Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 3651 del 10/02/2017


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Cassazione civile, sez. VI, 10/02/2017, (ud. 13/01/2017, dep.10/02/2017),  n. 3651

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PETITTI Stefano – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23939-2015 proposto da:

GHIONE DI GHIONE GIANCARLO & C S.A.S., elettivamente domiciliata

in ROMA V.PACUVIO 34, presso lo studio dell’avvocato GUIDO

ROMANELLI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato

GIUSEPPE BRUNO DALMASSO giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

e contro

ECOTERMICA Servizi SPA, UNICREDIT LEASING SPA;

– intimate –

avverso la sentenza n. 411/2015 della CORTI D’APPELLO di TORINO,

depositata il 03/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/01/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

Lette le memorie depositate dalla ricorrente.

Fatto

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

Con la sentenza impugnata, la Corte di appello di Torino, a fronte della domanda proposta dalla ricorrente ex art. 949 c.c., avente lo scopo di accertare la libertà del proprio fondo da diritti di servitù vantati dai convenuti, e precisamente dal diritto di attraversamento mediante condotte dell’impianto di teleriscaldamento, oggi di proprietà della Unicredit Leasing S.p.A., nel riformare la decisione del Tribunale di Saluzzo, ha concluso nel senso che dal contratto di appalto intercorso tra la Ghione S.a.s. e la Cofatech, originaria proprietaria della centrale e titolare della relativa azienda, poi ceduta alla Unicredit, non era dato ricavare la volontà di costituire un diritto di servitù in favore del fondo della committente.

L’esclusione della qualificazione in termini di diritto di servitù della pretesa della parte appellata di mantenere le condutture sul fondo della ricorrente non è più in contestazione, non avendo gli intimati proposto ricorso incidentale avverso tale conclusione in diritto.

Tuttavia, la Corte distrettuale, pur ritenendo fondata la domanda proposta ex art. 949 c.p.c., comma 2, relativamente alla pretesa di inesistenza di diritti reali altrui sul fondo della Ghione, ha disatteso la richiesta di rimozione delle tubature.

Al riguardo ha osservato che la collocazione delle condotte rientra nella legittima esecuzione del contratto di appalto, facendo parte degli obblighi assunti dalla società ricorrente, in qualità di appaltatrice, sicchè ove si disponesse la rimozione dei manufatti, verrebbe a determinarsi la responsabilità contrattuale della stessa ricorrente, in quanto) risulterebbero inadempiute le obbligazioni scaturenti dal contratto di appalto.

Infine, quanto al regime delle spese, tento conto del parziale accoglimento della domanda attorea, ha condannato le convenute al rimborso in favore della Ghione dei due terzi di quelle del doppio grado, compensando la residua parte.

La Ghione S.a.s. ha proposto ricorso avverso tale sentenza sulla base di citiamo motivi, mentre le società intimate non hanno svolto difese.

I primi tre motivi del ricorso che possono essere congiuntamente esaminati per la loro intima connessione, denunziano da un lato la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, e dall’altro la violazione e falsa applicazione dell’art. 949 c.c. e delle norme in materia di appalto e comodato, nonchè l’omesso esame di un punto decisivo.

Quanto alla prima doglianza, si evidenzia che, a fronte di una domanda di carattere reale, quale quella pacificamente proposta dall’attrice, è stata invece disattesa la consequenziale domanda di rimozione delle tubature, sulla base di considerazioni tratte dalla disciplina del contratto di appalto, e quindi sulla base di una causa petendi diversa da quella dedotta dai convenuti.

Inoltre una volta ravvisata la fondatezza dell’actio negatoria, la Corte di merito avrebbe dovuto de plano disporre la rimozione delle tubature, non potendosi fare richiamo alla diversa disciplina del contratto di appalto, che, come interpretato dalla sentenza gravata, è stato inteso come idoneo a dare vita ad una servitù (soluzione questa esclusa) ovvero ad un comodato senza predeterminazione di durata.

Ad avviso del Collegio i tre motivi sono infondati.

Ed, invero, occorre evidenziare, come si ricava dalla narrativa in fatto della sentenza impugnata, che, anche al fine di ottenere il rigetto della domanda di rimozione delle tubature, i convenuti già nel corso del giudizio di primo grado hanno richiamato il contenuto del contratto di appalto, assumendo che lo stesso giustificasse la permanenza delle condutture sul fondo attoreo.

La complessiva soluzione alla quale è pervenuta la sentenza in questa sede impugnata, è stata nel senso di escludere la sussistenza di un diritto di servitù, ma che, in ragione degli obblighi assunti dalla società appaltatrice, dovesse ritenersi giustificata la permanenza delle stesse condutture, trattandosi di un impegno discendente dagli obblighi assunti con il contratto di appalto.

Ebbene, una volta ritenuto che la convenuta Unicredit Leasing aveva contestato la fondatezza della domanda della controparte, eccependo la sussistenza di un proprio diritto fondato sul contratto intercorso tra la sua dante causa e la stessa attrice, non viola la previsione di cui all’art. 112 c.p.c. l’affermazione del giudice di appello il quale ha ritenuto che lo stesso contratto, invocato dalla convenuta, fondasse il diritto al mantenimento delle condutture, non già sulla base di un diritto di natura reale, ma per effetto di una situazione giuridica a carattere obbligatorio.

E’ stata pertanto accolta, al fine di disattendere la richiesta di rimozione, un’eccezione che, in assenza di una diversa indicazione da parte del legislatore, deve ritenersi rientrare tra le eccezioni in senso lato, e che emergendo dagli atti di causa (è pacifica l’allegazione agli atti del contratto di appalto), ben avrebbe potuto il giudice rilevare anche d’ufficio (Cass. S.U. n. 10531/2013).

Peraltro costituisce principio reiteratamente affermato da questa Corte, quello secondo cui (cfr. ex multis Cass. n. 3091/2014) in base al principio dell’autonomia negoziale di cui all’art. 1322 c.c., i privati possono sottrarsi alla tipicità dei diritti reali su cose altrui, costituendo, invece di una servitù prediale, un obbligo a vantaggio della persona indicata nell’atto, senza alcuna funzione di utilità fondiaria (servitù irregolare obbligatoria).

In tale prospettiva, sebbene con motivazione sintetica, deve ritenersi che si sia mossa la sentenza gravata, che una volta esclusa la sussistenza del diritto di servitù, ha tuttavia ritenuto che dal complesso delle pattuizioni di natura obbligatoria, fosse stato riconosciuto in favore della committente un diritto personale al mantenimento delle condutture, assimilabile, come dedotto dalla stessa ricorrente ad un comodato precario, e che vincola in ogni caso la società appaltatrice ad assicurare la permanenza dell’utilità derivante dal contratto (senza che però tale impegno possa reputarsi vincolante anche per i successivi aventi causa della ricorrente, mancando appunto il carattere della realità).

Inoltre trattandosi di contratto chiaramente inerente all’esercizio dell’attività aziendale costituita dall’esercizio della centrale del teleriscaldamento, deve ritenersi che la cessione dell’azienda abbia interessato anche il contratto per effetto del quale è stato previsto l’impegno ad assicurare il mantenimento delle condotte.

I primi tre motivi si rivelano pertanto manifestamente infondati e lo stesso deve reputarsi per il quarto, concernente la decisione del giudice di appello di compensare in parte le spese di lite, in quanto appare evidente dalla formulazione del motivo che lo stesso risulta invocare l’applicazione del principio della soccombenza in ragione del presupposto che gli altri motivi di ricorso si rivelino fondati, e portino alla conclusione della totale soccombenza della Unicredit (sintomatico è in tal senso l’utilizzo del verbo “dovranno”).

In ogni caso, anche a voler reputare che la critica investa la decisione in sè di provvedere ad una parziale compensazione, alla luce di quello che è stato l’esito del giudizio, quale consacrato con la sentenza gravata, deve ritenersi che la Corte distrettuale abbia fatto un corretto, e non sindacabile in questa sede, uso del potere di compensare parzialmente le spese di lite, ravvisando, in conseguenza del mancato accoglimento della richiesta di rimozione delle condutture, una soccombenza parziale della stessa attrice.

Il ricorso deve pertanto essere rigettato.

Nulla per le spese atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte delle intimate.

Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

PQM

Rigetta il ricorso;

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 febbraio 2017

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