pronuncia formulata avverso la decisione di primo grado, il Tribunale ha respinto nel merito l’appello perchè infondato.

H. propone ricorso per cassazione con tre mezzi. Il Comune di Verona ha replicato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1.1. Con il primo motivo si denuncia “richiesta di pagamento prot. 2278 di Euro 476,82 – illegittimità – assenza del contraddittorio da parte del Comune non rilevata dal giudice di pace – motivo di appello – mancata pronuncia della sentenza di secondo grado – falsa applicazione artt. 112 e 115 c.p.c. – nullità della sentenza del Tribunale di Verona – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”.

Secondo la ricorrente, l’illegittimità della richiesta di pagamento risultava provata per la mancata contestazione ai sensi dell’art. 115 c.p.c., da parte del Comune.

1.2. Il motivo è infondato

L’onere di contestazione che grava sulla parte ha per oggetto fatti storici sottesi a domande ed eccezioni e non può, quindi, riguardare le conclusioni ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti (Cass. n. 12748 del 21/6/2016; Cass. n. 6606 del 6/4/2016); inoltre, ciò che attiene alla componente valutativa è sottratto al principio di non contestazione (Cass. n. 19181 del 28/9/2016; Cass. n. 5299 dell’8/3/2007; Cass. n. 21460 del 19/08/2019; Cass. n. 6172 del 05/03/2020; Cass. n. 30744 del 21/12/2017). Non sussiste pertanto l’onere di contestazione in relazione a fattispecie, come quella in esame, relativa alla prospettata illegittimità di un atto amministrativo il cui accertamento, richiedendo un riscontro sui presupposti di fatto e di diritto, ha carattere fortemente valutativo, e che, pertanto, deve essere necessariamente ricondotto al thema probandum, come disciplinato dall’art. 2697 c.c., la cui verificazione spetta al giudice.

2.1. Con il secondo motivo si denuncia “ordinanza di sgombero e richiesta di pagamento indennità annuale – falsa applicazione del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 63, lett. G)”.

La ricorrente critica la decisione impugnata laddove il Tribunale ha affermato che non vi è alcuna incompatibilità tra la richiesta di pagamento dell’indennità di occupazione abusiva e l’ordine di sgombero, posto che l’indennità concerneva la condotta passata e non il futuro, in quanto lo stesso art. 63 cit. alla lett. G), prevede il pagamento dell’indennità maggiorata, oltre che una sanzione del medesimo importo dell’indennità.

A parere della ricorrente le fattispecie astratte previste dell’art. 63 cit., lett. G) ed alla lett. G bis), sono alternative l’una all’altra e non possono essere applicate cumulativamente: ciò perchè la prima riguarderebbe il caso in cui l’occupazione non preventivamente autorizzata possa continuare previo pagamento dell’indennità annuale, mentre la seconda riguarderebbe il caso in cui non può proseguire ed il Comune fa sgomberare il suolo pubblico, come nel caso di specie, ed applica la sanzione prevista alla lett. G bis).

2.2. Il motivo è infondato.

Giova rammentare che il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, istituito dal D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 63, come modificato dalla L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 31, risulta configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici. Esso, pertanto, è dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilizzazione particolare o eccezionale che ne trae il singolo (Cass. n. 1435 del 19/01/2018; n. 3710 del 08/02/2019).

Il D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63, nel testo vigente ratione temporis prevedeva:

“g) applicazione alle occupazioni abusive di un’indennità pari al canone maggiorato fino al 50 per cento, considerando permanenti le occupazioni abusive realizzate con impianti o manufatti di carattere stabile, mentre le occupazioni abusive temporanee si presumono effettuate dal trentesimo giorno antecedente la data del verbale di accertamento, redatto da competente pubblico ufficiale;

g-bis) previsione delle sanzioni amministrative pecuniarie di importo non inferiore all’ammontare della somma di cui alla lett. g), nè superiore al doppio della stessa, ferme restando quelle stabilite dal D.Lgs. 30 aprile 1992, n. 285, art. 20, commi 4 e 5”.

Le due disposizioni soddisfano esigenze differenti.

La prima è volta ad assicurare il pagamento all’indennità a ristoro del canone che avrebbe dovuto essere versato in caso di occupazione autorizzata quale corrispettivo dell’uso esclusivo o speciale del bene pubblico, nell’importo corrispondente al canone dovuto maggiorato nella misura indicata – in ragione del carattere abusivo dell’occupazione – sia nel caso in cui l’occupazione risulti permanente, sia nel caso in cui si palesi come temporanea. Fissa, quindi, per le occupazioni abusive temporanee la decorrenza iniziale presuntiva di tale obbligo dal trentesimo giorno antecedente la data del verbale di accertamento, redatto da competente pubblico ufficiale (cfr. Cass. n. 13574 del 30 maggio 2018), qui seguito dallo sgombero.

La seconda mira invece all’irrogazione della sanzione amministrativa che può essere di importo uguale a quello dell’indennità di cui alla lett. G), ovvero maggiore.

Oltre alla differente finalità, va rimarcato che dallo stesso tenore letterale delle disposizioni in esame si evince la loro cumulabilità, atteso che la quantificazione della sanzione, discende direttamente dalla commisurazione dell’indennità.

Resta da aggiungere, comunque, che la questione circa la incompatibilità tra gli istituti, in ragione dell’avvenuta richiesta di pagamento di un’indennità annuale maggiorata del 50%, su cui la ricorrente incentra parte della doglianza (fol. 4 del ricorso), appare posta inammissibilmente, atteso che non si evince la tempestiva proposizione della questione circa il carattere “annuale” dell’indennità nè dallo stesso ricorso, mediante la doverosa trascrizione dei passaggi all’uopo rilevanti degli atti di merito, nè dalla sentenza stessa che ha, invece, accertato che la controversia concerneva un’occupazione temporanea, e non permanente, e che l’indennità concerneva solo il passato (fol. 4 della sent. imp.), accertamento incompatibile con il dedotto carattere annuale e non censurato.

3.1. Con il terzo motivo si denuncia “incompetenza della sig.ra S. – falsa applicazione del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 107,artt. 1421,1422 c.c., artt. 112,115 c.p.c. – nullità della richiesta di pagamento e della sentenza – omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio”.

La ricorrente lamenta l’omessa pronuncia in merito all’eccezione di incompetenza della sig.ra S. ad emettere il provvedimento impugnato, in luogo della dirigente, sollevata all’udienza del 3/7/2014, osservando che il Comune di Verona non aveva contestato detta eccezione nel merito, ma si era limitato ad eccepirne l’inammissibilità per tardività ex art. 345 c.p.c.; quindi sostiene che si trattava di un’eccezione di nullità imprescrittibile, sempre opponibile e rilevabile d’ufficio in ogni momento.

Il motivo è inammissibile perchè è carente sul piano della specificità in ordine a quanto dedotto ed allegato sul punto. La decisione assunta risulta, inoltre, implicitamente reiettiva dell’eccezione di guisa che l’omessa pronuncia nemmeno si ravvisa.

Il motivo risulta, altresì infondato, quanto al tema della non contestazione, poichè vale quanto già chiarito in relazione al primo motivo.

4. In conclusione il ricorso va rigettato.

Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.

Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis (Cass. S.U. n. 23535 del 20/9/2019).

PQM

– Rigetta il ricorso;

– Condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 600,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali liquidate forfettariamente nella misura del 15% ed accessori di legge;

– Dà atto, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 12 febbraio 2021

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